“Mi ha accoltellato alla gola perchè gay”
“Oggi pomeriggio sono stato accoltellato alla gola da mio fratello, io sto meglio mentre lui è stato portato nel carcere di Trento”. È una delle testimonianze raccolte nel libro ‘Caccia all’omo’ di Simone Alliva, un viaggio nel paese dell’omofobia nato da un’inchiesta dell’Espresso, di cui il settimanale ha deciso di pubblicare oggi uno stralcio. La storia è quella di Eugenio, omosessuale, ex insegnante di religione, che dopo la scomparsa della madre avvenuta nel 2016 ha visto la sua serenità rubata dal padre e dal fratello, la sua vita stravolta dalle aggressioni tra le mura domestiche.
Diabetico e affetto da un’ipovisione grave, costretto da anni a lasciare il lavoro, Eugenio vive oggi con una pensione misera. Ma sono stati l’isolamento e la violenza della sua famiglia a trasformare per troppo tempo la sua esistenza in un inferno, per la sua ‘colpa’ di essere gay. Dal 2014 ha vissuto sotto lo stesso tetto dei genitori, in un piccolo borgo del profondo Veneto. Dice di essere stato un omosessuale sereno per 50 anni, impegnato tra studio e lavoro.
“Ho studiato in Vaticano a 16 anni, poi in Umbria. Mi mantenevo con le borse di studio. Ho fatto il militare a Napoli e ho insegnato per 18 anni. Una vita tranquilla, non c’è nulla di eccezionale in me. Ho amato gli uomini, ho vissuto tranquillamente le mie storie in un tempo che era molto diverso da questo. Ho sempre portato avanti, anche se sottotraccia lo ammetto ma erano altri tempi, le battaglie per i diritti gay. Il diritto alla salute per esempio: facevo volontariato per la chiesa, nella casa alloggio della città assistevo i primi malati di Aids. Erano i primi anni Novanta. Ricordo le malelingue, i consigli di chi diceva ‘lascia perdere’, cosa mi importava, avevano bisogno di aiuto. Erano delle persone, solo questo”.
Eugenio dice di non aver ricevuto per 50 anni un pugno, uno schiaffo o un insulto. Ma dopo la scomparsa della madre è arrivata per lui l’indifferenza, non sarà mai più presente alle riunioni di famiglia o a una festa con i parenti. “Mi sentivo un intruso”, è il suo racconto. Presto arriva la violenza fisica, le botte. Mentre fuma sul balcone il fratello lo spintona contro il muro facendolo cadere contro il pavimento, e mentre lo trascina dentro sbatte la testa. Eugenio perde conoscenza e viene lasciato lì. Al Pronto Soccorso dicono che si tratta di un “trauma cranico non commotivo”. Non querela perché prova a capire i silenzi e la violenza subita casa.
Il fratello continuerà a minacciarlo. Alle aggressioni si aggiungeranno poi quelle del padre: uno spintone contro il muro causerà ad Eugenio la lesione della spalla. Verrò di nuovo aggredito dopo il ritorno a casa con il tutore. A un certo punto, quando la situazione si fa pericolosa, decide di andare via di casa nel tentativo di placare la rabbia dei suoi familiari. Si trasferisce a Venezia per qualche giorno da un amico. Quando torna trova frigorifero rotto, i riscaldamenti manomessi. È il momento dei dispetti. E le aggressioni non si fanno attendere. La porta della sua stanza viene sfondata dal fratello con una spallata. “Ricordo mio fratello che mi stringe il collo e vuole strangolarmi. Un pugno nell’occhio sinistro e poi quelle frasi oscene, ‘te goti adesso brutto frocio'”. Eugenio verrà svegliato dall’intervento dei carabinieri. Non sarà l’ultimo episodio.
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