Si parla sempre tanto di influencer ma non si è mai parlato abbastanza delle diverse categorie di follower che animano le nostre discussioni online, nonostante poi, in definitiva, sia proprio la massa degli utenti comuni a tenere in piedi il baraccone dei social network. Devono aver avuto questo stesso pensiero al quartier generale di Facebook, visto che da qualche tempo a questa parte, sul social fondato da Mark Zuckerberg, il famigerato algoritmo assegna un nuovo, determinante, ruolo proprio ai commenti e quindi almeno in teoria ai follower.
Vi sarete resi conto, infatti, che adesso ricevete una buona dose di notifiche che vi avvisano del fatto che un amico, o un profilo pubblico che seguite, ha commentato un post con il quale non avevate ancora interagito. Evidentemente è finita l’epoca in cui gli influencer postavano un loro selfie e tanti saluti, il nuovo paragidma richiede che mantengano vivo il dibattito e non si limitino ad innescarlo, che coccolino la loro community, si relazionino a loro volta. O almeno fingano di farlo.
Il risultato è che alle nove categorie standard di follower, di cui leggerete più sotto, ultimamente se n’è aggiunta una nuovissima (nella quale confluiscono tutte le altre): quella degli stessi influencer che diventano followencer.
Nella versione più modesta i followencer si auto commentano per dirti che puoi seguirli anche su Telegram, Instagram, Twitter, Twitch, in bagno e al parco, per leggere gli stessi identici post già pubblicati su Facebook anche su Telegram, Instagram, Twitter, Twitch, in bagno e al parco.
Quando si dice “effetto sorpresa” e “strategia della carenza”, è a questo che gli studiosi di Harvard si riferiscono. Infatti l’utente medio va letteralmente matto all’idea di poter trascorrere l’intera giornata a rileggere all’infinito le stesse stronzate ma su app diverse. È la stessa dinamica che porta alcuni molestatori a scriverti in contemporanea su Whatsapp, sulla mail e su Messenger, lasciandoti anche un messaggio in segreteria e un vocale.
Secondo un recente studio pubblicato dalla famosa rivista americana “Il Social Media Manager di Merda”, il ricevente adora essere bombardato da contenuti indistinguibili per vacuità mentre l’emittente è convinto di essere circondato da lobotomizzati che non si renderanno conto del fatto che c’è una matrioska gigante nel corridoio.
Ma se nella loro veste di opinionisti virali sono forti di un quoziente intellettivo generale e generalizzato che si attesta tra lo zero e lo zero virgola, gli influencer traditi dall’algoritmo – che ora li vuole particolarmente attivi, laboriosi e intraprendenti anche nel ruolo di follower – sono allo stato attuale costretti a reinventarsi seguaci e concentrarsi quindi, soprattutto, sulle pagine altrui. Perchè adesso, per ottenere visibilità, l’imperativo categorico è intervenire altrove, oltre i confini del proprio regno, ovvero nei muri dei propri pari, cioè di gente che nel migliore dei casi si odia visto che la guerra a colpi di mi piace non è una settimana di detox all’Hotel Palace di Merano.
Si assiste così ad una metamorfosi epocale: i profili più seguiti sono impegnatissimi a farsi notare sulle altre pagine più seguite e la nuova frontiera del dominio social è raccattare reaction in casa d’altri. La vera sfida, oggi come oggi, non è al post che genera più condivisioni sulla propria bacheca, quella ormai è acqua passata, ma al commento che attrae più pollicioni sulle bacheche dei tuoi principali competitor, cioè le uniche bacheche in cui si possa ambire a sfondare la soglia psicologica dei millemila mi piace. Al di sotto della quale il followencer cade in depressione.
Avrete sicuramente notato che ormai siamo circondati: gli influencer che se ne sono sempre stati ognuno a coltivare il proprio orticello stanno occupando progressivamente anche l’unico spazio social che è sempre stato loro estraneo, quello dei commenti. Cioè l’unico spazio in cui le persone comuni potevano trovare un poco di gloria. Nei modi e nei termini che vi spiego qua sotto.
Dimmi che follower sei e ti dirò che problemi hai
I mantenuti. Ogni buon influencer ha almeno un aspirante influencer al traino che commenta regolarmente ogni singolo post cercando alla disperata di dire qualcosa di più intelligente e condivisibile del titolare della pagina. Sono i parassiti dei social network, il loro intento è travasare con il cucchiaino l’acqua del mare nella loro vasca da bagno.
Si distinguono da tutti gli altri per pesantezza e verbosità: il loro commento è tre volte più lungo del post originario ma soprattutto non è detto abbia niente a che vedere con il post originario perchè per convincere i follower degli altri a cliccare mi piace si punta spesso sull’effetto Voltaire: «non ho capito che c’entra ma darei il mio like per permetterti di dire qualcosa che non c’entra niente». Tra i mantenuti, il vero tocco di classe è dare l’impressione di essere ammanicati con l’influencer che lavora presso se stesso, chiamandolo ad esempio per nome. A quel punto il mitomane pesca a strascico perchè tutti vogliono essere amici di quelli che contano ma se butta male ci si accontenta di essere perlomeno amici dei loro amici.
Gli infoiati. Sono in assoluto la categoria più temibile, per chi ci si imbatte, per chi li assiste e soprattutto per se stessi. La completa immedesimazione nel beniamino di turno rende gli infoiati capaci di gesti estremi come usare il capslock, dare fuoco alle h e difendere l’indifendibile. Confondono qualsiasi pensiero di senso compiuto che non inizi per «brav» e finisca per «issimo» con una critica feroce al loro prediletto.
Di conseguenza insultano gli infedeli a ripetizione – letteralmente, sono i grandi fuoriclasse della strategia dello sfinimento – pensando di aver argomentato finemente. Sostengono fino alla morte le persone che seguono, si fanno carico, per conto loro, di qualsiasi replica a qualsiasi accusa, come condividessero quotidianamente con l’Eletto camera e cucina, o avessero frequentato la stessa scuola elementare, o conoscessero meglio di chiunque altro cosa gli passi per la testa. In questo modo, nella maggior parte dei casi, finiscono col suscitare imbarazzo perfino nel loro stesso assistito.
I dissimulatori. Il debunking, ovvero l’arte di fare quello che qualsiasi giornalista dovrebbe fare (verificare le fonti) però detto in inglese, ha creato negli anni di suo maggiore prestigio una categoria specifica di utenti che sono quelli terrorizzati dall’idea non aver compreso se una notizia sia vera oppure falsa.
Questo genere di commentatore compulsivo non perde un aggiornamento dei vari sbufalatori e sente il dovere – proprio il dovere – di intervenire fingendo sicumera per allontanare da sè ogni sospetto. Anche se in realtà dentro trema, si affanna, va in iperventilazione ogni volta che un debunker percula un diffusore inconsapevole di fake news. L’unico punto fermo è che le notizie spazzatura sono la peggiore disgrazia per l’intera umanità e il male supremo per la stampa italiana.
Perciò i dissimulatori commentano sempre con una tale dovizia di particolari – «sono tutte cazzate», «denuncia subito», «è solo fuffa» – che è chiaro padroneggino il tema perfino meglio dei cacciatori di bufale col bollino blu. Ma per poterli riconoscere al di là di ogni ragionevole dubbio c’è solo un modo: verificare se abbiano mai letto un quotidiano perchè no, non hanno mai letto un giornale in vita loro, tanto che hanno bisogno che qualcuno giornalmente gli certifichi con prove inconfutabili che non è vero che a Matteo Salvini sono cresciute le orecchie da Topolino.
I polemici. Una categoria a parte di follower è rappresentata da quelli che ti seguono ma hai il dubbio che siano dei bot russi perché non danno quasi mai segni di vita. Puoi pubblicare l’inchiesta dell’anno, e loro tacciono. Puoi concepire l’opinione più inattaccabile della storia, e loro non sono online. Puoi subire un attacco organizzato ed essere sommerso dalla peggiore tempesta di insulti, e loro muti.
Stanno lì, buoni buoni, sulla riva del fiume: attendono solamente di poterti cogliere in fallo; che sulla tua bacheca si generi una crepa – anche la più piccola – nella quale potersi insinuare per sfoderare un unico colpo mortale. Sono quelli che ti aspettano al varco, risorgono dalle loro ceneri come la Fenice solo il giorno in cui possono additarti, dire che hai sbagliato, “vergogna!”, postare l’articolo di un giornale che non esiste ma che ti smentisce clamorosamente. Di solito se li lasci fare alla fine litigano tra simili e dopo poco tornano al loro letargo.
Gli imprescindibili. Sono quelli che non hanno niente da dire ma si sono convinti che se non dicono comunque qualcosa si ritroveranno a dover pagare delle penali, come quando non hanno copiaincollato quel messaggio sul loro profilo e di fatto hanno autorizzato Canicattì a invadere San Marino. Il loro intervento niente aggiunge e nulla toglie alla discussione pubblica, ma loro lo considerano in tutti i casi imprenscindibile, non riescono a sottrarsi.
E così, ogni giorno, fanno il lavoro più duro di tutti: ti ricordano con una costanza invidiabile che esistono, ci sono e saranno sempre al tuo fianco, qualsiasi cosa accada. Per esempio, proprio adesso, vedono che ti stai chiedendo che fine abbiano fatto e così intervengono anche se non ne avrebbero assolutamente voglia: “grande”, “ahahahah”, “sono d’accordo”, “continua così”, “come no”, “esatto”.
I fedelissimi. Ci sono quelli che ti seguono instancabilmente, e si danno un gran da fare a commentare i tuoi post sempre e solo nell’ora di punta, non perché ambiscano a rosicchiarti due follower al giorno, ma perché mirano alla tua attenzione. Di solito prima si complimentano e subito dopo chiedono scusa. È che non vogliono mai deluderti perciò sono sempre d’accordo con te anche quando non sono d’accordo, e per questo si agitano, dicono tutto e il contrario di tutto, ma soprattutto rispondono a tutti quelli che commentano il loro commento, e ai commenti degli altri, e alle risposte ai commenti ai commenti degli altri, tremilacinquecento commenti all’ora, moltiplicati per 24, per 365.
I moralizzatori. Piombano sulla tua bacheca per difendere a spada tratta persone che non conoscono, ideali che non praticano, fiori che non hanno mai colto, frutta che non hanno mai mangiato e città che non hanno mai visto. Sono i grandi moralizzatori della costellazione dei follower. “Dovresti cercare di metterti nei panni degli altri, qualche volta”, “Così però non si dice”, “e tu allora?”, “da te non me lo sarei mai aspettato”.
I paladini di questo zodiaco hanno la caratteristica di ergersi a difensori d’ufficio soprattutto di quelle categorie che non avrebbero alcun bisogno di essere difese come uomini e donne potenti, personaggi sovraesposti mediaticamente da anni, piante, soprammobili, bicchieri di cristallo. Parlano per sentito dire di fatti e persone che non conoscono ma comunque si sentono alfieri di equità, giustizia e integrità morale. Ovviamente per compensare il peso della loro iprocrisia.
Gli asintomatici. Questa è la categoria per antonomasia cui fanno parte i boomer istruiti che rilanciano meccanicamente qualsiasi sciocchezza esca dalla bocca di un qualsiasi under 40, purché non sia loro figlio. Commentano di rado, non reagiscono, principalmente condividono senza fiatare. Sembrano innocui, in realtà dobbiamo a loro l’ascesa verticale di quella banda armata di like che sono i Lorenzo Tosa e ad animarli è un fine paternalistico.
Il retropensiero sul quale si reggono le loro condivisioni, infatti, è: “diamo una possibilità a questo povero imbecille che scrive cose talmente ovvie da farmi tenerezza, fosse nato ai miei tempi sarebbe andato a zappare”. Gli asintomatici, inoltre, li riconosci subito perchè a tratti escono di brocca, non riescono più a trovare il loro commento tra centoquindicimila e così si lamentano di essere stati bannati, censurati, rottamati. Gli crolla il mondo addosso allora, per tirarsi su, citano a tradimento Flaiano: “coraggio, il meglio è passato”.
Gli onesti. La nicchia, la crème de la crème dell’universo dei follower, è rappresentata da chi commenta i post chiedendo: “posso convididere?” che nella versione più volenta diventa “posso rubare?”. Il loro manifesto recita: “pratica gentilezza alla cazzo di cane senza chiederti mai che diavolo sto dicendo?”.
Sono rimasti in pochi ma sono ancora tra noi: amano distinguersi dal popolo del web che si appropria dei tuoi post senza chiedere il permesso e considerano questa loro domanda retorica – “posso?” – estremamente raffinata ma allo stesso tempo sbarazzina. Se volete liberarvene in fretta, alla prima avvisaglia dovete rispondere subito «no», pure se il post è pubblico.
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