E se la pandemia ci avesse alzato il “QI”? Lo sapremo dai libri che verranno
L’umanità ha compiuto un’esperienza spirituale di enorme portata attraverso la silenziosa stasi del grande letargo planetario. Per qualche settimana ci siamo trasformati in meditabondi anacoreti. Ma forse, al risveglio, saremo più vogliosi di sostanza e contenuti, più attenti nei ragionamenti e sensibili nell’analisi delle emozioni: in pratica, più esigenti nei gusti letterari.
Negli ultimi decenni il popolo dei lettori si è spaccato. Da un lato la minoranza di coloro che si tramandano per “consuetudine familiare”, direbbe il grande Manara Valgimigli, la logica poetica; dall’altro le mandrie di quelli che un eufemismo appella lettori occasionali (definizione strana, un po’ come dire onesti occasionali o vergini occasionali…). Quelli che, insomma, forti del numero, indirizzano il mercato. Già, il mercato. Parola che aleggia sulle nostre vite, dall’economia alla cultura, senza che in fondo riusciamo a darle un volto. Eppure c’è in gioco il destino del più fidato, nobile e prezioso amico dell’uomo dopo il cane: il libro.
Fino a poco tempo fa esisteva una classe colta, trasversale, che amava e comprendeva i libri. Medici, notai, avvocati, erano spesso veri e propri intellettuali paralleli. E anche l’emancipazione della classe operaia passò per un profondo orgoglio di acculturamento. Ma ora l’editoria indipendente, quella che assicurava al mondo del libro la varietà biologica, indispensabile per l’evoluzione delle specie, sembra defunta. I prodotti commerciali sommergono quelli più ambiziosi, e un abominevole, spregiudicato fenomeno mimetico li rende indistinguibili. La colpa, naturalmente, è anche della tv: memorabile la scena in cui Alessandro Cecchi Paone, battuto con la sua gloriosa Macchina del tempo dal Grande Fratello nella sezione cultura dei Telegatti, perse la trebisonda e mandò tutti a cagare.
Ogni criterio di discrimine sembra smarrito. Trionfa il secondo principio della termodinamica. Ma, ahinoi, entropia vuol dire trasformazione interna, non interiore. L’astuzia eclissa l’intelligenza. E la lotta per la conquista del pubblico si fa più brutale del pancrazio. Nel silenzioso corpo a corpo che si svolge in libreria, ogni titolo, per sopravvivere, spara colpi proibiti. Non c’è più libro, nemmeno di ricette, che non abbia scritta in quarta di copertina la frase fatale: «Il nuovo straordinario capolavoro di…». Il talento dell’editore si risolve dunque nel rispettare i comandamenti del mercato (che poi è un comandamento solo: onora il profitto)? O c’è dietro un po’ di pigrizia, di eccessa paura di osare, che rischia di far diventare l’editoria l’ennesimo tassello della mediocrazia che ci divora?
Il futuro dell’editoria secondo gli esperti: i libri per ragazzi secondo Giunti
Ne ho parlato con alcuni personaggi di spicco del mondo del libro, invitandoli a interrogarsi sul futuro dell’editoria per trovare una risposta a un interrogativo chiave: i lettori vanno creati, per dirla con Umberto Eco, o assecondati, un po’ come fa la politica di oggi con gli elettori?
“L’impatto dell’emergenza è stato devastante”, spiega Beatrice Fini, direttore editoriale dell’area Ragazzi e Young Adult della Giunti, gigante di questo fondamentale settore: “In primavera programmiamo il piano editoriale, inizia il periodo più forte di promozione alla lettura nelle scuole, partecipiamo alle fiere, ma tutto è stato stoppato. Adesso c’è uno spiraglio di luce e lentamente stiamo riprogrammando, lavorando da remoto, riaprendo qualche negozio con le dovute accortezze. Ci vorrà tempo per tornare alla normalità, ma non vediamo l’ora di recuperare il tempo perduto. Credo comunque che questa catastrofe potrà portare dei miglioramenti: ci ha fatto riflettere. Abbiamo capito quanto è importante investire sull’istruzione, sulla lettura, sulla ricerca, e cosa significa lavorare insieme per il bene comune. Spero che, passata la burrasca, non si dimentichino i sacrifici. Abbiamo toccato con mano il male che l’uomo ha procurato al pianeta, e sofferto per la decimazione di una generazione che era la nostra memoria. I nonni hanno raccontato tante storie a tutti noi, facendoci amare i libri”. E qui, parole sacrosante: “Nell’editoria per ragazzi non si pubblica un libro solo perché risponde a canoni commerciali. I giovani sono il nostro futuro e ogni storia scritta e pensata per loro deve avere una valenza sociale che vada oltre l’intrattenimento e persino la conoscenza. Io sento questa grande responsabilità, che è anche un enorme privilegio. Sarebbe bellissimo che tutti i settori dell’editoria, ma anche le famiglie, la politica, la scuola se ne facessero carico. Scrivere, illustrare, leggere, ascoltare belle storie, è ciò che ci rende umani”.
Le difficoltà dell’editoria sul medio termine secondo Mondadori
Anche per Giordano Aterini, editor di narrativa della Mondadori, le difficoltà immediate dell’emergenza sono state enormi, ma se ne attendono altre sul medio termine: “La seconda ondata dell’impatto inizierà quando il lockdown finirà. Le conseguenze della chiusura sono solo all’inizio, insomma, un po’ come accade in tutti i settori”. Anche in lui si avverte, però, un profondo e orgoglioso desiderio di rivincita: “Per dirla con Michael Stipe”, continua Aterini, “questa che stiamo vivendo non è la fine del mondo, ma l’occasione per setacciare ciò che del vecchio mondo merita di essere portato con noi nel nuovo. Credo che l’editoria, pur nelle sue specificità, debba affrontare questo passaggio. Non solo per i contenuti, ma anche per la struttura. Spero sinceramente che l’editoria cambi, ma che lo facciano anche le persone. Che si torni a pensare ai libri come la prima cassetta degli attrezzi a cui guardare per decifrare il mondo, e noi stessi all’interno del mondo”.
Editoria, tra editori e autori ci sono gli agenti
Fra editori e autori c’è un anello di congiunzione delicato e importante: gli agenti, ovvero gli editor freelance come Lara Giorcelli, che ha alle spalle una vasta e poliedrica esperienza in grandi case editrici, ed ora opera nel collettivo di professionisti indipendenti di Bottega Miller. “Credo che questa esperienza abbia allontanato i lettori, almeno temporaneamente, dai libri mordi e fuggi, legati all’oggetto fisico e al contatto diretto con l’autore in sede di presentazioni. L’attenzione si è spostata sull’intrattenimento di buona qualità e su ciò che può fornire strumenti di analisi e approfondimento. Avverto una certa resistenza, in un momento come questo, verso la frivolezza. Difficile dire quanto durerà, ma sono certa che gli editori non perderanno l’occasione per far di questa esperienza collettiva un punto di riferimento di future riflessioni. L’editoria non può permettersi il lusso di ignorare i gusti dei lettori, ma c’è sempre spazio per slanci coraggiosi. Nel mio mestiere saper credere nel valore di un testo è importante: e spesso è da questo che nascono i libri che durano di più nel tempo. Lavorando in Bottega Miller insieme a professionisti che si occupano di narrazione, seppur con declinazioni diverse dalla mia, ho imparato che nella comunicazione è sempre importante avere ben chiara la propria identità. Ecco: lavorare a fondo sull’identità di ogni libro è già una buona risposta rispetto ai rischi di cui stiamo parlando.»
La crisi del libro, la parola alle scrittrici
Infine, due scrittrici: Federica Flocco, che è anche anche giornalista e libraia, appena uscita con Nonno Ico e i ragazzi del quartiere; e Simona Sparaco, autrice capace di coniugare la vetta delle classifiche con una esemplare qualità letteraria, e che come sempre sa mettersi in discussione e spendere parole coraggiose. “La gola da un lato, la mente dall’altro, col Coronavirus abbiamo saziato i nostri appetiti”, dice la Flocco, “e ci siamo presi cura di noi stessi, anche attraverso i libri, magari dei classici, portatori sani di qualità. È per questo che ritengo, insieme ad Alberto della Sala, direttore della libreria IoCiSto di Napoli, che proprio la qualità debba diventare addirittura il diktat di una nuova stagione letteraria. Esauriti i libri a scaffale, si attendono con trepidazione le nuove uscite, che permetteranno alla filiera di rimettersi in moto nel migliore dei modi. Sono certa che le case editrici faranno la loro parte, investendo le risorse nel miglior modo possibile. La speranza è chiaramente quella di un ritorno alla normalità senza normalità, in cui lo slogan potrebbe essere più libri (belli) per tutti!”
“Per me l’isolamento è una condizione naturale”, spiega Simona Sparaco, “ma so riempire la solitudine con le storie dei miei personaggi e le idee che, nei momenti di stress, mi vengono a trovare ancora più frequentemente. Dal punto di vista della vita privata invece è dura. Ho figli piccoli che pretendono la mia presenza costante, genitori anziani, e appartengo alla categoria dei più apprensivi: ma ora per fortuna nelle nostre vite c’è Massimo, il papà dell’ultimo nato. Non so quale impatto avrà il Coronavirus sull’editoria, ma stiamo vivendo un’occasione di crescita per tutti. Prima di questo arresto andavamo sempre di corsa. Avere troppo ti fa perdere di vista ciò di cui hai bisogno. Le librerie sono affollate, le case editrice sfornano titoli come fossero pacchetti di patatine: dopo due mesi un libro è già vecchio, e alla fine si corre non si capisce più per quale traguardo… La lettura è importante, e molti la stanno riscoprendo. Ma hanno bisogno di qualità, e di trovare, in quelle farmacie dell’anima che sono per me le librerie, qualcuno capace di dare loro conforto e di consigliarli. Mi auguro che si torni indietro, a quando ogni cosa aveva l’importanza che meritava. Ora sto finendo un nuovo libro che uscirà a settembre, e la quarantena mi è servita per dare ancora più spessore alla storia che racconto. Una storia attuale e che, in un certo senso, ha a che fare proprio con quello che stiamo vivendo”.
Già, perché infondo la letteratura è prima di tutto questo: l’arte di rendere tridimensionale il gioco di ombre della vita, e di ascoltare una per una le emozioni che una quotidianità sempre più sbrigativa rischia di annullare in un confuso e vano dissolversi di echi.
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