La Regina delle capre felici: la storia di Agitu Ideo Gudeta
Agitu Ideo Gudeta, la pastora etiope diventata simbolo dell’integrazione in Trentino, è stata trovata priva di vita all’interno della sua abitazione a Frassilongo, in provincia di Trento, dove da quasi dieci anni aveva avviato un caseificio e un allevamento di capre pezzate mochene e camosciate delle alpi in una struttura chiamata, non a caso, “La Capra Felice”. Un dipendente dell’azienda ha confessato l’omicidio, motivando il delitto con uno stipendio non corrisposto.
La storia della piccola imprenditrice Agitu, conosciuta da tutti come la regina delle capre felici, balza all’onore delle cronache nazionali due anni fa, quando nel 2018 denuncia ai microfoni della Rai di star vivendo un incubo. Da circa un anno, raccontava, subiva insulti e minacce di morte da parte di un suo vicino di casa. Una sua capra era stata uccisa e la sua mammella asportata con un’arma da taglio, il suo cane era sparito, altri animali feriti, le gomme della sua auto bucate, parolacce a non finire e insulti del tipo: “Brutta negra, tornatene al tuo paese”.
Fino ad arrivare ad un’aggressione fisica, che la donna era riuscita anche a documentare con il suo smartphone. Un giorno, mentre lavorava alla mungitrice, è stata afferrata da dietro: “Un uomo mi ha preso per il collo e gridato io ti uccido, devi morire – spiegava -. Sono riuscita a liberarmi dandogli un calcio e sono scappata in casa. Ho chiamato i carabinieri e ho denunciato l’accaduto riuscendo anche a fotografarlo mentre mi bucava le ruote della macchina”.
La sua storia aveva fatto il giro d’Italia e non solo, arrivando persino sulle pagine del New York Times e ricevendo solidarietà un po’ ovunque, anche da parte delle principali istituzioni. Solo lo scorso mese di gennaio l’uomo in questione era stato condannato ad un risarcimento e a 9 mesi per lesioni dal tribunale di Trento. Per il suo vicino di casa, un 54enne della zona, erano scattati gli arresti domiciliari, poi commutati dopo sette mesi in un divieto di avvicinamento ad Agitu. La giudice non aveva però riconosciuto la tesi della pm che chiedeva una condanna per stalking e l’aggravante razziale.
Il sogno italiano
Arrivata in Italia quando aveva solo 18 anni per studiare Sociologia all’università di Trento, era poi rientrata in Etiopia ad Addis Abeba, da dove poi nel 2010 era stata costretta a scappare per le minacce del governo, guidato dal Fronte di Liberazione del Tigrè (Tplf). Nel suo paese d’origine Agitu era impegnata assieme ad altri studenti universitari a denunciare il land grabbing praticato dallo Stato, ossia l’esproprio forzato dei terreni agricoli a spese dei contadini locali per favorire le multinazionali interessate a piantare cereali per l’esportazione.
Alcuni dei suoi compagni erano spariti, e altri minacciati, così anche per lei, come per il resto della sua famiglia, già trasferita dal 2000 negli Usa, era arrivato il momento di andarsene. Così si sposta in Italia, fino ad arrivare a Trento con soli duecento euro in tasca. Qui dopo aver lavorato come barista, si ricostruisce una seconda vita, diventando una pioniera delle alpi. Ed è proprio qui, tra le montagne di Trento, che decide di darsi all’allevamento di capre e di aprire un modello di azienda agricola biologica e sostenibile.
La pastora etiope nel 2010 recupera un terreno abbandonato, 11 ettari che diventano utili per il pascolo incontaminato, perfetto per i suoi animali. Sceglie alcune razze rustiche locali di capre a rischio estinzione: in particolare la capra mochena della Valle dei Mocheni, dove decide di vivere.
“Volevo un progetto che fosse sostenibile”
Come nel 2017 raccontava ad Annalisa Camilli: “In Etiopia avevo lavorato in alcuni progetti con i pastori nomadi del deserto e avevo imparato ad allevare le capre. Ho pensato che con tutti questi pascoli non sarebbe stato difficile fare del buon latte, visto che sappiamo produrlo nel deserto. L’idea è stata quella di recuperare alcune razze autoctone che hanno bisogno di mangiare poco per produrre molto latte, senza doverle nutrire con dei mangimi. Delle capre molto resistenti che non hanno bisogno di nulla, come la razza Mochena. Volevo un progetto che fosse sostenibile”.
E così il suo sogno è cominciato, è nata La Capra felice, la sua azienda biologica che produce con metodi tradizionali formaggi, yogurt e cosmetici fatti con il latte, conquistando premi e riconoscimenti. I suoi prodotti erano stati selezionati per l’Expo di Milano, sono stati segnalati da Slow Food e sono stati definiti anche come il Miglior prodotto trentino.
Solo da poco era riuscita ad aprire anche un punto vendita tutto suo, in pieno centro a Trento. Ora il suo intento era quello di continuare a recuperare strutture e terreni in disuso per creare un’economia di montagna in grado di valorizzare, rendere sostenibile tutto il territorio e dare opportunità di lavoro ai più giovani.
Per molti infatti Agitu è stata la pioniera di una terra di montagna, ormai dimenticata anche da molti trentini e poco frequentata: come raccontava lei stessa non si lasciava intimidire nemmeno dagli orsi, habitué della zona. Per proteggere le sue capre aveva infatti deciso di prendere qualche contromisura originale: “Quando vedo impronte o segnali della sua presenza – raccontava sul sito della sua azienda – mi chiudo in auto con dei petardi. Basta fare un po’ di rumore e il mio vicino sa che è meglio andare da qualche altra parte”.
Leggi anche: Morte Agito Ideo Gudeta, arrestato un dipendente dell’azienda: ha confessato