Una delle emergenze più pressanti per il futuro del nostro Pianeta è senz’altro quella dell’inquinamento da plastica. Diventa fondamentale agire, prima che sia troppo tardi, per salvaguardare interi ecosistemi, sensibilizzando i cittadini e la classe politica.
Da questi presupposti è nato il progetto “Re-thinking Fish Box”, realizzato da WWF, grazie al supporto della Fondazione Flotilla, che ha posto l’attenzione sugli imballaggi utilizzati per la conservazione e il trasporto del pescato con particolare riguardo alla pesca artigianale in Italia.
Il polistirene espanso (EPS) è la forma di imballaggio monouso più comunemente utilizzata in questo settore, ma è anche uno degli oggetti più comunemente rinvenuti sia sulle coste sia tra i rifiuti marini galleggianti. L’Italia, in particolare, è tra i maggiori utilizzatori in Europa di packaging in EPS in ambito alimentare, soprattutto nel settore ittico, ma ne ricicla ancora solo una piccola parte.
WWF Italia, con il nuovo report “Soluzioni di imballaggio innovative e sostenibili per ridurre la dispersione di plastica in mare”, ha analizzato alcune tra le principali soluzioni di imballaggio alternative all’EPS monouso esistenti e in sviluppo in Italia e in Europa, garantendo supporto agli stakeholder di settore e fornendo un’alternativa più sostenibile alle cassette per il pesce in EPS. Ne abbiamo parlato con Stefania Campogianni, responsabile regionale dei progetti sull’inquinamento da plastica, e con Giorgio Bagordo, Senior Expert Plastic Programmes di WWF Italia.
“Nonostante l’attenzione mediatica e del pubblico su questa minaccia, non abbiamo ancora ridotto la produzione di plastica. Rischia anzi di quadruplicare nei prossimi decenni. Alcuni passi in avanti sono stati fatti, ma i livelli di riciclo e di riuso sono ancora molto bassi. La plastica è un problema globale, e come tale andrebbe trattato anche a livello normativo, per avere delle regole chiare e uniformi. Non bisogna poi dimenticare che ci sono forti interessi economici, per esempio da parte dell’industria chimica e di quella petrolifera”, spiega Stefania Campogianni.
“Al tempo stesso si sta cercando di trovare soluzioni alternative, meno impattanti. La grossa sfida di questi tempi è quella di rafforzare il sistema di riciclo ma anche quello di riuso, su spinta anche dell’Unione europea. Ovviamente questo prevede anche una maggiore consapevolezza e comportamenti diversi da parte del consumatore”, aggiunge Campogianni.
“L’EPS è un materiale plastico realizzato principalmente da sottoprodotti della raffinazione del petrolio. È inoltre tra i primi cinque materiali maggiormente dispersi in ambiente, quindi è altamente inquinante. Se da un lato è un prodotto molto leggero ed economico, le criticità riguardano come viene prodotto e dove finisce se non viene gestito in maniera corretta”, spiega Giorgio Bagordo.
“Abbiamo analizzato diverse soluzioni alternative, alcune già presenti sul mercato, come le cassette in cartoncino ondulato o in plastica rigida, altre in fase di sviluppo. Abbiamo cercato di capire quali sono i punti di forza e le criticità legati ai vari tipi di imballaggi. Da questo studio è uscita la soluzione che abbiamo preso in esame, che prevede una struttura esterna in legno e con un vassoio interno in polistirene estruso. A differenza dell’EPS è meno soggetto a frammentazione e ha caratteristiche che favoriscono il suo riciclo a ciclo chiuso – aggiunge Bagordo – Il punto di forza di questo progetto è stato soprattutto quello di aver messo insieme realtà diverse che solitamente non si parlano, come chi fabbrica, chi utilizza e chi poi deve gestire il prodotto a fine vita. Il tutto con l’obiettivo di contrastare la dispersione di plastica in natura”.
“Esistono tante piccole iniziative, ma manca una sistematicità, anche normativa. L’idea è cercare di capire quali siano le alternative possibili, anche innovative, ovviamente nel rispetto delle normative igienico-sanitarie”, sottolinea Campogianni.
“Bisogna investire nella ricerca, uniformare le regole che spesso variano da regione a regione. Serve un maggior dialogo tra le parti per far funzionare il sistema: è nell’interesse di tutti”, evidenzia Bagordo.
“Non ci può essere una soluzione applicabile a tutto. Ne esistono diverse, anche a seconda della situazione locale. Ma soprattutto poi devono essere supportate, anche a livello economico con incentivi, perché una macchina di sanificazione o una cassetta che viene riusata necessitano investimenti che spesso sono onerosi, soprattutto per la piccola pesca”, aggiunge Campogianni. “L’impegno del WWF – sottolinea la dottoressa – non è finito, stiamo proseguendo con la sperimentazione, per dare alla piccola pesca diverse soluzioni applicabili”.
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