“Non riesco a immaginare un uso migliore delle mie tasse. In compenso ne conosco di peggiori. Chi paga i burocrati che rallentano qualsiasi pratica per ignavia, avidità o paura? Noi. E chi paga i dipendenti pubblici che durante la pandemia si sono chiusi in casa con più zelo di un congresso di virologi e hanno continuato a prendere lo stipendio senza fare nulla, infischiandosene dei colleghi che nel frattempo si addossavano la loro parte di lavoro? Sempre no”.
È il passaggio di un articolo di Massimo Gramellini pubblicato nel suo consueto Caffè sul Corriere della Sera. Tutto inizia raccontando la storia delle gemelline operate al Bambin Gesù e del post della Meloni dove sono fioccati commenti di pessimo gusto come “chi paga?”. Gramellini asserisce: “non riesco a immaginare un uso migliore delle mie tasse”, e poi il resto è quello che abbiamo letto, chiamando in causa i dipendenti pubblici che hanno preso lo stipendio durante la pandemia pur non lavorando.
Un articolo che non è piaciuto e che ha scatenato le stesse aspre critiche che provocò lo scivolone su Silvia Romano di due anni fa, quando scrisse: “Ha ragione chi pensa, dice o scrive che la giovane cooperante milanese rapita in Kenya da una banda di somali avrebbe potuto soddisfare le sue smanie d’altruismo in qualche mensa nostrana della Caritas, invece di andare a rischiare la pelle in un villaggio sperduto nel cuore della foresta”. Mentre il finale della rubrica verteva sulla gioventù, archiviando l’esperienza keniana della cooperante alla voce di sogni ed entusiasmi dettati dai 23 anni della ragazza.
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