Esattamente cinque anni fa avevo meno occhiaie, un abbigliamento leggermente più elegante e una vita decisamente più confortevole. Facevo il consulente legale per uno studio internazionale a Milano e alternavo le giornate tra pc, riunioni e cenette costose sui Navigli.
Rincorrevo il flusso di un tempo già scritto lasciando che la vetrina dello status riempisse le ore spezzate da una frenesia leggera, placidamente steso su una corrente che dopo l’università mi aveva portato a scegliere la cosa più facile e ordinaria.
Guadagnavo uno stipendio con cui potevo fare quello che volevo e poche ore alla settimana per farlo. Avevo una “carriera brillante” davanti e la sensazione che quel brillio cambiasse poco o nulla sulla mia felicità. Trascorrevo ore e ore a preparare pratiche per arrivare puntualmente a fine mese con la sensazione intensa di non aver contributo al benessere di nessuno che ne avesse realmente bisogno.
Ricordo di aver rotto questo anello di routine per inseguire una sensazione confusa e necessaria. Ho cominciato a sentire il contatto della povertà sulla pelle, il ritmo dell’esigenza, l’odore della vita reale al di là delle copertine patinate.
Questa ricerca di fragilità mi ha portato a scegliere una vita sporca e intensa nel mezzo della campagna congolese, in un cammino di dignità al fianco di centinaia di persone. Guardo allora le pupille rilassate del me di cinque anni fa e ci trovo dentro un nugolo di domande a cui sto imparando a trovare risposte. Negli ultimi cinque anni ho imparato a vivere di senso in ogni azione della giornata.
O almeno ho imparato l’importanza di provarci sempre. Ho imparato a parlare con gli occhi nel silenzio degli sguardi e che esiste una lingua comune che non ha bisogno di essere pronunciata per farsi mezzo di comunicazione. Ho imparato che c’è più valore nelle mani ruvide e povere delle mamme nei campi che nelle pupille indifferenti di chi non ne ha mai viste un paio.
Ho imparato che lo sviluppo non si misura dal numero di iPhone in tasca ma dalla capacità di sentirsi intrecciati nelle vite di chi incontriamo, da ovunque queste provengano. Ho imparato ad essere papà, mamma e figlio di persone che avevo appena conosciuto. Ho imparato che al di là della strada battuta esiste una realtà enorme e misteriosa che va vissuta per rendere giustizia al tempo speso. E che da ogni singola scelta dipende il volto di quello che sarà dopo.
Oggi guardo indietro e mi rendo conto che uscire fuori da quell’abito scuro ha significato vivere di incertezze, contrasti, debolezze e speranze infrante. Anche sentirsi solo, a volte. Anche chiedersi perché.
Poi penso che in fondo a tutto questo c’è stato un viaggio immenso nella scoperta di senso. Un viaggio così profondo e limpido da non lasciare spazio al rimpianto, ma una sensazione intensa e leggera di giustizia appagata. Con buona pace delle occhiaie e dei capelli bianchi.
Elena ed io abbiamo da poco lanciato una nuova campagna di raccolta fondi per dotare la scuola di Kanyaka di due nuove aule polifunzionali in cui realizzare corsi di didattica inclusiva e paritaria, con l’aiuto di pedagoghi, artistə e formatori internazionali. È un nuovo passo nel percorso per offrire alle nuove generazioni strumenti di qualità con cui emanciparsi dal giogo della necessità, che in queste terre significa lavoro in miniera a condizioni disumane.
Abbiamo bisogno di 5.000 euro per realizzare questo nuovo sogno di empatia. È un traguardo che sappiamo essere enorme per le nostre possibilità. Ci proviamo lo stesso, credendo ancora una volta nel potere dirompente che la collaborazione sa creare.
“Insieme” è la parola che rappresenta l’unica spinta capace di realizzare questo nuovo capitolo nella storia di una cooperazione tanto necessaria quanto giusta. Ogni donazione e condivisione è un aiuto enorme per rendere possibile questa utopia, lì dove si è persa l'abitudine a sognare.
Se puoi, dona o condividi ora: ecco il link. Elena ed io resteremo in Congo per l’intero periodo dei lavori così da monitorarne ogni passaggio e raccontarne l’impatto a chi vorrà ascoltarne la storia. In fondo, Elena ed io siamo felici di aver stravolto le nostre vite per scoprirne un’anima nuova fatta di empatia semplice e accesa.
E ora non vediamo l’ora di poter stravolgere anche quella degli studenti che incontriamo nel nostro cammino, scoprendo le possibilità che solo una istruzione di qualità sa creare. Grazie sin d’ora a chi vorrà essere parte del nostro sogno di speranza.
Guglielmo Rapino