Lo spirito è quello di un raduno degli Alpini, ma è una festa tutta dedicata all’Alzheimer: con nonne e nonni in primo piano. Una grande festa abbattibarriere giunta ormai alla quarta edizione, che quest’anno si svolgerà – sebbene in versione ridotta e nel rispetto più draconiano delle norme di sicurezza – a Cesenatico dall’11 al 13 settembre. Protagonista, come sempre, sarà il popolo dei fragili. Gli anziani, ma non solo, perché i casi di Alzheimer precoce si moltiplicano.
Questa meravigliosa creatura nata in Italia, questa festa della libertà e dell’uguaglianza, ispirata a valori che sempre più in altri contesti strombazziamo, ma sempre meno attuiamo, ha un padre: Michele Farina, firma prestigiosa del Corriere della Sera (media partner della manifestazione), scrittore ed ex curacari. A lui, geniale mago all’inverso che, invece di far scomparire le cose, rende visibile ciò che non lo sarebbe, TPI ha posto qualche domanda per capire più a fondo lo spirito di questa tre giorni, e alcuni retroscena legati alla pandemia.
Tutto il sistema delle case di cura e delle residenze anziani è stato posto sotto accusa. Qual è la verità?
“Le stime dell’Oms – spiega Farina – ci dicono che quasi metà delle vittime di Covid nei Paesi occidentali vivevano nelle case di cura e nelle residenze per anziani. Non è un atto di accusa nei confronti delle decine di migliaia di operatori che ci lavorano (in maggioranza) con passione e competenza. Non si può racchiudere in un giudizio univoco migliaia e migliaia di residenze (considerando soltanto l’Italia). La pandemia ha colpito le persone più vulnerabili, e gli anziani sono tra queste. Le case di cura sono luoghi di assembramento naturale. Ci sono prove di comportamenti irresponsabili in certe strutture durante i mesi più duri dell’emergenza, che vanno perseguiti. Così come ci sono prove di straordinaria umanità, che vanno riconosciute. Non si può assolutamente generalizzare. Il che non significa che non si debba riflettere su quanto accaduto, su manchevolezze e limiti (ma anche su ricchezze e qualità) dei sistemi di cura nel nostro Paese”.
“Dobbiamo esigere che la dignità (oltre che la salute) dei vecchi sia preservata e se possibile magnificata. L’Alzheimer Fest ha sentito ancora di più l’urgenza di celebrare la vita e il bisogno di rendere testimonianza. Il motto di quest’anno: La cura dopo la tempesta. Vogliamo ricordare ‘i volatilizzati’ e i ‘sepolti vivi’: chi se n’è andato e chi è rimasto ad affrontare un’esperienza di dolore e di coraggio: malati, familiari, operatori, Oss, infermieri, medici, terapisti, personale di ogni competenza e cultura. Anche oggi, soprattutto oggi, è cruciale fare memoria: dare spazio alle storie e ai volti di ciascuno, senza dimenticare gli errori e le questioni aperte sul futuro”.
“Vogliamo essere vigili e spensierati: ritrovarci insieme per una festa vera, un abbraccio autentico (anche se a distanza), nel rispetto delle regole di prevenzione e sicurezza, con la prudenza dovuta al benessere delle persone fragili. Ritrovarsi comunque, non per indorare la pillola amara dell’Alzheimer ma per ricordare e ricordarci che il cammino verso una società più libera e amica delle persone con demenza continua ed è ancora più necessario dopo la tempesta di questi mesi. Non deve essere l’ombra di un virus, per quanto sanguinario, a bloccare la strada”.
Il Covid ha “oscurato” le altre malattie, anche le più gravi. Ma come stanno realmente le cose?
“Ad aprile, scrive l’Economist in un magistrale dossier sull’Alzheimer, le demenze erano la seconda causa di morte dopo il Covid. Chi l’avrebbe detto? Chi lo sa? Le demenze non sono una deriva più o meno naturale della vecchiaia. Devono essere studiate per poter essere contrastate, e un giorno vinte. Gli studi hanno bisogno di essere finanziati. Secondo i dati dell’autorevole Alzheimer’s Research Uk, le demenze attraggono solo il 7,4% dei fondi che vanno nella ricerca di cure per i tumori, e il 12% dei finanziamenti per lo studio delle malattie cardio-vascolari. Troppo troppo poco. Ci sono 50 milioni di persone nel mondo che vivono con una forma di demenza. Si calcola che entro il 2030 saranno 82 milioni. E 152 milioni nel 2050: quasi tre volte la popolazione italiana! Ma cosa stiamo aspettando?”
Il programma dettagliato della manifestazione è disponibile sul sito www.alzheimerfest.it ricco per altro di ogni genere di informazione sul tema. Per definizione non ci sono eventi considerati ‘più importanti’ di altri, ma alcuni ospiti hanno evidentemente una maggiore popolarità. Venerdì sera, ad esempio dialogheranno su resilienza e cura Ferruccio de Bortoli e il cardinale di Bologna Matteo Zuppi; sabato ci sarà Paolo Hendel con ‘La giovinezza è sopravvalutata’, mentre Bruno Tognolini curerà lo spazio dedicato ai più piccoli. Uno spazio molto importante sarà quello in cui gli operatori che le hanno vissute sul campo, racconteranno le innumerevoli storie di come la pandemia ha infierito sulle persone colpite da demenza.
Partner scientifico dell’Alzheimer fest è l’‘Associazione Italiana di Psicogeriatria’, presieduta dal prof. Marco Trabucchi, che come sempre mette gratuitamente a disposizione degli ospiti dell’evento punti di ascolto per chiarimenti e assistenza di altissimo profilo. L’Alzheimer Fest si chiuderà con la prima di ‘Mammamà’, uno smartfilm realizzato in collaborazione con il musicista e filmaker Giuseppe Bella che in 5 minuti, raccontando con immagini autentiche l’amore fra un’anziana signora napoletana con l’Alzheimer e una bambola di pezza, racconta la vita. Ma, alla fine di tutto, dall’Alzheimer al nostro futuro come specie e pianeta, la domanda cui urge dare risposta con l’azione, è quella posta da Michele Farina: cosa stiamo aspettando?
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