Ne avevamo parlato poco più di tre mesi fa, suscitando indignazione parlamentare. È il caso dei giornalisti coperti d’oro da 25 anni dalla Regione Calabria senza mai aver fatto un concorso: Gianfranco Manfredi e Romano Pitaro. Oggi sono stati “licenziati” (il loro rapporto di lavoro con il Consiglio regionale è stato qualificato come “inesistente” dallo stesso ente che fino a ieri riempiva le loro tasche di danaro pubblico), unitamente ad altri tre colleghi, dopo una querelle che ha toccato tutte le istituzioni del nostro Paese.
Su di loro negli anni si è manifestato un vero e proprio braccio di ferro della casta calabrese pronta a trincerarsi contro tutto e tutti, compresa la Corte Costituzionale che con la sentenza 133 dell’11 giugno 2020 è stata lapidaria affermando, senza mezzi termini, che i giornalisti del Consiglio regionale della Calabria dovevano fare un concorso pubblico e stigmatizzando le varie normative regionali che si sono susseguite e che hanno cercato nei decenni di “tutelare” (con strizzate di occhiolini bipartisan) questi giornalisti vicini al potere, mentre un mese prima della sentenza della Consulta fu il Tar Calabria con la sentenza 923 del 20 maggio 2020 a rimettere la questione sul tavolo della Procura generale della Corte dei Conti.
Essì, perché come scritto nella relazione datata 18 febbraio 2014 del Ministero dell’Economia e delle Finanze si legge chiaro e tondo che “destano perplessità le modalità di reclutamento dei giornalisti dell’ufficio stampa del Consiglio regionale della Calabria”, in particolare le nomine a capo ufficio stampa del giornalista lametino Gianfranco Manfredi e di vice del collega Romano Pitaro, definite “anomale”.
Nella relazione ministeriale si legge, inoltre, che, in riferimento ai 5 giornalisti dell’Ufficio stampa: “il Consiglio della Regione Calabria ha reiteratamente violato tali disposizioni normative e, negli anni dal 2005 al 2010, non vi è stata nemmeno la sottoscrizione dei relativi contratti di incarico”, quantificando gli “importi illegittimamente riconosciuti al personale” in 3milioni e 410mila euro nel solo quinquennio 2008-2012, di cui 1milione e 81mila euro contestati al solo capo redattore Manfredi. A quest’ultimo vengono contestati 275.657 euro di compensi solo nell’anno 2011. Molto, se si pensa che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha un compenso di 180mila euro annui e l’ex premier Giuseppe Conte nel 2020 ha dichiarato entrate pari a 158mila euro.
Per la Corte d’Appello di Reggio Calabria: “responsabilità erariali”
L’ormai ex capo redattore del Consiglio regionale della Calabria, Gianfranco Manfredi fece, addirittura, causa alla Regione Calabria per demansionamento e mancato riconoscimento della lauta indennità di direzione. Il “fattaccio” avvenne nel 2012 quando l’ufficio di Presidenza del Consiglio regionale guidato da Franco Talarico (segretario regionale dell’Udc e attuale assessore regionale al bilancio, finito agli arresti nell’ambito dell’inchiesta “Basso Profilo” della Dda di Catanzaro) revocò a Manfredi l’incarico di di Direttore responsabile e di Condirettore responsabile della rivista “Calabria”, edita dalla Regione.
Alla base nessun motivo di contenimento della spesa pubblica (o un “ravvedimento” per l’acclarata assenza di concorso pubblico) ma, si vocifera fortemente negli ambienti, una “ripicca” per le scelte amorose dell’ex Presidente del Corecom Calabria Silvia Gulisano che dalla simpatia per Franco Talarico passò all’essere la compagna (oggi convivente) di Gianfranco Manfredi (e ciò costò anche a lei la defenestrazione dal suo incarico).
Per Manfredi scattò, però, da lì a breve un nuovo “contratto di lavoro a tempo pieno” come caporedattore offertogli dal Consiglio regionale ed una guerra legale al Tribunale del Lavoro di Reggio Calabria per il recupero delle indennità da caporedattore non ricevute dal 2012 al 2018, oltre che una richiesta di risarcimento per il demansionamento perpetrato dall’ex Presidente del Consiglio Talarico.
E se la sentenza di primo grado (la 157 del 13 marzo 2018) gli ha riconosciuto 78.880 euro, gravate sul bilancio regionale 2018-2020, pur non entrando nel merito del rapporto di lavoro tra Manfredi e la Regione Calabria, la Corte d’Appello di Reggio Calabria presieduta da Claudia De Martin, con sentenza 479 del 17 novembre 2020, notificata il 12 gennaio 2021, ha dichiarato la nullità assoluta del rapporto di lavoro dell’ex capo ufficio stampa del Consiglio regionale calabrese in quanto “alle dipendenze della pubblica amministrazione instaurato in difetto di un pubblico concorso”, trasmettendo la sentenza alla Procura Regionale della Corte dei Conti, si legge, “affinché assuma ogni più opportuna iniziativa circa le responsabilità erariali ravvisabili per le anomalie sopra evidenziate in ordine al momento genetico e funzionale del rapporto di lavoro instaurato dalla Regione con il dott. Manfredi”.
Insomma, per i Giudici d’Appello qualcuno dovrà rispondere di questa (e delle altre) assunzioni di fatto dei giornalisti del Consiglio regionale (e dei lauti compensi emanati).
Solo dal 2008 a oggi si sono susseguiti Presidenti del Consiglio regionale di ogni colore politico: Peppe Bova, Franco Talarico, Tonino Scalzo, Nicola Irto (esponente di primo piano del Pd che nel 2019 ha proposto la legge di interpretazione autentica per tutelare i giornalisti d’oro, poi cassata dalla Corte Costituzionale), Domenico Tallini (ex vice coordinatore regionale di Forza Italia che giusto l’anno scorso ha tentato di ripristinare l’indennità aggiuntiva ai giornalisti d’oro Manfredi e Pitaro) e i 5 giornalisti d’oro del Consiglio regionale son sempre rimasti lì, fino all’odierna decisione dell’Ufficio di Presidenza a guida del forzista Giovanni Arruzzolo che ha deciso di applicare la sentenza della Corte d’Appello anche agli altri 4 giornalisti del Consiglio regionale.
Una scelta obbligata alla luce della trasmissione degli atti alla Procura della Corte dei Conti. Ma il Consiglio regionale calabrese oggi si accorge della nullità del rapporto di lavoro tra sé stesso e 5 giornalisti ai quali chiede indietro “le somme indebitamente percepite dal 2008 al 2012 e dal 2013 fino alla data di decorrenza del presente provvedimento”, ossia marzo 2021.
La casta promette battaglia
Sentito telefonicamente l’avvocato dell’ex capo ufficio stampa del Consiglio regionale della Calabria Gianfranco Manfredi, Massimo Cundari ha dichiarato: “Sicuramente la sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria non l’abbiamo condivisa e ne abbiamo chiesto l’annullamento. C’è già pendente un ricorso in Cassazione”, mentre il Consiglio regionale è stato formalmente diffidato dal procedere alle cessazioni dei rapporti di lavoro.
A dire la sua è anche un altro avvocato che è l’attuale capogruppo del consiglio regionale del gruppo misto (eletto con la lista “Io resto in Calabria” ispirata dall’allora candidato del centrosinistra Pippo Callipo e oggi vicino al Pd) Francesco Pitaro che, tra l’altro, è il fratello di Romano Pitaro, uno dei giornalisti licenziati al quale il Ministero delle Finanze ha contestato 997.818 euro per i soli anni 2018-2012. Per Pitaro: “Giuro che non l’ho licenziato io! Quando sono stato eletto, mio fratello era già in Consiglio da 31 anni. Una vita professionale durante la quale, ininterrottamente e con applicazione del contratto di categoria, ha svolto le sue mansioni alle dipendenze del Consiglio che l’ha stabilizzato nel 1996 con una legge regionale. Mi auguro che ciò non sia conseguenza della mia intransigente attività politica. Ho sentito mio fratello, è dispiaciuto per essere stato licenziato in tronco. Per il resto è sereno e pronto ad andare in Tribunale”.
Ad intervenire anche il capogruppo dei “callipiani”, il consigliere regionale Marcello Anastasi che stigmatizza i licenziamenti come “decisione assurda”. Per l’esponente di centrosinistra: “mi viene spontaneo chiedere come sia potuto accadere ciò e perchè ad aver subito questa umiliazione siano state persone con un regolare rapporto di lavoro ultra datato”.
Ad intervenire pubblicamente anche l’ex consigliere regionale di centrodestra, espressione della lista “Scopelli Presidente” Aurelio Chizzoniti che ha costituito un pool di avvocati a difesa dei giornalisti licenziati. Per l’ex consigliere regionale: “si sussurra che il diabolico progetto politico-burocratico sarebbe stato sponsorizzato da un cinico esponente di Forza Italia, mentre i giornalisti sono pronti ad adire la Procura della Repubblica”. Insomma, questa annosa (e costosa) questione è lungi dall’essere conclusa.
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