Da Instagram alle Iene, fino alla musica: Nicolò De Devitiis, storia di un divanoletto versatile
“T’ho sorpreso eh!” è il messaggio che ricevo all’inizio dell’estate. “Non ci credo. Questa me la devi raccontare”, rispondo. Il mittente è Nicolò De Devitiis, Iena dal multiforme approccio all’arte dell’intrattenere che tra uno scherzo riuscito, un’intervista provocatoria, le immancabili interrogazioni di quinta elementare ai calciatori e qualche vertebra rotta nel tentativo di smascherare una truffa, ha anche affiancato Diletta Leotta a Goal Deejay ed Estate Mondiale, Andrea Delogu a Dance, Alessia Marcuzzi al Wind Summer Festival, Victoria Cabello al FED 2019.
Nel frattempo si è divertito a incarnare il James Corden de ‘noantri invitando i personaggi più disparati a cantare insieme a lui girovagando in macchina per la città. Ma non gli è bastato. L’oggetto di quel lapidario messaggio pre-vacanziero era infatti niente meno che l’incisione di un brano in collaborazione con un duo indie emergente.
Conosco Nicolò dall’ottobre 2016, quando lo intervisto per la prima volta sui divanetti di un locale nel quartiere Isola, a Milano. “Io di cognomi strani me ne intendo. Il tuo è un errore dell’anagrafe?”, è stata la mia prima domanda. “Questa battuta da quanto te la prepari?”, mi aveva risposto. Tanto basta.
Mi racconta i suoi anni da liceale, al Goffredo Mameli di Roma: “Primo anno tre debiti: italiano, latino e greco. Secondo anno meglio, solo latino e greco”. Che avendo scelto il classico, va da sé. L’intraprendenza già non gli mancava: da rappresentante d’istituto aveva proposto alla preside di sostituire i giorni di occupazione con attività ricreative, dal cineforum alla partita di calcetto.
“A proposito, famme vede’ a quanto sta la Roma” aveva annunciato all’improvviso, tirando fuori il cellulare dalla tasca del giubbotto Nike rosso acceso e ripensando alla prima volta in cui incontrò Francesco Totti, al lancio della nuova maglia. La sorella minore, Martina, nel fargli una foto con il capitano, aveva dovuto chiedergli di smettere di tremare.
Mi spiega del suo breve ma intenso trascorso alla facoltà di Giurisprudenza. “Ho dato un esame. Diritto romano. Ventisei. Poi ho capito di averla scelta per le ragioni sbagliate”. Si prende un anno sabbatico durante il quale fa un po’ di tutto – commesso, steward, driver, animatore – alternando il lavoro diurno con corsi di recitazione serali fino a mezzanotte. Mi racconta come tutti quei lavori gli abbiano insegnato soprattutto due cose: il contatto con il pubblico e la capacità di vendere. Al punto che pensa sia quella la sua strada: si iscrive a Economia e consegue la specialistica in Marketing. Voto: 107, che dal 63 rubato al Mameli è un bel salto.
È proprio durante l’università che inizia a fotografare biciclette. “Mi sono improvvisato bike blogger anche per prendere in giro una mia compagna di studi, sedicente fashion blogger. Se la tirava un sacco, si fotografava co’ i cerchietti di Burberry e le Hogan, ‘na coatta” – si interrompe per controllare le mie scarpe – “Io non giudico mai dalle apparenze, giuro. L’abito non fa il monaco, ma l’Hogan fa il coatto. Ecco, ora mi odieranno tutti” aveva sentenziato. “Solo quelli a cui piacciono le Hogan”, l’avevo rassicurato.
Quel primo (e forse unico) bike blog dell’Instagram firmato @divanoletto attira in breve tempo l’interesse di alcune testate, che iniziano a parlare di lui. Soprattutto grazie a una complessa opera di stalking alle principali redazioni, presso le quali non fatica a trovare riscontro positivo. Oltre un anno prima di approdare sul piccolo schermo, di Nicolò hanno già scritto praticamente tutti. Dai giornali alla radio il passo è breve, e nel giro di poco tempo la sua idea semplice ma efficace viene raccontata in diretta ai microfoni delle principali emittenti. Mancava giusto la televisione.
“Un giorno di maggio incontro per strada Paolo Calabresi, che al tempo era anche cliente abituale del negozio in cui lavoravo. Essendo fan di Boris lo servivo e gli facevo un sacco di sconti. Gli raccontavo dei giornali e delle radio ma niente, non mi filava. Un giorno gli chiedo se ha letto gli articoli che gli ho mandato e mi dice che sì, li ha visti, e che gli stavo rompendo le palle”. Forte dell’incoraggiamento, Nicolò gli racconta della sua idea di un servizio girato in bici sulle doppie file a Roma. Probabilmente sfinito, Calabresi gli risponde: “Sì, co’ sta faccetta da para***o può essere che funzioni. Mandami una mail”.
Poco dopo arriva la risposta di Davide Parenti, con Nicolò in copia. Il testo era di una sola parola: “Incontriamolo”. Da lì inizia la gavetta, prima nella redazione di Roma e poi in quella di Milano. Che non è in discesa: l’ambiente è estremamente competitivo, sopravvivere da neofita non è affatto scontato. “Appena arrivato non sapevo neanche montare i video, ho dovuto imparare tutto. Ho fatto un anno da nomade, dormendo prima da Parenti, poi da altri autori, poi a casa di amici. Non andando in onda non guadagnavo abbastanza da potermi permettere un affitto a Milano. Ho fatto un mese in un B&B tremendo, la mattina a colazione c’erano prostitute e camionisti. Io mangiavo il cornetto e sentivo quelli “oh me dai du’ ore?”. E il cornetto me rimaneva un po’ lì, soprattutto quando pensavo a dove avessi dormito”.
Racconta del suo mentore, Matteo Viviani, dal quale ha cercato di assorbire il più possibile; della diffamazione – poi denunciata – da parte di uno YouTuber frustrato che aveva messo in giro la voce che Nicolò fosse raccomandato dal padre, a suo dire medico personale di Parenti. “Tu pensa che mio padre è avvocato, lavorava in banca ed è in pensione da anni”. Della causa, successivamente vinta, Nicolò non parla mai. “Non mi interessa ostentare questa cosa, non ne vale la pena. All’inizio non volevo nemmeno denunciarlo. Sono stato costretto perché quella della raccomandazione è una macchia, che anche se infondata ti resta addosso. Rischiava di danneggiarmi non poco: le ricerche più frequenti su Google abbinate al mio nome erano età, fidanzata, padre. La cosa più spiacevole è stata proprio dover coinvolgere i miei genitori, portando in tribunale i documenti di quarant’anni di lavoro di mio padre. Che è questo? Damme un sorso che sto a parlà da un’ora e mezza” aveva chiosato, rubando metà del mio drink prima che potessi oppormi. Il profilo basso non è una scelta estemporanea, ma una vera e propria filosofia.
“Quelli che fanno i fenomeni solo perché lavorano in televisione, che fanno fatica a concedere un saluto o una foto a chi li riconosce per strada, non li capisco e non li capirò mai. Sono un ragazzo come tutti gli altri, il cui lavoro è semplicemente sottoposto alla visione – e al giudizio – di più persone. Questo non ti rende migliore di nessuno”. Una filosofia che porta avanti ancora oggi, a quasi tre anni di distanza. Quando lo incontro, nello stesso locale, per farmi raccontare la recente avventura musicale, lo trovo diverso: la stessa spontaneità di sempre, condita da una maggiore maturità e consapevolezza di sé.
Accenna alla sua decisione di chiudere una relazione che era diventata troppo complicata e a quella di trasformare, quasi per caso, una storica amicizia in qualcosa di più. Ribadisce con fermezza la volontà di concentrarsi sul suo lavoro a Le Iene, con l’entusiasmo di sempre e ancora più determinazione.
“E quindi, in tutto ciò, ‘sto featuring con i Legno?” gli chiedo. Il misterioso duo toscano, progetto indipendente firmato da Matilde Dischi i cui componenti si esibiscono con una scatola in testa – più per creare un personaggio fumettistico alla Marvel che per celare la propria identità – aveva colpito l’attenzione di Nicolò già da qualche tempo. Al punto che ne parla a Radio 105 con Max Brigante e li inserisce nella sua playlist “DIVANOLETTO GROOVE”, un concentrato di musica indie seguito da cinquemila persone che aggiorna continuamente con le sue scoperte artistiche.
“Sei il Pippo Baudo dell’indie-pop” gli dico, riferendomi al fatto che avesse parlato di Gazzelle e Carl Brave molto prima che riempissero i palazzetti. “Diciamo che ho un buon orecchio, la musica è un mio chiodo fisso da sempre”. A partire da quando, a neanche tre anni, il padre tornava dal lavoro e ogni sera lo prendeva in braccio facendogli ascoltare Attenti al lupo di Lucio Dalla, con lui che provava invano a schioccare le dita. Da lì il pianoforte, la batteria, quel gruppo funky messo insieme dal suo insegnante per coverizzare i Red Hot Chili Peppers che si esibiva sul lungotevere. “Davanti a du’ gatti, ma ci piaceva un sacco”.
I Legno ascoltano l’involontaria sponsorizzazione di Nicolò in radio e notano l’inserimento nella sua celebre playlist. Gli propongono un incontro. Lui si presenta vestito da Iena e reduce da un servizio, loro con un disco da consegnare. In piena trance agonistica riesce a farli entrare nella sede milanese di Spotify, dove insieme al disco lasciano un biglietto “al signor Spotify”. Mi mostra le storie Instagram che documentano l’improvvisata follia.
Dopo tre giorni i due artisti lo chiamano: “Ma se ti si proponesse un featuring? Ti si manda il provino, se ti garba la si fa”. Passano pochi giorni e Nicolò si ritrova a Pistoia, in uno studio di registrazione, a partorire All you can eat dando il proprio contributo al testo e alla musica. Il tema è leggero, il ritmo orecchiabile, di quelli che entrano in testa e ci rimangono.
Nicolò fa da regista e sceneggiatore del video – girato rigorosamente in un all you can eat, così come la presentazione del disco alla stampa – riuscendo a renderlo contagioso e fruibile tanto quanto il brano. Nulla di tutto ciò è stato fatto a scopo di lucro: “Puro core. E pura passione”.
Non sono mancati nemmeno i live: al Circolo Magnolia a Milano e a Vinci, dove lo hanno ascoltato anche i suoi genitori. “Ho visto mio papà che faceva il video, emozionatissimo. È stata una delle gioie più grandi della mia vita”.
Nicolò è un po’ come il suo brano: funziona. Faccia da bravo ragazzo, animo pure. È un entusiasta con i piedi ben piantati a terra, molto più riflessivo di quanto dia a vedere. Un’estroversione che sfiora il flusso di coscienza, ben capace di celare la preziosa timidezza di fondo.
“E poi so’ del cancro, un romanticone”, confessa. Versatile come il suo username di Instagram, riesce a condividere tutto senza ostentare nulla, consapevole del privilegio che ha chi fa ciò che ama. Dove vuole arrivare? “La mia ispirazione è Alessandro Cattelan”, mi aveva detto allora. “Dici niente”, avevo risposto io. Ma la realtà, ad oggi, è che non è affatto detto che non ci arrivi.
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