Giovanni Brusca ai domiciliari: ecco perché non dovrebbe marcire in carcere
Ogni tanto tocca essere impopolari se il pensiero dominante è contro la Costituzione ed è contro i principi fondanti della nostra Repubblica: scambiare per vendetta la giustizia è un esercizio retorico che porta evidentemente voti (quelli soliti, quelli incazzati, quelli indignati, quelli che vedono la propria realizzazione e la propria sicurezza nella demolizione degli altri ritenuti “colpevoli”) ma che non ha niente a che vedere con il sistema carcerario come inteso qui in Italia.
L’ultima miccia in ordine di tempo, accesa dai soliti noti che con il tintinnare di manette accendono l’appetito dei vendicatori italiani, sarebbe che il pluriomicida mafioso Giovanni Brusca ha fatto ricorso in Cassazione per chiedere gli arresti domiciliari: è bastato sventolare i corpi di Falcone e di Borsellino per aizzare i soliti commenti dei tanti giudici da social che strillano indignati augurando la legge del taglione.
Sia ben chiaro: se Brusca abbia davvero intrapreso un processo di ravvedimento non sta a noi giudicarlo ma ai magistrati (che già due volte gli hanno negato i domiciliari) e la discussione tecnica di un’eventuale ricorso agli arresti domiciliari (perché no, non è una scarcerazione come dice qualcuno) è roba che interessa a chi di mestiere si occupa proprio di prendere queste decisioni.
Ciò che interessa piuttosto è l’utilizzo strumentale di questa notizia (che, segnatevelo, tra due anni ritornerà ancora visto che tra due anni Brusca avrà scontato la sua pena) senza nessuna cognizione: il carcere in Italia (come in tutti gli stati democraticamente evoluti) non è il luogo dove buttare la raccolta indifferenziata per sentirsi più al sicuro ma è il luogo dove lo Stato (proprio quello Stato che Falcone e Borsellino hanno difeso dando la vita) svolge il compito di recupero dei condannati.
Lo stesso ergastolo, per definizione, è un’eccezione giuridica che segna la sconfitta del senso originario del carcere. Giovanni Brusca (ma il discorso vale per tutti) non deve marcire in carcere (come grida qualcuno) semplicemente perché gli è stata comminata una condanna e la sta scontando. Punto.
Poi c’è il discorso sui pentiti: questo mito che qualcuno collabora con la giustizia solo per averne benefici è il ragionamento tipico dei mafiosi. Non basta mostrarsi contriti: la collaborazione viene vagliata e riscontrata da gente che ne sa molto di più di quello che si vomita sui social e le mani si combattono con i collaboratori non con i tweet. A proposito: lo dicevano anche Falcone e Borsellino.