Dottor Bertolaso, sta seguendo il dibattito sul trasporto pubblico e le chiusure delle scuole?
Ehhhhh… A me questo mi pare un Paese di matti.
In che senso?
Che tutti parlano di cosa bisognerà negare, o meno, agli italiani, e nessuno parla di come risolvere il problema di partenza. Che è appunto quello del trasporto. Ovvero di come garantire, non togliere, un diritto agli italiani.
Le regioni, in realtà, hanno proposto di riattivare la didattica a distanza tranne che per i ragazzi dei primi anni.
Noo… ! Questo sarebbe un doppio errore. Che fra l’altro non risolve il nodo.
In che senso?
Che chiudendo la didattica in presenza non si risolve il problema del trasporto, ma piuttosto si limita un diritto dei ragazzi, quello all’istruzione. E invece bisogna ribaltare l’approccio.
In che modo?
Trovo molto curioso che nessuno parli della prima ipotesi logica che vedo io: per migliorare il trasporto pubblico bisogna potenziare il trasporto pubblico. È banale.
Gli assessori alla mobilità dicono che non è possibile farlo perché servono investimenti di anni.
Ed ecco il secondo errore. Si puó fare benissimo.
E in che tempi?
Subito.
Sicuro?
(Sorriso). Sono certo che si possa fare perché io l’ho già fatto, con un metodo infallibile.
E di che si tratta?
(Sospiro). È molto semplice: bisogna requisire.
Quando parla del Covid Guido Bertolaso è uno dei pochi che può farlo in tre modi: come ex capo della Protezione Civile, come medico, ma anche come ex paziente colpito dalla malattia (e per fortuna guarito). Però è la prima esperienza che prevale su tutto, anche con grande passione, quando lo si mette davanti al dibattito di queste ore. Bertolaso, del tutto inascoltato, sostiene questa proposta da almeno tre mesi: “In questo momento sono nelle Marche a fare l’olio, e sto da Dio. Però qualche sassolino me lo toglierei volentieri”.
Ad esempio, dottor Bertolaso?
Ho sentito ripetere per mesi che l’Ospedale che avevamo realizzato alla fiera di Milano era uno spreco, un’opera inutile.
E ora?
Adesso leggo che è definito “vitale” e che c’è la caccia alle terapie intensive. Anche molti giornalisti, sia detto, hanno la memoria molto corta.
Allora ricominciamo da capo: come si sarebbe potuta risolvere la questione dei trasporti?
È semplicissimo.
Dice?
Certo. Pensi agli scuolabus: si requisiscono i mezzi che non sono utilizzati, con i loro conducenti, e si destinano a fare quel servizio.
Quando usa l’impersonale a chi si riferisce?
Allo Stato. Alle sei strutture organizzative. Alla protezione civile, per esempio.
Lei da liberale dice questo?
Mica parlo di una confisca bolscevica con il commissario del popolo e il gulag per chi non vuole. Parlo di un censimento, di destinazione d’uso retribuita e Volontaria. E le aggiungo un dettaglio.
Quale?
Con la caduta dei flussi turistici ci sono migliaia di noleggiatori e di conducenti che sarebbero contenti di questa soluzione. Non aspettano altro che tornare a lavorare. Sarebbe quindi un doppio vantaggio.
E dal punto di vista legale esiste lo strumento giuridico per realizzare un piano di questo tipo?
Ma non è mica una ipotesi! È quello che abbiamo già fatto.
Lei?
Io, da capo della protezione civile, in tanti casi. Ma soprattutto in Abruzzo. In scala ridotta, nelle aree colpite dal terremoto, abbiamo fatto anche questo. Per noi non è stata una impresa, ma una prassi operativa.
E cioè, come funziona?
La Protezione Civile requisisce ogni mezzo disponibile in nome dell’interesse pubblico. Come le ho detto, questo accade indennizzando i proprietari e gli autisti, di fatto retribuendoli.
Con un costo economico.
Veramente, purtroppo, molti già li paghiamo: con le indennità, con la disoccupazione. Peggio ancora con il rischio licenziamento di tante piccole imprese che operavano nel settore della mobilità.
E in questo modo cosa accadrebbe?
Invece di sopravvivere con i sussidi, potrebbero tornare la lavorare. Non le pare meglio? L’Italia è un Paese grande e variegato.
Lei pensa che si riuscirebbe a coprire tutte le esigenze con l’impiego dei mezzi che oggi sono inutilizzati?
Senta, in Abruzzo abbiamo fatto di più.
E cioè?
Per poter servire i paesini più piccoli e sperduti, quando serviva, ci siamo arrivati con i mezzi dell’esercito.
È una impresa dal punto di vista logistico?
Mi creda, ci sono passato: è un problema di mentalità. Ha funzionato tutto, e benissimo.
Potrebbe essere una soluzione concreta, dunque?
Certo. La più rapida. Non bisogna ordinare nuovi mezzi, ma usare con intelligenza quelli che ci sono già. Usarli per alleviare la pressione sul trasporto pubblico: è l’Abc. Così la finiamo.
Con cosa?
Con queste dispute surreali sui coefficienti di riempimento. Con la lista dei servizi da sacrificare e con le idee bislacche che ho sentito proporre questa estate, perle del tipo: “smontate i finestrini!”. Dio ce ne scampi!
Requisire, dunque.
Finché non arrivano soluzioni strutturali migliori. Senza dubbio.
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