Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
Home » Costume

“Io, artista italiano ‘confinato’ in Finlandia, ho disegnato la Divina Commedia record di 100 metri”

Enrico Mazzone e la sua Divina Commedia

Pancia a terra, sdraiato su un foglio di carta lungo quanto un campo da calcio, Enrico Mazzone, artista torinese 'esiliato' in Finlandia, da tre anni e per dieci ore al giorno sta disegnando il poema dantesco da Guinness. Un'opera straordinaria e unica in una condizione sempre più comune, quella dell'artista costretto a emigrare all'estero. TPI racconta la sua storia

Di Clarissa Valia
Pubblicato il 3 Gen. 2020 alle 18:02 Aggiornato il 3 Gen. 2020 alle 21:02

“Vorrei solo per poter regalare al mio Paese qualcosa di unico ed eccellente. È il mio contributo all’Italia”, confessa a TPI Enrico Mazzone, 37enne originario di Torino, che da 5 anni vive a Rauma, in Finlandia dove sta realizzando una Divina Commedia da Guinness su un foglio di carta di 97 metri per 4. Un’opera straordinaria e unica in una condizione sempre più comune, quella dell’artista costretto a emigrare all’estero per potersi mantenere economicamente e per poter vedere riconosciuto il proprio lavoro.

Nel Paese nordico a differenza dell’Italia, infatti, Enrico spiega che per gli artisti “c’è più assistenza. È questa la differenza principale tra l’essere un’artista in Italia e in Finlandia. Qui in Finlandia ci sono dei riscontri sociali. C’è una certa concretezza che nel nostro Paese manca. Se hai un progetto artistico valido ricevi sostegno. In Italia abbiamo il potenziale e maggiore sensibilità artistica, potremmo quasi vivere solo di Arte, ma sicuramente questo non avviene. L’Arte è vista sempre come qualche cosa di ‘leggero'”.

Da tre anni Enrico Mazzone lavora sdraiato sul pavimento al disegno del poema dantesco con la tecnica del puntinismo, utilizzando delle semplici matite di grafite. Il foglio è immenso: 97 metri, lungo quanto un campo da calcio. “Sono arrivato a picchi di lavoro di 13/14 ore al giorno. Finora sono arrivato a disegnare 60 metri di foglio. Me ne mancano 37”, racconta l’artista italiano a TPI.

“Il mio sogno è quello di potere concludere l’opera in Italia ed esporla in occasione delle celebrazioni dei 700 anni della morte di Dante Alighieri“, confessa Enrico. Ed è proprio dalla città dove il Sommo Poeta decise di vivere gli ultimi anni della sua vita (e dove poi è morto, ndr) è arrivata un’occasione per lui. “A Ravenna sembra concreto che possa terminare la cantica del Paradiso”, ci dice entusiasta.

“Grazie a Marco Miccoli (organizzatore degli eventi Dante Plus e Dante 2021) e all’assessore al Turismo, Giacomo Costantini, da marzo a dicembre 2020 potrò lavorare in uno studio di 5 metri per 5 e completare il canto del Paradiso in Italia”, spiega Enrico Mazzone.

Enrico Mazzone e la sua Divina Commedia. Credit: Lisbet Joelsson
Ma partiamo dal principio Enrico. Quando hai deciso di lasciare l’Italia e trasferirti all’estero? 

“Quando ho preso la seconda laurea in scenografia all’Accademia Albertina di Torino. Dopo anni di Accademia nel 2007, a 25 anni, ho deciso di concedermi una piccola vacanza ad Oslo, in Norvegia. Qui ho avuto un’Epifania. Questo viaggio è stato un po’ il preludio di tutto. Di ritorno a Torino con la mia piccola vacanza in tasca mi sono messo di modo quasi pistino e machiavellico a lavorare per racimolare soldi da investire per fare poi qualcos’altro, qualcosa di più oltre la vacanza. Cercavo qualsiasi situazione che mi potesse dare una certa credibilità. Sai cosa vuoi fare da grande, mi sono detto, e mi sono risposto, l’artista. E allora meglio tirarsi subito su le maniche e guadagnarsi la credibilità mi sono ripetuto”.

Quindi hai sempre cercato di lavorare con l’Arte o, per necessità, ti sei visto costretto ad accettare altri impieghi?

“Mi sono sporcato le mani in cucina, nel vero senso della parola. Ho dovuto seriamente sudare e faticare giorno e notte per riuscire a qualificarmi con un progetto come artista. So bene cosa si intende quando si dice che bisogna essere flessibili ma sono anche contento di avere capito cosa si intende con la parola lavorare. Anche lavorare a livello emotivo per raggiungere un obiettivo. È importante per chi come me non ha avuto la possibilità di essere sostenuto dalla famiglia. Fino a che un bel giorno nel 2010 sono tornato prima in Norvegia per un mese, poi in Svezia dove ho iniziato a farmi dei contatti e dove ho iniziato a testare il terreno per capire che tipo di alternative potessi avere ai diversi ristoranti, fast food, hotel in cui ho dovuto lavorare. Qui ho avuto la fortuna di conoscere musicisti per i quali ho disegnato le copertine per i loro album. Da lì sono andato a Berlino, dove mi sono trasferito per amore e ci sono rimasto per un anno intero. Finita la relazione sono tornato a Torino e ho ricominciato tutto da capo. Ho distribuito tanti curriculum. Prima solo a Torino, poi in tutto il Piemonte, poi in tutta Italia e in Europa. E alla fine la situazione tragicomica, ironica o buffa mi ha portato ad ottenere una sola ed unica risposta dall’Islanda. Quindi sono tornato a lavorare in cucina come aiuto cuoco in questo hotel stellato in mano, poi sono passato a lavorare al Road House per motivi legati alla condivisione, al gruppo, per sentirmi in uno staff più ampio”.

In quel momento della tua vita avevi messo per così dire l’Arte in stand by?

“Ero in un periodo di transizione. Come quando aspetti il momento adatto e vuoi sempre rallentare un pochino per scegliere tra diverse situazioni. Ero un po’ ‘in alto mare’ e il lavoro mi portava via qualcosa tipo 10/12 ore al giorno per 5 giorni a settimana. Ma dopo poco meno di un anno che ero a Reykjavik mi è arrivata per caso una chiamata dalla Residenza Raumars di Rauma, che è la cittadina finlandese dove attualmente mi trovo. Avevo fatto una richiesta per ottenere la residenza d’artista. Quello è stato il vero incipit“.

“Nel 2015 ho ricevuto un’altra richiesta di cooperazione con il Museo d’Arte di Upernavik, in Groenlandia, dove per due mesi ho lavorato disegnando costellazioni che poi mi hanno portato alla Divina Commedia. Rientrato a Rauma ho trovato un lavoro estivo come pittore di case, imbianchino in versione esterna per intenderci. Da un collega scopro che a Rauma esiste questa cartiera. Trasportato dalla mia passione per il disegno ho deciso di andare a visitarla. Da lì sono uscito con un rotolo di carta di 97 metri per 4. Per l’azienda era uno scarto, un difetto di produzione. E così me l’hanno regalato. Un rotolo di carta di 300 chili. Poi il comune finlandese mi ha concesso gratis per un anno uno spazio sufficientemente ampio dove potere disegnare: ho lavorato nelle aule dell’ex Università Popolare”.

Qual è per te la differenza tra l’essere un’artista in Italia ed esserlo in Finlandia?

“L’assistenza. Qui in Finlandia ci sono dei riscontri sociali. C’è una certa concretezza. Se hai un progetto artistico valido ricevi sostegno. In Italia c’è la serietà, c’è anche una certa critica che qua manca perché qui in Finlandia il modo di vedere l’arte è molto più imprenditoriale. Le cose si fanno senza problemi, avvengono dall’oggi al domani, iniziano e proseguono fino alla fine. In Italia, invece, abbiamo parecchia sensibilità artistica, ma credo che al momento abbiamo problemi ben più seri da risolvere piuttosto che andare a indagare sul metodo artistico. Lo riconosco, non posso parlare male del mio Paese. Ho capito che adesso i problemi sono legati al come arrivare a fine mese. In Italia abbiamo il potenziale, potremmo vivere solo di Arte, ma questo non avviene. L’Arte è vista sempre come qualcosa di ‘leggero‘”.

Tu vorresti tornare a vivere in Italia?

“Sì, assolutamente. E il prossimo anno sono di rientro. Sento proprio la necessità di tornare in Italia. Non riesco a stare più fuori. Tornerò finendo il lavoro. Spero quindi che il disegno della Divina Commedia possa essere considerato come un fiore all’occhiello per l’Italia. Vorrei potere condividere la mia opera con il mio Paese. Spero possa dare un enorme contributo a un orgoglio nazionale“.

 

Cosa vorresti che cambiasse per gli artisti in Italia?

“Posso risponderti partendo da che cosa non dovrebbe assolutamente cambiare secondo me: la perseveranza, la persistenza. Quella deve necessariamente esserci per cambiare le cose. Le diverse realtà oggigiorno non sono così promettenti, per questo bisogna credere nelle proprie potenzialità. Non dobbiamo continuare a pensare che dobbiamo andare a lavorare in un ristorante per mantenerci. Cambierei invece l’approccio allo studio nelle Accademie che in Italia funzionano ma si studia sempre troppa teoria e si fa troppo poca pratica. E si rischia così di uscire da queste Accademie con il massimo dei voti per poi essere scartati e rifiutati perché non si ha sufficiente esperienza in sede di colloquio lavorativo”.

Parlando della tua opera ci spieghi invece come è nata l’idea della Divina Commedia?

“Ho iniziato il disegno tre anni fa. Una volta che ho avuto il foglio ho iniziato a guardarmi attorno e ho capito che dovevo lasciarmi suggestionare dal paesaggio. Quello avevo attorno doveva essere una specie di cornice della situazione che stavo vivendo lì. Facendo jogging ho iniziato a osservare attentamente i dettagli del paesaggio e ho trovato quel seme, quella scintilla che mi ha portato alla Divina Commedia. Vagando per queste foreste mi sono soffermato sugli alberi e mi sono chiesto ‘Chissà se questi alberi potessero raccontare cosa hanno visto cosa direbbero?’. Ho pensato al foglio di 97 metri che avevo a casa e il processo della carta che viene dall’albero è stato il collante. Ho pensato alla memoria degli alberi in una chiave visuale, registrando quelli che sono stati una serie di eventi. Il rimando mi ha portato al 13esimo Canto della Divina Commedia. Da lì ho iniziato a cercare suggestioni che potessero collegarsi a un’iconografia dell’albero. Ho iniziato a disegnare il primo albero, una prima parte di foresta: Poi dalla foresta sono arrivato al mare che qui a Rauma, sembra più un lago. Guardando in lontananza mi sono sentito lontanissimo e ho guardato verso l’orizzonte. Un po’ come Dante quando si è sentito in esilio e tante volte si è ritrovato a guardare al di là dell’Appennino oltre al quale non poteva andare sognando Firenze. Da queste percezioni sensoriali mi sono un po’ immaginato di rientrare in una Divina Commedia sui generis. In tre anni sono arrivato a disegnare 60 metri di foglio arrivando a picchi di lavoro di 13/14 ore al giorno. Ora me ne mancano 37. A Ravenna sembra concreto che possa terminare la cantica del Paradiso grazie a Marco Miccoli (organizzatore degli eventi Dante Plus e Dante 2021) e all’assessore al Turismo, Giacomo Costantini, che mi hanno concesso uno studio di 5 metri per 5 dove poter completare la mia opera. Grazie a loro potrò finalmente realizzare il mio sogno di potere concludere il mio lavoro in Italia ed esporre la mia Divina Commedia in occasione delle celebrazioni dei 700 anni della morte di Dante Alighieri”.

Enrico Mazzone e la sua Divina Commedia da record
Leggi anche:
Roma, il muro di Fellini diventa una giungla colorata, l’artista a TPI: “Portiamo colore in zone dimenticate”
Leggi l'articolo originale su TPI.it
Exit mobile version