Nel passaggio fra 2023 e 2024 sono tanti i temi caldi sul tavolo della premier Giorgia Meloni. Nel momento in cui scriviamo la Legge di Bilancio non è ancora stata formalmente approvata dal Parlamento. In attesa di capire cosa verrà definitivamente stabilito, proviamo a ragionare sui fatti. Nel nuovo anno il Governo Meloni non potrà non affrontare ancora le problematiche legate alla Sanità, alla Scuola, alla Povertà, al Lavoro, nonché un tema sempre più sentito nell’opinione pubblica: quello della sicurezza per le donne.
Salute
La Sanità pubblica attraversa una fase di profonda difficoltà. Mancano i medici, gli ospedali fanno acqua, le liste di attesa si allungano, la gente per non fare le fila paga, alcuni reparti vengono soppressi, ospedali accorpati, maternità chiuse, sprechi che continuano, medicina territoriale in crisi, sussidiarietà allo sbando. La Sanità pubblica sta perdendo per strada i principi base che l’hanno ispirata: assistenza gratuita, universale e uguale per tutti.
Il malato in difficoltà cerca così di arrangiarsi, risolve i propri problemi di tasca propria e si rivolge al privato, dove le compagnie d’assicurazione propongono vantaggiose polizze sanitarie. Si vuole andare verso un rafforzamento del privato o si crede ancora nel pubblico? Si vuole forse risparmiare negli investimenti per il Servizio sanitario pubblico perché tanto ci penserà il privato?
Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, fa un bilancio parlando con TPI: «In termini assoluti gli incrementi del Fabbisogno Sanitario Nazionale previsti dalla manovra (3 miliardi di euro, ndr) rappresentano senza dubbio un’importante iniezione di risorse per la Sanità pubblica. Tuttavia, considerato che circa 2,4 miliardi saranno destinati al rinnovo contrattuale del personale sanitario, residueranno 600 milioni nel 2024 per tutte le altre misure: dalle modifiche alla modalità di distribuzione dei farmaci all’abbattimento delle liste d’attesa, dall’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza alle cure palliative e terapia del dolore fino a quelle in materia di immigrazione. Cifra che appare insufficiente per consentire alle Regioni di attuare tutti gli obiettivi della manovra».
«Inoltre, essendo tutte le misure finalizzate a specifici interventi, non c’è alcun margine di manovra per adeguare la spesa sanitaria alla crescita dei prezzi. Con la necessità di scelte gestionali difficili per allocare le esigue risorse tra i vari obiettivi e di dover ricorrere, ancora una volta, a strumenti per razionalizzare la spesa deleteri per la qualità dell’assistenza».
Istruzione
Le condizioni in cui versa il sistema scolastico italiano non sono di certo rosee, anzi. Ogni anno sembrano emergere nuove criticità, soprattutto a settembre, quando è tempo di fare ritorno tra i banchi. Tra problemi nel reclutamento degli insegnanti, condannati a una vita di precariato, mancanza di fondi e una didattica incapace di assolvere alle esigenze dei singoli studenti, con conseguente abbandono scolastico al 12,7% , sembra che la Scuola in Italia faccia acqua da tutte le parti.
A questi disagi, se ne aggiunge un altro, già denunciato da molti ma la cui gravità è emersa soprattutto a seguito della pubblicazione del ventesimo rapporto redatto da Cittadinanzattiva in merito alla sicurezza delle scuole.
I dati condivisi all’interno dell’indagine sono tutt’altro che rassicuranti e ci restituiscono una realtà in cui gli edifici scolastici sono vecchi e corrosi dal tempo: basti pensare che il 42% del totale delle scuole sparse sul territorio nazionale è stato costruito prima del 1976 e che più della metà delle strutture scolastiche statali attive nell’anno accademico 2021-2022 sono prive dell’agibilità e della prevenzione incendi.
Purtroppo sul tema siamo in ritardo e il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) non potrà risolvere tutte le criticità presenti. Si parte da una situazione di forte difficoltà. Come risulta dalla ventiduesima edizione di “Ecosistema Scuola”, presentata da Legambiente a gennaio 2023, il 30,6% delle scuole necessitava ancora di interventi straordinari. Un dato che al Sud sale al 36,8% e nelle isole al 53,8%.
Sempre negli ultimi cinque anni le indagini diagnostiche dei solai risultano eseguite solo nel 30,4% degli edifici, un dato che scende nelle isole al 18,8%. Gli interventi per la messa in sicurezza sono stati invece realizzati, a livello nazionale, appena sul 12% degli edifici. C’è ancora molto da fare in materia nel 2024.
Ma veniamo ai docenti. È stato finalmente aperto, in ritardo, il concorso per assumere oltre 30mila insegnanti di ruolo nelle scuole, grazie ai fondi del Pnrra. I bandi sono stati pubblicati l’11 dicembre scorso sul sito del Ministero dell’Istruzione e prevedono la copertura di 9.641 posti per scuola primaria e dell’infanzia e di altri 20.575 per la scuola secondaria di primo e di secondo grado. Le domande potranno essere inoltrate dall’11 dicembre al 9 gennaio 2024. Inoltre, potrebbe essere presto approvato un’ulteriore integrazione di altri 14mila posti.
Povertà
In Italia una persona su dieci è in stato di povertà assoluta. Non solo: si tratta di un fenomeno «ormai strutturale e non più residuale come era in passato». Le situazioni di deprivazione sociale continuano e «in molti casi» peggiorano.
E il Governo Meloni in questo contesto ha «abbandonato un approccio organico al problema della povertà», eliminando il Reddito di cittadinanza e scegliendo invece misure che escludono certe categorie o danno aiuti solo estemporanei. È il duro bilancio fatto dal rapporto Caritas sulla povertà.
Roberto Zuccolini, portavoce della Comunità Sant’Egidio, traccia un quadro della situazione sulle misure adottate al contrasto della povertà e su quanto è ancora necessario fare: «C’è sicuramente la problematica di affrontare in maniera diversa la situazione che si è creata, ovvero l’effetto combinato composto da pandemia, guerra in Ucraina, guerra Israele-Hamas e carovita. Un effetto combinato che ha costretto 5,6 milioni di italiani in condizione di povertà assoluta. Un trend che non si è fermato».
Quindi cosa fare? Secondo Zuccolini, «bisogna vedere se, dopo il Reddito di cittadinanza, la nuova misura introdotta dal Governo (l’Assegno di Inclusione, ndr) funzionerà. Nel frattempo, però, bisogna attivare sicuramente un fondo per l’emergenza abitativa, che è la la più grossa emergenza che esiste per dare una risposta a questa fascia della popolazione che si è impoverita. Gran parte dei problemi delle famiglie italiane è dovuta al fatto che non riescono a pagare l’affitto».
La proposta di Zuccolini è questa: «Destinare una parte dei fondi previsti per il Giubileo per rispondere a questa emergenza abitativa che in gran parte interessa la Capitale ma c’è in tutta Italia. Anche gli sfratti che sono aumentati in maniera vertiginosa. Sappiamo che per il Giubileo sono stati stanziati 3 miliardi e 400 milioni di euro. Se si può ricavare una parte anche minima a questi fondi per rispondere a questa emergenza sarebbe già un grande passo».
«C’è però anche bisogno di un accordo tra le istituzioni e associazioni che si occupano di rispondere alla fragilità delle persone per vedere come sfruttare anche il grande patrimonio immobiliare non occupato che esiste a Roma e in Italia. Converrebbe anche ai proprietari delle abitazioni trovare delle soluzioni. Calmierare gli affitti magari attraverso questo fondo così anche i proprietari degli immobili possono trovare qualcosa in tasca. Sono due proposte legate che potrebbero essere messe in atto con una cabina di regia».
Lavoro
I salari italiani sono al palo. L’ennesima conferma del trend che ben conoscono i lavoratori arriva dal rapporto annuale dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (Inapp), che registra come tra il 1991 e il 2022 i salari reali in Italia sono cresciuti appena dell’1%, a fronte del +32,5% registrato in media nell’area Ocse.
Secondo la ricerca, presentata nei giorni scorsi alla Camera, il dato è legato anche alla bassa produttività del lavoro, cresciuta però più delle retribuzioni nel periodo. Risultato: la continua caduta della quota dei salari sul Pil a fronte della crescita del peso dei profitti (40% contro 60% rispettivamente). Una tendenza allarmate, sottolinea l’Inapp: se le cose proseguono così ci sono «forti dubbi sulla tenuta di tale modello nel lungo periodo».
Che fare dunque? «Potrebbe essere utile in questo contesto l’introduzione del salario minimo legale», sostiene l’Inapp. Anche considerato che le tanto celebrate norme sulla contrattazione collettiva, addotte spesso a ragione dell’opposizione al salario minimo, «non sono state capaci di garantire tra il 1991 e il 2022 la crescita dei salari reali». E d’altra parte, «non esistono ragioni né sul piano analitico né sul piano dell’evidenza empirica per escludere strumenti basati sull’imposizione di una soglia minima invalicabile».
Questioni di genere
«La violenza sulle donne è un problema sistemico delle nostre società, non riguarda solo l’Italia e trae i suoi presupposti dal prodromo che è lo stereotipo legato all’identità di genere. Se consideriamo che negli ultimi anni si è lavorato solo sugli effetti e mai su un vero cambio di passo e di cultura, la prima cosa che penso per il 2024 è che bisognerebbe lavorare molto sulla prevenzione». A dirlo a TPI è la responsabile dell’area accoglienza di Differenza Donna, Cristina Ercoli.
«In questi giorni sto facendo corsi di formazione in varie città d’Italia, richiesti dai docenti, corsi che si pagano da soli, non c’è un sistema a pioggia nazionale. Il corso verte su come sensibilizzare i ragazzi nelle scuole e quali strumenti dare al personale docente per riconoscere gli indicatori della violenza. I corsi si incentrano sull’andare verso lo svelamento del fenomeno della violenza nelle relazioni di intimità e sono sviluppati in diversi incontri».
I centri antiviolenza sono delle antenne sul territorio e hanno alfabetizzato le donne e non solo alle emozioni. Con i centri si è fatta prevenzione nelle scuole sui territori, questo ha creato maggiore consapevolezza rispetto al tema della violenza maschile sulle donne. C’è poi un’evoluzione culturale: non è vero che i giovani sono tutti uguali e ancorati a una cultura patriarcale, ci sono dei ragazzi che si posizionano con una condanna chiara rispetto a chi agisce violenza. «Però sono ancora purtroppo degli elementi rari», ribadisce Ercoli. «Questa cultura non è diffusa perché non diamo loro dei modelli alternativi e quindi come effetto moltiplicatore sociale loro introiettano il modello dell’insegnate, del professore, del padre. Dei referenti adulti maschi. Si agisce sempre a livello punitivo, e si ha questa ritrosia ad agire su un livello culturale».
Per capire il motivo e ragionare su cosa fare nel futuro, Ercoli spiega che «c’è una confusione sul gender gap e sui gruppi che fanno prevenzione nelle scuole. Alcuni genitori bloccano questi corsi, ricorrono ai dirigenti scolastici, che per mantenere le iscrizioni alle loro scuole sono costretti a cancellarli. Ci sono i gruppi pro-vita, i gruppi di destra che vogliono mantenere la famiglia tradizionale in una cultura del dispotere in cui la donna deve subire pur di mantenere unito quel modello di famiglia. Il ventaglio di altre possibilità non lo vogliono nemmeno valutare, vogliono rinsaldare la famiglia tradizionale. Abbiamo visto quanto adesso il governo sia premiante rispetto alle esenzioni e ai sussidi al reddito con famiglie che hanno più di tre figli. Il tutto è molto collegato».
Secondo Ercoli, «i buoni propositi per l’anno nuovo dovrebbero riguardare gli interventi a monte. Le proposte di legge che sono state fatte finora sulla prevenzione parlano di solo trenta ore l’anno che i docenti dovrebbero gestirsi in autonomia, senza fare riferimento a delle competenze specifiche. Oltre la scuola si può intervenire in tanti luoghi, con tantissimi mezzi e strumenti. Nei luoghi di aggregazione giovanile, per esempio dove si fa sport. Si potrebbe lavorare sui referenti adulti in modo da farli lavorare e relazionarsi con i ragazzi con altre modalità perché loro per primi hanno fatto un lavoro. Si può pensare a corsi fatti dallo Stato su cosa significa la convivenza, la reciprocità, il valore delle differenze, magari con dei corsi prima del matrimonio civile».
«Se osserviamo invece il lato norme possiamo dire che gli strumenti legali ce li abbiamo», prosegue Ercoi. «Un problema riguarda la magistratura. Adesso col codice rafforzato i magistrati non sono ancora edotti su cosa comporta il rafforzamento del Codice Rosso, ad esempio sull’ammonimento. Chi li fa i corsi ai magistrati? Ci sono delle linee guida, ma per fare i corsi ci devono essere anche dei fondi dedicati, una linea di finanziamento che lo prevede».
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