La Calabria è stata inserita tra le Regioni della zona rossa non certo per la quantità dei contagi che sta registrando, ma per la fragilità del suo sistema sanitario. Tra tagli, sprechi, incompetenza e mala gestione dei fondi pubblici, la sanità calabrese è commissariata da oltre dieci anni, con scarsi risultati in termini di qualità dei servizi offerti ai cittadini, spesso costretti, anche prima del Covid, a spostarsi altrove per farsi curare.
Un sistema fragile e che in questi mesi di pandemia ha dimostrato tutti i suoi limiti. Ma soprattutto poco o nulla è stato fatto per migliorare la situazione, nonostante i circa 90 milioni di euro stanziati per la Regione dal Governo. In Calabria uno dei problemi principali è quello del tracciamento, fondamentale per la prevenzione e la gestione della seconda ondata. Si processano pochi tamponi perché banalmente c’è una carenza di laboratori adibiti a farlo. Per fare un esempio, secondo il bollettino del 14 novembre, in Calabria sono stati processati 3373 tamponi nelle ultime 24 ore, a fronte di una popolazione di circa due milioni di abitanti.
Emblematica la situazione nella provincia di Cosenza, per estensione più grande dell’intera Liguria, e con un bacino d’utenza di circa 700mila persone. In tutta la provincia, la seconda più grande del Sud, esiste un solo laboratorio analisi autorizzato per processare i tamponi Covid, quello dell’Ospedale Annunziata del capoluogo cosentino. E così avere un quadro degno e fedele della pandemia in Calabria diventa quasi una chimera. Una difficoltà che il Ministero della Salute conosce bene, ma poco sia a livello nazionale che regionale finora è stato fatto.
Di questo ne abbiamo parlato con il dottor Ferdinando Laghi, per vent’anni, e fino allo scorso anno, primario della Medicina Interna dell’Ospedale di Castrovillari (in provincia di Cosenza) e presidente dell’Isde Internazionale (Associazione Medici per l’Ambiente). A TPI il dirigente medico denuncia: “Nell’ospedale di Castrovillari abbiamo un ottimo laboratorio analisi, dove sarebbe stato possibile sin da subito il processamento dei tamponi o fare i test sierologici. Erano necessari solo piccoli adeguamenti”. Eppure ad oggi questo laboratorio non è stato coinvolto.
“Già il 30 ottobre scorso – sottolinea Laghi – abbiamo sollecitato tutti i vertici sanitari regionali, commissariali e politici, a cominciare dal sindaco, che è il primo responsabile della salute pubblica, per dare la nostra disponibilità e competenza per poter utilizzare il laboratorio analisi. A questa nostra richiesta, però, finora non abbiamo avuto alcun riscontro da parte di nessuno. Evidentemente – chiosa ironicamente – sono certi che le cose stanno andando benissimo e non è necessario!”.
Noi di TPI siamo in grado di mostrarvi due documenti inviati alle autorità competenti da diverse associazioni del territorio, con le quali collabora il dottor Laghi, come AVIS, AVO, AMCI e altre: la prima nota risale al 30 ottobre, il secondo sollecito al 12 novembre. Tra i destinatari troviamo il delegato del soggetto attuatore per l’emergenza Covid, Antonio Belcastro, il commissario straordinario dell’ASP di Cosenza Simonetta Cinzia Bettelini, il sindaco di Castrovillari Lo Polito.
Nella nota del 12 novembre si legge chiaramente: “Siamo qui a sollecitare l’immediato utilizzo del Laboratorio Analisi dell’Ospedale spoke di Castrovillari, quale Centro diagnostico per l’infezione da SARS-Cov-2, riproponendoci, ove richiesti, quali interlocutori e, come detto, gratuiti collaboratori per tutte le ormai urgentissime iniziative necessarie”.
“Non vorrei che questo silenzio sia dovuto al fatto che si vuole in realtà gestire l’emergenza in termini privatistici. Il rischio è che non si voglia dare una risposta al pubblico per poi appaltare, a costi stratosferici, ai privati”. Spetta alla struttura commissariale regionale, ricorda il medico, identificare i centri che debbono processare i tamponi.
“Abbiamo un centro già pronto che poteva essere in funzione da 15 giorni e la Regione, in questa fase di emergenza, si prende il lusso di non utilizzarlo, per poi magari fare una convenzione con il privato, pagando fior di quattrini, per prestazioni che si potevano avere a un terzo del costo”, aggiunge amareggiato Laghi. Come se non bastasse, “stranamente si stanno creando nuovi centri di processamento, in particolare uno a Rossano, attrezzandolo da zero, quando invece qui a Castrovillari abbiamo un centro che poteva già essere operativo e non lo utilizziamo”.
E intanto molti calabresi, non solo nel cosentino, proprio per la difficoltà di processare tamponi e i conseguenti lunghi tempi d’attesa (spesso una settimana e oltre), sono costretti a estenuanti quarantene prima di conoscere l’esito del test. Per completezza, citiamo un’intervista del sindaco di Castrovillari Lo Polito del 2 novembre all’emittente LaC News nella quale il primo cittadino apriva alla possibilità di utilizzare il laboratorio analisi dello spoke del suo Comune.
Che qualcosa non vada per il verso giusto si intuisce anche dal fatto che il 12 novembre i Nas dei Carabinieri hanno fatto un’ispezione nel laboratorio dell’Azienda ospedaliera di Cosenza per accertare i tempi necessari per processare i tamponi ed eventualmente rilevare criticità nelle procedure eseguite. Inoltre, come riporta l’Agi, la Procura della Repubblica di Cosenza sta verificando i costi dei tamponi presso i laboratori privati.
Calabria zona rossa, le ragioni di un fallimento
Abbiamo approfittato della ultradecennale esperienza del dottor Laghi per provare a capire quali sono le ragioni storiche di questo caos, che ha reso necessario un secondo lockdown.
Il piano Covid, di cui parlava l’ex commissario Cotticelli nell’ormai celebre intervista, in realtà c’era, ma non è stato attivato. Si parla di 86 milioni di euro destinati alla Calabria. Che fine hanno fatto?
“A seconda delle varie fonti si parla di una cifra tra gli 86 e i 95 milioni. Da quello che sappiamo non risulta che queste cifre siano state girate alle aziende sanitarie. Sicuramente non hanno determinato un miglioramento e un potenziamento della sanità calabrese, né per quanto riguarda la strumentazione né soprattutto a livello di organici.
In Calabria dopo oltre 10 anni di commissariamento non si riescono a garantire i livelli essenziali di assistenza (Lea), e questo soprattutto per i tagli e la mancanza di organico. Non mi riferisco soltanto ai medici, ma anche infermieri e operatori sanitari. Quando lavoravo in ospedale, da primario, ero costretto a fare di tutto, persino compiti di segreteria, perché c’era una carenza di personale a tutti i livelli, e quindi per mandare avanti i reparti ognuno doveva ingegnarsi a fare cose che non erano di sua competenza.
Il sistema già prima dell’epidemia qui in Calabria non forniva un’assistenza adeguata ai cittadini, come tra l’altro sarebbe previsto dalla legge. A questa situazione si è ora sovrapposta un’emergenza che ha mandato completamente in tilt il tutto. In questi mesi, dalla primavera a oggi, nonostante i soldi che sono stati stanziati, chi aveva la responsabilità di gestire l’emergenza ha dormito, invece di dare il massimo per adeguare una situazione che era già inadeguata in partenza”.
Dalle dimissioni di Cotticelli alla gaffe sulle mascherine del neocommissario Zuccatelli, la sanità calabrese non ha fatto una bella figura in questi giorni a livello nazionale. Ora si fa il nome di Gino Strada.
“Il commissariamento è stato un fattore di ulteriore peggioramento dell’offerta sanitaria, perché spesso c’è un’ostilità tra l’ufficio del commissario e quelli regionali. In molti casi non solo non c’è stata una reciproca collaborazione, ma hanno lavorato l’uno contro gli altri a suon di carte bollate. Inoltre l’inadeguatezza dal punto di vista sanitario di Cotticelli e Zuccatelli era nota da tempo. Il primo è un generale in pensione dei Carabinieri, per cui non mi aspetto che abbia competenze nell’organizzare il sistema sanitario regionale. Idem il suo successore.
Credo che in primis l’istituto del commissariamento vada abolito, visti i risultati che ha dato in 10 anni, oppure si deve fare affidamento ad una task force che sappia mettere le mani in questo sistema. Non può bastare un solo soggetto. Servono più persone che conoscono le magagne della sanità locale, come le amicizie più o meno lecite che reggono il sistema da tempo”.
Altro elemento è quello delle terapie intensive: secondo il piano Covid ne dovevano essere attivate un centinaio.
“Invece ne abbiamo poche in più, un numero irrisorio. Qui a Castrovillari due erano prima del virus e due sono tutt’ora. Il problema non riguarda solo i malati Covid, ma bisogna ricordare che tutta questa situazione ha gravi ricadute sugli altri pazienti, per esempio quelli affetti da malattie croniche, e che adesso devono fare i conti con una quasi inagibilità degli ospedali calabresi”.
Se a marzo-aprile di fatto la Calabria era quasi Covid free, con pochi e sparuti casi, ora si stanno registrando circa 400 nuovi casi al giorno. Pochi rispetto ad altre Regioni, ma comunque molti in più rispetto a questa primavera.
“In Calabria si è semplicemente sperato che la pandemia non ci riguardasse. Questa per noi è la prima ondata. Abbiamo dilapidato tutti questi mesi, pensando che con l’estate il virus sarebbe definitivamente scomparso, invece avremmo potuto sfruttare questo tempo per prepararci. Purtroppo non abbiamo un’organizzazione sanitaria degna, ma dilettanti allo sbaraglio”.
Di chi sono le responsabilità?
“La politica si deve fare carico della responsabilità delle scelte che ha preso: Cotticelli non lo abbiamo eletto noi. E la politica da sempre ha visto nella sanità un campo in cui sistemare persone gradite e vicine. In Calabria è impensabile che un direttore di un’azienda sanitaria o un commissario venga scelto solo per meritocrazia. Ma se proprio devono essere fatte scelte in base al colore politico, che almeno siano persone competenti”.
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