Era capace di intendere e volere Alessia Pifferi, la madre della piccola Diana morta di stenti e disidratazione a 18 mesi dopo che la 37enne l’aveva lasciata da sola in casa per diversi giorni. È l’esito della perizia psichiatrica voluta 4 mesi fa dai giudici della Corte d’Assise di Milano e depositata lunedì 26 febbraio nel processo per omicidio volontario aggravato.
Indagando la personalità di Pifferi, lo specialista fa riferimento a un contesto famigliare degradato, a una dipendenza dagli altri e a un’incapacità di provare empatia, ma conclude che l’imputata non ha alcuna disabilità intellettiva ed è capace di stare in giudizio.
Indagando la personalità di Pifferi, lo specialista fa riferimento a un contesto famigliare degradato, a una dipendenza dagli altri e a un’incapacità di provare empatia, ma conclude che l’imputata non ha alcuna disabilità intellettiva ed è capace di stare in giudizio.
Nel documento depositato in tribunale si fa riferimento anche ai test psicologici eseguiti in carcere su Pifferi, al centro ora di un’altra indagine. Secondo la procura, due psicologhe del carcere di San Vittore e l’avvocatessa di Pifferi, ora indagate per falso e favoreggiamento, avrebbero aiutato la donna a ottenere la perizia psichiatrica falsificando un test psicodiagonistico, che ora viene ritenuto dal perito «non attendibile», sostenendo che la 38enne soffrisse di un deficit cognitivo.