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    Marco Cappato di nuovo indagato per aiuto al suicidio: ha accompagnato in Svizzera un 82enne

    Di Massimiliano Cassano
    Pubblicato il 28 Nov. 2022 alle 14:57

    Nuova indagine per “aiuto al suicidio” per Marco Cappato, il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni che alcuni giorni fa ha accompagnato a morire in Svizzera l’82enne Romano, residente a Peschiera Borromeo, nel Milanese, malato di una grave forma di Parkinson. L’inchiesta è un “atto dovuto” in seguito all’autodenuncia fatta dallo stesso cappato agli inquirenti. L’atto è formalmente aperto presso la Procura di Milano, coordinata dall’aggiunto Tiziana Siciliano e dal pm Luca Gaglio. Presso gli stessi uffici va avanti un’altra indagine per lo stesso reato in relazione alla morte di una 69enne – Elena – malata terminale di cancro ai polmoni avvenuta la scorsa estate sempre nella clinica Dignitas di Zurigo.

    “È indegno per un Paese civile continuare a tollerare l’esilio della morte in clandestinità che patiscono sofferenze insopportabili e irreversibili” le parole di Cappato, che porta avanti da anni la sua battaglia per l’eutanasia legale. Sia il caso di Elena che quello di Romano non rientrano nei parametri stabiliti dalla sentenza 242\2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato\Dj Fabo per l’accesso al suicidio assistito in Italia: entrambi infatti non erano tenuti in vita da “trattamenti di sostegno vitale”. Cercavano semplicemente una fine alle proprie sofferenze.

    “Cinque anni fa in questa stessa caserma dei carabinieri – ha raccontato Cappato ad agosto – ero andato a raccontare le modalità dell’aiuto a dj Fabo. Da lì è iniziato un percorso giudiziario che ha portato alla legalizzazione dell’aiuto al suicidio in Italia ma solo per un tipo di malati. Il Parlamento avrebbe potuto subentrare in questi anni, la Corte Costituzionale lo ha chiesto a più riprese. Io spero e preferisco che, come la disobbedienza civile per Dj Fabo ha aperto la strada, l’obiettivo di oggi non sia lo scontro o il vittimismo o il martirio, ma la speranza che, se non lo hanno fatto le aule parlamentari, possano le aule di tribunale riconoscere un diritto fondamentale come questo. Sapendo com’è la legge italiana, in ogni caso sono pronto ad affrontare le conseguenze”.

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