Flowers Festival 2019 | “Il mondo in cui viviamo ci appare ogni giorno come un terreno sempre più friabile. Questo a ogni livello, da quello mondiale o continentale via via fino alle nostre persone. Ogni tanto qualcuno cammina controcorrente in modo inaspettato su questo piano inclinato. Pensiamo ad esempio al movimento di Greta Thunberg. Flowers è un festival musicale che ha la possibilità di ospitare individui dotati di un potere superiore: la poesia e i poeti riescono a vedere cose che nessuno vede al momento”.
A raccontare in un’intervista a TPI il motto “Building a new society” il direttore artistico Fabrizio Gargarone.
A Torino presentata ufficialmente l’edizione 2019 del Flowers Festival, rassegna che ogni estate catalizza l’attenzione degli amanti della musica a 360°. Quest’anno la kermesse avrà un nuovo focus di partenza improntato sulla costruzione di una società “altra”, diversa, nuova che non allontana la diversità ma tende all’inclusione.
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“Building a new society”, è il nuovo mantra di questa edizione del Flowers Festival 2019: da dove nasce questa necessità? Cosa vi ha fatto virare verso questa scelta?
“Il Festival ha provato a chiedere agli artisti di indicare una qualche strada che riporti a un senso di connessione, di comunità, di nuova società. In un momento di intrattenimento proviamo davvero a stimolare una riflessione nello spettatore. Insomma, nessuno è solo, o almeno non dovrebbe mai esserlo.
Siamo partiti non da un concerto ma un discorso, quello tenuto da Ezio Bosso nel 2018 al Parlamento europeo devo il Maestro ha sostanzialmente indicato nella musica, nel lavoro di orchestra, nella capacità di parlare ma più di tutto ascoltare che hanno i suoi musicisti una strada per vivere insieme in armonia.
Bosso ama ricordare che il mondo sarebbe migliore se le persone fossero anche solamente gentili. Gentilezza militante. Una bella immagine”.
Molti i nomi internazionali quest’anno: tra questi Joan Baez e Yann Tiersen. Come si collocano all’interno della line up del Flowers Festival 2019?
“Sono due bei tentativi, molto diversi per rispondere a questo periodo di smarrimento. Joan Baez dice di se stessa di non considerarsi una cantante ma piuttosto un’attivista politica.
In effetti, dagli anni Sessanta a oggi è stata protagonista di tutte le grandi battaglie progressiste della società americana. Dalla lotta al razzismo, alla guerra del Vietnam, alle battaglie ambientali, a quelle del femminismo storico e del neo femminismo: Joan Baez è sempre stata non solo in prima linea ma estremamente contemporanea. Basti pensare che un brano del suo ultimo album è stato scritto da Anohni, artista d’avanguardia, oggi icona del neo-femminismo mondiale.
Yann Tiersen invece non è sulle barricate ma ha scelto un’altra strada. Con la sua compagna è andato a vivere a Ouessant, una piccola isola di fronte alla Bretagna, con ottocento abitanti. Ha comprato la vecchia discoteca dell’isola e ne ha fatto uno studio di registrazione, oltre che un centro sociale per tutti gli abitanti.
Non ha scelto Parigi o New York ma un posto in cui conoscere tutti, parlarci, immersi in una natura abbastanza ostile. Sta costruendo o meglio sta partecipando alla costruzione di una comunità. I suoi ultimi album raccontano di questo tentativo di connessione con il mondo, e in fondo con se stessi”.
Un ex manicomio come humus per creare qualcosa di nuovo, vivo e privo di barriere: quanto può essere importante un messaggio del genere a livello non solo nazionale?
“C’è una bellissima poesia di Alda Merini dedicata a Basaglia che si chiude così: Come eravamo innamorati noi / laggiù nei manicomi / quando speravamo un giorno / di tornare a fiorire / ma la cosa più inaudita, credi / è stato quando abbiamo scoperto / che non eravamo mai stati malati.
Ecco, poter realizzare un Festival in un luogo come questo, poter spiegare al pubblico cosa è stato quel luogo e cosa è diventato oggi è molto importante. Al momento dell’entrata in vigore della Legge 180, le amministrazioni dell’epoca decisero che quegli spazi di detenzione sarebbero stati restituiti a tutti usando la cultura come chiave.
Oggi, quegli spazi che trasudavano dolore di persone spesso malate solo di povertà, danno gioia, svago, tempo libero, cultura. Noi intendiamo però ricordare. In qualche modo stiamo provando a restituire piano piano il male che è stato fatto. Il nostro alleato è la memoria”.
In un momento di estrema divisione e discriminazione vi muovete rispettando il naturale decorso delle radici storiche e non solo del paese: scavare a fondo per modellare quello che si trova in superficie. Cosa vi augurate per questa edizione 2019?
“Ci auguriamo che Flowers Festival contribuisca a mantenere Torino all’avanguardia delle posizioni progressiste in questo Paese. Quando penso al Gay Pride o al Mad Pride o a Lovers, o ultimamente all’espulsione dei neofascisti dal Salone del Libro mi sento orgoglioso. Esattamente mi sento parte di una comunità e Flowers 2019 lo vivo come un mio personale contributo”.
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