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    Alberto Zangrillo ha un problema di comunicazione (di Selvaggia Lucarelli)

    “Il virus clinicamente non esiste più” è stata l'ultima contestatissima dichiarazione di Zangrillo in tv. In realtà il medico non ha detto nulla di folle, ma di incompleto, di scarsamente decifrabile per la maggior parte dei non addetti ai lavori e di scivoloso. Cosa non da poco, nel mezzo di un’epidemia. Il problema di Zangrillo, dunque, è ancora una volta la comunicazione

    Di Selvaggia Lucarelli
    Pubblicato il 1 Giu. 2020 alle 13:27 Aggiornato il 1 Giu. 2020 alle 14:15

    Coronavirus: Alberto Zangrillo ha un problema di comunicazione

    Se c’è una cosa che il Coronavirus dovrebbe averci insegnato è l’importanza di usare bene le parole. Il contenimento verbale può contribuire a quello del virus. L’emorragia verbale, la parola storta, la dichiarazione sgangherata possono contribuire se non alla diffusione, senz’altro alla confusione. È in questo contesto che va inserita la dichiarazione del primario del San Raffaele Alberto Zangrillo (“Il Coronavirus clinicamente non esiste più”), noto anche per essere il medico personale del Cavaliere.

    Cavaliere di cui, tra le altre cose, ha romanticamente detto: “Stargli accanto è un privilegio pazzesco: apprezzo il coraggio, le intuizioni, la forza di volontà”. Insomma, Zangrillo è uno che la comunicazione la mastica da tempo, col problema che gli rimane spesso qualcosa tra i denti. Come quella volta in cui fece ricoverare d’urgenza Berlusconi al San Raffaele per un’operazione urgente e improrogabile (l’uveite, un’infiammazione agli occhi). Proprio nei giorni in cui Berlusconi avrebbe dovuto deporre al processo Ruby.

    La Boccassini però mandò la visita fiscale per accertarsi dell’urgenza. “Si tratta di una patologia che se trascurata può produrre alterazioni alla visione che possono cronicizzarsi e invalidare la normale funzione dell’occhio!”, tuonò Zangrillo alla stampa. I medici fiscali lo smentirono: “Ha una congiuntivite non grave, può presentarsi in aula”. Zangrillo si infuriò: “Perfino un paziente in coma può essere trasportato dappertutto!”, disse. Insomma, quando serve qualcuno che affronti la stampa con piglio Zangrillo c’è. Al di là dei risultati.

    E a proposito dei risultati, Zangrillo, ai tempi, fu duramente attaccato anche sui social. A un utente che faceva ironia sulla congiuntivite del Cavaliere e gli scriveva “Il nano vede delle strane sbarre davanti agli occhi?”, lui rispose: “Lei deve andare a farsi fottere con tutta la sua famiglia”. Un signore. Anzi, un cavaliere.

    I risultati della comunicazione zangrillesca, come abbiamo visto, non sono sempre strabilianti. E quindi veniamo alla sua ultima, criticata dichiarazione in tv e cioè: “Il virus clinicamente non esiste più”. Che poi, testuale, è: “Lo dico a tutti gli italiani ufficialmente così che se ne facciano una ragione. Un mese fa gli epidemiologi dicevano di dover temere giugno per via di una seconda ondata. In realtà il virus praticamente da un punto di vista clinico non esiste più. Questo lo dicono l’Università di San Raffaele, il professor Clementi, il professor Silvestri. I tamponi hanno una carica virale infinitesimale rispetto a pazienti di mesi fa. Continuare a portare l’attenzione in modo ridicolo come sta facendo la Grecia, sulla base di un terreno di ridicolaggine…”.

    Dunque, è evidente che il problema di Zangrillo è ancora una volta la comunicazione. E per due ragioni: di toni e contenuto. La prima, quella di toni, è che non si comprende l’aggressività del suo registro. “Gli italiani se ne facciano una ragione!”, proclama, come se agli italiani dispiacesse l’idea – eventuale- di liberarsi di una epidemia mortale.  Con chi sta parlando, il professor Zangrillo? Sicuro che stia parlando proprio ai cittadini? O forse sta parlando a chi, in altri ruoli, suggerisce di rimandare aperture totali? È un discorso medico o politico? Sorvolando poi sul passaggio relativo alla “ridicolaggine” della Grecia, un paese con pochi mezzi per contrastare un’emergenza sanitaria che ha avuto la fortuna di risparmiarsi la strage a cui si è assistito in Italia e Spagna. Per non parlare poi della battutina sarcastica su medici che avevano sbagliato, a suo dire, prevedendo una seconda ondata a giugno. Battutina che potrebbe fare chiunque a Zangrillo citando il suo tweet del 27 febbraio in cui scriveva: “Stiamo ai numeri, fidiamoci del servizio sanitario. Niente panico: i medici curano la malattia, certi giornali devono vendere. Le mascherine per strada non servono. Qualcuno muore ma per fortuna ad oggi non è colpa del Coronavirus in Italia”.

    Insomma, un profeta tra i tanti. “Il virus clinicamente non esiste più”- la frase più criticata-  significa che il virus ha perso la sua carica virale più virulenta e i pazienti si ammalano senza aggravarsi troppo. In realtà Zangrillo non ha detto nulla di folle, ma di incompleto, di scarsamente decifrabile per la maggior parte dei non addetti ai lavori e di scivoloso. Cosa non da poco, nel mezzo di un’epidemia.

    In tv non parlava ai suoi pari, ma ai cittadini. E un medico non può fare una dichiarazione del genere senza essere consapevole di poter essere male interpretato. Ne va della vita delle persone. Perché il virus esiste, ancora. “Non mi pento di quello che ho detto, se andiamo a vedere i parametri io sono molto più scienziato di tanti autoproclamatosi scienziati, anche facenti parte del comitato tecnico”, si è difeso. Insomma, io so’ io e voi etc. Eppure Zangrillo non è un virologo, non è un epidemiologo. È un anestesista rianimatore. E qui, forse, è il punto.

    Il primario dell’ospedale di Lodi Stefano Paglia esprime un suo parere molto interessante sulle affermazioni di Zangrillo: “Alcune manifestazioni cliniche del Covid non le vediamo più, ha ragione Zangrillo. Stiamo vedendo quello a cui assistevamo nel mese precedente lo scoppio dell’epidemia, pazienti simili a quelli che curavamo attorno al 25 gennaio. Polmoniti e tamponi positivi ne vediamo ancora, ma non sono quelli della terapia intensiva. Se Zangrillo si limitasse a dire che non vediamo più quei malati direbbe la verità, il problema è che essendo lui rianimatore parla di quello che conosce e cioè i malati critici che vengono intubati, omette di parlare degli altri, quelli con diversi livelli di insufficienza respiratoria che ci sono ancora”.

    Prosegue:  “Quello che sta avvenendo oggi può esser la coda di una epidemia che sta finendo, sarebbe una bella notizia. La mia opinione è che quello che stiamo vedendo però assomiglia moltissimo anche alla fase iniziale dell’epidemia, quella con poche polmoniti, qualche anziano con polmoniti brutte e pochi giovani con insufficienza respiratoria ma non da intubare. Solo il futuro ci dirà se siamo nella fase della coda o in quella del ritorno alla fase pre-epidemica. Se facciamo errori in questi momenti, se confondiamo la fase post- epidemica con quella pre-epidemica facciamo un bel danno, serve prudenza. Abbassare la guardia ora è folle, anche i malati lievi sono malati Covid, non va dimenticato”.

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