“Era il migliore dei tempi, era il peggiore dei tempi”, recita l’incipit del “Racconto di due città” di Charles Dickens (1859). Di “migliore”, il tempo che viviamo, ha molto poco: l’intersezione drammatica di recessione economica, crisi climatica e guerra, la conseguente crisi energetica, si sovrappongono a una crisi abitativa probabilmente senza precedenti negli ultimi anni, frutto di politiche abitative trascurate e della trasformazione degli alloggi in Airbnb.
A Bologna, dove siamo, questa situazione sta ricevendo risposte politiche tramite il nuovo accordo sui canoni concordati e gli incentivi agli affitti lunghi proposto dal Comune, che tuttavia si rivela insufficiente a coprire una domanda disperata, esasperata, trasversale (che va dagli studenti e le studentesse ai lavoratori e alle lavoratrici): di conseguenza, i centri sociali e alcuni collettivi politici hanno avviato una serie di occupazioni di edifici vacanti dentro e fuori dal centro storico.
A tutto questo si aggiunge, nello scenario politico nazionale, l’ascesa tempestosa delle destre – anche in questo caso, come nel caso della questione abitativa, non si tratta di una sorpresa.
Non che il tempo di Dickens fosse in alcun modo “migliore”: si trattava, semmai, di un periodo eccezionale e incontenibile, in cui la tensione sociale ormai insostenibile del tardo Settecento sfocia, infine, nella Rivoluzione Francese.
Cosa c’entra insomma la Francia rivoluzionaria e un romanzo inglese – che si apre con uno degli incipit più sensazionali della storia – con noi, e con il 2022? Quasi niente, verrebbe da pensare, non foss’altro che la temperie politica che sta emergendo dal basso, alla scala cittadina, oggi, sta producendo qualcosa di trasformativo nello scenario italiano, un fermento quasi inedito che scaturisce da una tensione sociale non più sostenibile e che avrà, forse, conseguenze inedite.
Questa temperie è sfociata, il 22 ottobre 2022, in una manifestazione che ha pochi precedenti, che ha visto quasi 20.000 persone percorrere le strade (e le autostrade) di Bologna per manifestare: dopo un corteo-fiume lungo le principali vie della città, la manifestazione ha raggiunto una delle principali infrastrutture viarie non solo di Bologna ma d’Italia, la tangenziale, nel silenzio dei media nazionali.
Per cosa? Nelle loro parole, “Per questo, per altro, per tutto”. Ma andiamo con ordine.
A catalizzare l’iniziativa c’erano i molti movimenti bolognesi che vanno sotto l’ombrello generico di “ambientalisti” – in primis Fridays for Future, seguiti da Extinction Rebellion, Bologna for Climate Justice, la rete civica “Aria Pesa”, l’associazione AMO Bologna, riunite attorno all’obiettivo comune di contrastare il cosiddetto “Passante” la grande infrastruttura destinata a espandere e rafforzare la rete viaria attorno alla città; c’erano i Campi Aperti, Rigenerazione No Speculazione, Vogliamo PANE, non OIL, contro il consumo di suolo e per la sovranità alimentare, a contrasto di politiche basate sui combustibili fossili; c’erano i Municipi Sociali, i Centri Sociali e i collettivi politici di Bologna (Làbas, TPO, Vag61, il Laboratorio Crash), riuniti attorno alla lotta per il reddito e il diritto alla casa. E tante altre bandiere – gli anarchici, Potere al Popolo, l’A.N.P.I., i sindacati (fra gli altri la CGIL, ADL Cobas, S.I. Cobas), ma anche collettivi studenteschi da Roma, la Rete Emergenza Climatica e Ambientale Emilia-Romagna.
Miccia della manifestazione assieme agli ambientalisti sono stati i membri del collettivo di fabbrica GKN, che nell’estate del 2021 hanno occupato lo stabilimento Fiorentino dell’omonima azienda – gesto, questo, che non ha solo rivendicato il diritto al lavoro, ma radunato attorno a sé una serie di istanze variegate, da altri collettivi operai al gruppo No TAV. Da questa esperienza di raccolta, avvenuta non intorno a un tema comune ma intorno a una battaglia collettiva, il grido che ha segnato lo spirito del corteo, “Convergere per insorgere”.
Il disclaimer doveroso, a questo punto, è che questo articolo nasce da una visione parziale delle cose – parziale perché “di parte”; parziale perché un evento è il risultato di un processo, la somma e l’accumulo di altri punti nel tempo, di altre manifestazioni. Questo evento è il risultato di mesi di elaborazione da parte di soggetti provenienti da culture politiche diverse, aventi istanze diverse. ed è difficile abbracciare la molteplicità di identità, di motivazioni e di istanze che si sono incontrate nella manifestazione del 22 ottobre. Ricostruire quindi la genealogia e l’articolazione di tutti i movimenti che hanno contribuito è spinoso: quando a cooperare ci sono così tante anime diverse, le tensioni nella costruzione di un percorso comune (di convergenza) sono, inevitabilmente, molte.
A fare la differenza è stata, però, proprio la convergenza, la presenza di una platea così variegata di attori politici, che scaturisce dalla consapevolezza dell’intersezionalità delle crisi – consapevolezza che esisteva, ma che fatica a trovare una vera arena collettiva di espressione, come quella che si è invece configurata a Bologna. Il fatto che si sia trattato di un riunirsi inedito ha richiesto dunque la costruzione di un percorso politico alla base, fatto di nuove elaborazioni teoriche e assemblee in cui una platea variegata di persone ha posto l’enfasi sulla correlazione drammatica di problemi ed esigenze, ed è andata alla ricerca di un metodo comune, iniziando a costruire, se non un programma politico vero e proprio, un manifesto che abbraccia le lotte operaie e quelle per la neutralità climatica, i diritti civili e il diritto alla casa.
Il casus belli era, sì, il Passante, ma il vero motivo per scendere in piazza, il vero motivo per esserci portando la propria bandiera era molto più ampio, e abbracciava “questo”, ovvero la crisi ambientale aggravata dalle scelte politiche locali; “altro” – le istanze per il diritto al lavoro e alla casa lungamente ignorate e culminate in un precariato che rischia di gettare nella povertà estrema migliaia di persone; “tutto” – per dirla con le/i manifestanti, “una vita bella”, definizione che fa da contenitore a un benessere individuale e collettivo che può essere raggiunto solo tramite la convergenza di politiche sociali e ambientali che rispondano all’intersezione senza precedenti di queste crisi.
Queste politiche non trovano riscontro nei programmi politici di nessun partito presente in Parlamento, e la recente campagna elettorale ne è stata testimone; queste stesse politiche hanno, però, trovato una loro espressione complessa e composita nella manifestazione di Bologna, che da Piazza XX Settembre ha percorso Via Stalingrado per poi riversare diverse migliaia di persone nella tangenziale.
La sfida, da ora in avanti, è proseguire questo processo di convergenza, convertendo questa energia politica in un’istanza che ha la possibilità di ridefinire dal basso l’agenda nazionale delle priorità politiche, se sarà in grado non tanto di estinguere le differenze, quanto di trasformarle nell’articolazione plurale di cui questa stagione senza precedenti ha bisogno (e probabilmente, di superare i veti incrociati che hanno portato all’allontanamento, da parte dei manifestanti, di altre realtà politiche di sinistra presenti al corteo).
Perché, per dirla con il politico Chico Mendes (sindacalista e attivista per il clima brasiliano), l’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio.
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