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    Dalla Foresta Amazzonica alla Barriera Corallina: così interi ecosistemi si stanno avvicinando a pericolosi punti di non ritorno

    Credit: Herve Morand - WWF

    L'allarme lanciato dal WWF nel Living Planet Report 2024

    Di Antonio Scali
    Pubblicato il 2 Dic. 2024 alle 10:24

    Abbiamo un solo Pianeta in cui vivere. Questo dovrebbe essere già un motivo sufficiente per prendersi cura dell’ambiente che ci circonda. Eppure, sembra che si stia andando in direzione esattamente opposta, con interi pezzi di natura che stanno scomparendo a ritmi allarmanti. I prossimi anni saranno decisivi per invertire la rotta, altrimenti le conseguenze potranno essere disastrose.

    Già i dati attuali fanno capire che la situazione è seria. In soli 50 anni (1970-2020) a livello globale c’è stato un catastrofico calo del 73% della dimensione media delle popolazioni di animali vertebrati selvatici, come testimonia il Living Planet Report 2024 del WWF. In particolare, le popolazioni delle specie di acqua dolce hanno subito il decremento più significativo, diminuendo dell’85%, seguite dalle popolazioni terrestri (-69%) e marine (-56%).

    È evidente quindi che il Pianeta si sta avvicinando a pericolosi punti critici di non ritorno che rappresentano gravi minacce per interi ecosistemi, con evidenti conseguenze sull’umanità. Quando gli ecosistemi vengono danneggiati infatti, diventano più vulnerabili e perdono le loro funzionalità, tra cui quella di fornire all’uomo i benefici da cui tutti dipendiamo – come aria pulita, acqua e terreni sani per il cibo.

    Si parla così di “tipping point”, che si verifica quando un ecosistema viene spinto oltre una soglia critica, determinando un cambiamento sostanziale e potenzialmente irreversibile. Continuando ad inquinare e a distruggere l’ambiente intorno a noi con questi ritmi, si rischia di superare diversi tipping point, con conseguenze potenzialmente catastrofiche. I segnali sin da ora sono allarmanti, a testimonianza del fatto che per molti ecosistemi fondamentali, siamo già molto vicini al superamento del loro punto di non ritorno: nella biosfera, l’estinzione di massa delle barriere coralline distruggerebbe la pesca e la protezione dalle tempeste per milioni di persone che vivono sulle coste. Il raggiungimento del tipping point della foresta amazzonica comporterebbe il rilascio di tonnellate di carbonio nell’atmosfera con ripercussioni sui sistemi meteorologici di tutto il mondo.

    Nella circolazione oceanica, il collasso del vortice subpolare, una corrente circolare a sud della Groenlandia, cambierebbe drasticamente i modelli meteorologici in Europa e Nord America; o ancora nella criosfera (le parti ghiacciate del Pianeta), la fusione delle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide occidentale comporterebbe un importante innalzamento del livello del mare, mentre la fusione su larga scala del permafrost causerebbe il rilascio di ingenti quantità di anidride carbonica e metano.

    Fenomeni, si evince, legati l’uno all’altro come in una catena, e che si stanno pericolosamente verificando, con gravi conseguenze ecologiche, sociali ed economiche. Vediamo alcuni esempi di punti critici locali tratti dal Living Planet Report del WWF: nell’America Nord-occidentale, l’effetto congiunto dell’infestazione di coleotteri della corteccia di pino e degli incendi boschivi più frequenti e intensi, entrambi aggravati dal cambiamento climatico, stanno spingendo le foreste di conifere verso un tipping point oltre il quale potrebbero essere sostituite da arbusteti e praterie. Nella Grande Barriera Corallina australiana, l’incremento della temperatura del mare e il degrado dell’ecosistema hanno portato a eventi di sbiancamento di massa dei coralli nel 1998, 2002, 2016, 2017, 2020, 2022 e 2024. Sebbene questo grande ecosistema abbia mostrato ad oggi una notevole resilienza, probabilmente perderemo il 70-90% di tutte le barriere coralline a livello globale, compresa la Grande Barriera Corallina stessa, anche se riuscissimo a limitare il riscaldamento climatico a 1,5°C. In Amazzonia, invece, la deforestazione e il cambiamento climatico stanno portando a una riduzione delle precipitazioni e un decadimento delle condizioni ecologiche. In questa situazione si potrebbe raggiungere un punto critico oltre il quale le condizioni ambientali diventerebbero inadatte per la foresta pluviale tropicale, con conseguenze devastanti per le persone, la biodiversità e il clima globale. Il tipping point potrebbe non essere così lontano e secondo gli esperti potrebbe attivarsi nel momento in cui venisse raggiunta la soglia del 20-25% di deforestazione. Si stima che circa il 14-17% sia già stato deforestato.

    Questi tipping point che abbiamo appena analizzato, come il deperimento della foresta amazzonica e lo sbiancamento di massa delle barriere coralline, creerebbero onde d’urto che andrebbero ben oltre l’area interessata, provocando un impatto sulla sicurezza alimentare e sui mezzi di sussistenza a livello globale. I segnali d’allarme, d’altronde, sono ormai chiari: ad agosto gli incendi in Amazzonia hanno raggiunto il livello più alto degli ultimi 14 anni, mentre all’inizio di quest’anno è stato confermato un quarto evento globale di sbiancamento di massa dei coralli.

    Credit: theundertow.ocean e diversforclimate

    Bisogna quindi agire subito, per aumentare la resilienza degli ecosistemi e ridurre gli impatti del cambiamento climatico, prima che si raggiungano questi punti critici spesso irreversibili. Siamo ancora in tempo per evitare il peggio. Certamente le decisioni e le azioni dei prossimi cinque anni segneranno il futuro della nostra vita sulla Terra.

    Diventa fondamentale cogliere subito i primi segnali d’allarme – ecologici, climatici e sociali – che presagiscono il pericoloso approssimarsi di punti di non ritorno. Come detto, innanzitutto bisogna monitorare le popolazioni delle diverse specie animali e vegetali – affinché non diminuiscano e scompaiano a causa dell’attività umana – spia evidente di alterazioni nei processi naturali. Il degrado ecologico, infatti, combinato con il cambiamento climatico, aumenta la probabilità di raggiungere un tipping point a livello locale e regionale.

    Ci sono poi punti di non ritorno che si ripercuotono ben oltre la regione di origine, arrivando a impattare su scala globale. È questo il timore per la foresta amazzonica, la quale detiene più del 10% della biodiversità terrestre del Pianeta e il 10% di tutte le specie ittiche conosciute, oltre ad ospitare 47 milioni di persone. La traspirazione, ovvero il vapore acqueo rilasciato dalla superficie delle piante, alimenta gran parte delle precipitazioni che sostengono la foresta e la rendono resistente alla siccità, purché la foresta pluviale rimanga in gran parte intatta.

    Al contrario, la deforestazione, il degrado e il disturbo delle foreste stanno compromettendo la resilienza del sistema, rendendolo più vulnerabile al futuro cambiamento climatico. Il combinato disposto di deforestazione e mutamento climatico, infatti, porta a una riduzione delle precipitazioni, per cui si potrebbe raggiungere un punto critico in cui le condizioni ambientali in gran parte del bioma amazzonico diventerebbero inadatte per la foresta tropicale, innescando un cambiamento irreversibile. Gli impatti sarebbero devastanti, con perdite ingenti di biodiversità e valore culturale, cambiamenti nei modelli meteorologici regionali e globali e implicazioni per la produttività agricola e la sicurezza alimentare mondiale. Un mutamento di questa portata accelererebbe anche il cambiamento climatico globale, poiché l’Amazzonia passerebbe, a causa degli incendi e della moria delle piante, dall’essere un deposito di carbonio a una sorgente di emissioni.

    Si verrebbe in effetti a creare una sorta di effetto domino a causa della deforestazione e della siccità: meno alberi determinano meno traspirazione, il che significa meno precipitazioni e quindi una minore disponibilità di acqua in altre parti della foresta; ciò provocherebbe una vera e propria moria di alberi che determinerebbe, a sua volta, un ulteriore crollo della traspirazione e così via in un circolo senza fine.

    Bisogna essere consapevoli di tutto ciò, perché non possiamo più rimandare le azioni necessarie per evitare punti di non ritorno che renderanno impossibile il raggiungimento degli obiettivi globali in tema di natura e clima. Nel caso dell’Amazzonia, gli attuali tassi di deforestazione potrebbero portare a un tipping point entro un decennio.

    In generale, in molti casi, anche se l’equilibrio è precario, i punti di non ritorno possono ancora essere evitati. Per questo non si può più tergiversare: servono soluzioni e cambiamenti efficaci, sia a livello locale sia globale. L’unico momento sicuro per agire è adesso.

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