Che si chiami Angie Shaker, i proprietari, lo scoprono dopo averle assicurato la possibilità di affittare l’appartamento. A Bologna, Angie, ci va per studiare. È una matricola di ingegneria, 20 anni da poco e in tasca il sogno – “non so se troppo grande”, dice – di diventare ingegnere generale di una scuderia di automobili. Dopo il liceo, da Reggio Emilia, la sua città natale, partono in molti per raggiungere le grandi città universitarie. E parte anche lei: mezz’ora per raggiungere le future coinquiline con le quali – racconta – si trova subito bene.
L’agenzia immobiliare che ha pubblicato l’annuncio ha demandato alle ragazze il primo incontro con gli interessati all’appartamento. “È giusto così”, dice Angie. “D’altra parte dovrei vivere con loro. Siamo subito in sintonia, ci accordiamo, prepariamo i documenti da consegnare all’agenzia e quindi alla proprietaria”. Una signora a cui non interessa chi viene in casa, basta che si paghi l’affitto, confidano le coinquiline ad Angie. Che aspetta due settimane la risposta definitiva dell’agenzia, di solito pronta in tre giorni lavorativi.
I suoi genitori si preoccupano, l’università sta per iniziare e serve un appartamento. “È proprio questo il problema”, rispondono gli agenti: “Troppi studenti si spostano, c’è sovraccarico”. Attendono altri giorni, poi la risposta arriva per vie traverse. A scriverle è una delle inquiline dell’appartamento. “Mi dispiace Angie”, le dice. “Ma la proprietaria ti ha rifiutato. È brutto da dire, ma ti ha rifiutato perché sei straniera”.
“I miei genitori hanno chiamato l’agenzia, ma ha risposto che non poteva far molto”, racconta Angie a TPI. “Allora ho chiamato direttamente la proprietaria, le ho detto: ‘Vede, sono la ragazza che ha rifiutato perché ha un colore della pelle differente dal suo’. Ho chiesto spiegazioni, sono rimasta interdetta. Lei mi ha detto: ‘Mi scusi, quando va al supermercato qualcuno le dice quali carote deve scegliere?’. Ero basita, le ho chiesto se davvero stesse paragonando la scelta delle inquiline di un appartamento a delle carote nel supermercato. Sì, la risposta è che per lei non sono più che una carota, marcia, nella cesta di un supermercato”.
I genitori di Angie Shaker sono di origine egiziana. Vivono a Reggio Emilia da trent’anni. In Italia vivono, lavorano, hanno costruito una famiglia di cui fa parte Angie, nata a Reggio, vissuta a Reggio, educata nelle scuole di Reggio sino alla maturità scientifica.
Per convincere la proprietaria di casa a concedere la stanza in affitto i genitori si offrono di pagare un anticipo annuale. “L’ho detto alla proprietaria, anche se non dovrebbe esistere che per avere gli stessi diritti degli altri devono metterci nelle condizioni di fare queste proposte. Lei ha rifiutato: con persone della vostra razza, mi ha detto, ho sempre avuto problemi”.
Come Angie, anche Olga – studentessa cresciuta in Italia tanto da sentirsi italiana a tutti gli effetti, dice – ha incontrato un rifiuto che l’agenzia ha giustificato con la sua origine straniera. “Scelta dei proprietari”, dicono. In risposta alle lamentele: “Ha ragione, non ci possiamo far niente”.
La stessa risposta che si sente dare Gyan, che a Cassino studia e lavora, ma incontra difficoltà a trovare casa. Nel suo video denuncia postato anche sui social racconta che, come lui, molti amici faticano a trovare un appoggio, nonostante garantiscano, documenti alla mano, di poter sostenere i costi.
Lo ha fatto anche Aboubakar Soumahoro, l’ex sindacalista dei braccianti dell’Unione sindacati di base, nel luglio 2018, quando si accorda per l’affitto di una casa a Roma con un’agenzia che garantisce la disponibilità dell’appartamento fino alla richiesta del nome. “Aboubakar Soumahoro”, dice. “Mi spiace, non si affitta a stranieri”, rispondono dall’agenzia.
A Roma negli anni i casi si sono moltiplicati, tanto da indurre l’associazione Baobab Experience ad affiancare nella ricerca di un appartamento migranti, persone con cittadinanza italiana o contratto di lavoro e permesso di soggiorno. Oltre al supporto nella ricerca, il portale Baobab4housing monitora anche le motivazioni del diniego: non si affitta agli stranieri, il senso del messaggio declinato in vari modi. La percentuale di richieste di affitto per cittadini di origine straniera e migranti accolte dalle agenzie nella Capitale è di una su cinque, secondo un calcolo dell’organizzazione.
A Bologna, dopo il primo niet, Angie trova un secondo annuncio. Il proprietario affitta due case e lei lo contatta per messaggio garantendo di poter pagare un surplus per avere una singola. Le camere sono libere, sono quattro, fissano un appuntamento. Poi la richiesta, nome e cognome: Angie Shaker. “Mi ha chiamato all’istante chiedendomi se fossi italiana, se fossi adottata, se i miei genitori avessero la possibilità di pagare l’affitto. Mi ha detto che stava cercando di creare un ambiente pacifico in casa, che non voleva che il subingresso di qualcuno potesse guastarlo. Come se il mio colore della pelle potesse sporcare il bianco dell’arredamento, o delle loro coscienze”.
Alla fine l’appuntamento arriva, è fissato per un lunedì. La domenica Angie chiede conferma, arriva anche quella. Lunedì lei e la sua famiglia sono pronti per la visita alle 10. Alle 9 la comunicazione del proprietario: gli appartamenti sono stati già affittati. “Ho pensato ai miei genitori, agli sforzi di crescermi, educarmi, tutto per farmi sentire rifiutata da gente che peraltro parla l’italiano decisamente peggio di me”. “È il fatto di sentirsi troppo straniera per essere italiana, troppo italiana per sentirsi egiziana, a farmi star male”, racconta Angie. L’essere rifiutata per il colore della pelle, non per un tratto caratteriale, la personalità.
Dopo settimane alla ricerca, Angie Shaker ha trovato un appartamento a Bologna. “Anche più vicino all’università”, dice ridendo. Poi si fa seria, un momento, e conclude: “Ci ho riflettuto tanto: le persone si fanno i capelli ricci, vogliono abbronzarsi, vanno nei paesi esotici, mangiano cibi orientali. Però poi quando hanno di fronte una persona che appartiene alla cultura che tanto idealizzano la respingono. Sembra un controsenso, forse non lo è. È come dire: voglio essere come te, ma non voglio te”.
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