Oggi l’anniversario della strage del 3 ottobre 2013 a Lampedusa. I superstiti sull’isola per non dimenticare le vittime di ogni naufragio
Lillo e Piera ricordano tutti i nomi di chi negli anni ha bussato alla porta della loro casa, a Lampedusa. Il primo è stato Mohamed: nel 2011 era scappato da solo dalla Tunisia e ha suonato il campanello per cercare un paio di scarpe. Ogni domenica ha trovato un pasto e compagnia. “La primavera araba ci ha fatto capire cosa significava fuggire dalle guerre e dalla povertà. Sull’isola tutti ci siamo rimboccati le maniche per accogliere chi ne aveva bisogno”, ricorda a TPI Bartolomeo Maggiore, che lavora come assistente amministrativo nell’istituto comprensivo Luigi Pirandello. Sua moglie, Piera Macaluso, è ispettrice della polizia municipale. Da quel momento, i due hanno aiutato come potevano i migranti arrivati sull’isola e la famiglia si è allargata.
“Il 3 ottobre 2013 è stato una tragedia. Non riesco a dimenticare i corpi chiusi nei sacchi neri sul pontile. Non sono riuscito a sopportare quell’immagine”, racconta Maggiore. È appena arrivato in ufficio, quando legge la notizia del barcone affondato al largo dell’Isola dei Conigli. Le vittime sono almeno 368 in quello che è considerato uno dei più gravi naufragi nella storia del Mediterraneo.
Tornando a casa incontra Alex, uno dei sopravvissuti. “In strada ho visto un ragazzo che piangeva e l’ho invitato a prendere un caffè. Non potevo immaginare cosa avesse appena passato. L’ho portato da me a mangiare e a fare una doccia. Mia moglie ha preparato un the caldo”, prosegue. “Il giorno dopo, Alex è tornato da noi insieme a Tami, un suo amico”.
Alex e Tami sono sopravvissuti alla lunga notte in cui il barcone, partito dal porto libico di Misurata, si è rovesciato a 800 metri dell’Isola dei Conigli, la striscia di terra separata da Lampedusa. A bordo della nave ci sono tra le 520 e 555 persone. I superstiti sono 155 anche se qualcuno sostiene che ci sono una ventina di dispersi. Secondo quanto emerge dalle prime ricostruzioni, la causa del naufragio è un incendio scoppiato nella stiva quando l’imbarcazione è ancora ferma in attesa dei soccorsi. Le fiamme scatenano il panico a bordo e spingono tutti i passeggeri da un lato, causando il rovesciamento dell’imbarcazione. Centinaia di vittime muoiono in mare, dove si riversano i litri di nafta presenti nella stiva. Molti migranti muoiono intossicati e molti affogano.
“Da quando li abbiamo conosciuti, sono diventati parte della famiglia. Sono nostri figli ed è stato doloroso vederli andare via”, aggiunge Maggiore. Alex vive in Olanda: ha ottenuto il diploma, lavora in un’officina di biciclette e ha due figli. Tami vive in Norvegia, dove studia e lavora. E nella famiglia si è aggiunto anche Seidou, adottato. Era arrivato in Sicilia su un barcone il 4 gennaio del 2014, dopo un viaggio nel deserto partito da un villaggio del Senegal. Ora si è diplomato e lavora.
“Alex e Tami hanno realizzato i loro sogni e, come padre, non posso che esserne felice. Sono venuti entrambi a Lampedusa per ricordare chi non c’è più. Nella traversata, Alex aveva perso il suo migliore amico e sono tante le famiglie che non hanno avuto nemmeno un corpo da piangere”.
Oggi, Giornata internazionale della memoria e dell’accoglienza, i sopravvissuti alla tragedia incontrano gli oltre duecento studenti arrivati sull’isola da tutta Europa per parlare di migrazioni, diritti e integrazione. “Partecipo anche io alla marcia verso la Porta d’Europa. La memoria è un atto doveroso. Ed è bello vedere qui tutti questi giovani. Mi ridà fiducia in un’Europa che può essere diversa da quello che è diventata. Accogliente e aperta”.
Leggi l'articolo originale su TPI.it