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Traffico illecito di rifiuti italiani in Malesia: business da più di 1000 tonnellate
Un traffico internazionale di rifiuti in plastica tra Italia e Malesia, con 1.300 tonnellate spedite illegalmente allo Stato asiatico, è stato scoperto dall’Unità Investigativa di Greenpeace Italia. In pratica, i materiali che destiniamo al riciclo finiscono ad aziende dall’altra parte del mondo. Che non hanno autorizzazioni di alcun tipo e lavorano senza preoccuparsi dell’ambiente e della salute umana.
Dati alla mano, tra gennaio e settembre 2019, su un totale di 65 spedizioni dirette in Malesia, 43 sono state inviate a impianti privi dei permessi per importare e riciclare rifiuti stranieri, che ha alimentato il business illegale dei rifiuti. (Come avevamo già anticipato sulle pagine di TPI con un’inchiesta esclusiva di Davide Lorenzano sui traffici illeciti verso il sud-est asiatico).
Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, ha spiegato a TPI: “Il traffico è illegale perché i rifiuti vengono portati in discariche abusive, non a norma e l’immondizia nociva è lasciata abbandonata in terreni vicini alle abitazioni, dove brucia e emana pericolose sostanze chimiche”.
Dove va a finire l’immondizia
All’inizio del 2018 la Cina, che era il più importante importatore di rifiuti europei e che riceveva il 42 per cento dei rifiuti plastici italiani, ha chiuso questo traffico. Così i rifiuti plastici cosiddetti misti, ovvero contenitori, film, pellicole industriali e residui plastici di ogni sorta largamente utilizzati nella nostra vita quotidiana ma di difficile riciclo (riconducibili al codice HS 3915 ), finiscono ora in altri paesi.
La Malesia per esempio è letteralmente invasa. Secondo Eurostat primo importatore di rifiuti plastici italiani nel 2018 e, nei primi nove mesi del 2019, al secondo posto con 7mila tonnellate, per un valore di quasi un milione e mezzo di euro. L’immondizia arriva con i container sulle navi: dai porti italiani direzione sud-set asiatico.
Di queste 7mila tonnellate, da gennaio a settembre 2019, circa 2.880 tonnellate corrispondevano a rifiuti plastici destinati al riciclo e inviati in Malesia per via diretta, ovvero senza intermediari stranieri.
Perché il traffico è illegale
La norma europea è molto rigorosa sul riciclo della plastica: secondo il regolamento 1013 del 2006 “si possono esportare rifiuti fuori dai confini europei solo se le aziende che li ricevono rispettano lo standard previsto dall’Ue”. Nel caso della Malesia non è così.
Greenpeace ha ottenuto dal governo di Kuala Lumpurl’elenco ufficiale delle sole 68 aziende malesi autorizzate a importare e trattare rifiuti plastici dall’estero, ma “nella maggioranza dei casi si tratta di impianti privi dei requisiti obbligatori per legge”, racconta Giuseppe Ungherese.
“Le immagini delle telecamere nascoste mostrano imprenditori malesi disposti a importare e trattare rifiuti italiani, sia plastica contaminata che rifiuti urbani, pur non comparendo nella lista delle aziende malesi autorizzate”, dice il ricercatore di Greenpeace Italia. “Visitando impianti di partner commerciali di aziende italiane in diverse aree della Malesia, abbiamo trovato condizioni di lavoro inaccettabili, operai che vivono all’interno delle fabbriche e vicino a cumuli di rifiuti ancora in combustione”, continua Ungherese.
L’associazione ambientalista ha anche documentato un incendio illegale di materie plastiche nonché un terrapieno composto da rifiuti di plastica anche italiani.
Traffico rifiuti Italia -Malesia: le pericolose conseguenze
Un traffico illegale che sta avendo conseguenze molto serie sulle comunità locali, costrette a vivere in un territorio sempre più inquinato.
“Ciò che trasportano i container non corrisponde quasi mai a quanto dichiarato nella documentazione – conferma YB Ng Sze Han, membro del comitato esecutivo dello Stato malese di Selangor – La maggior parte delle volte si tratta di un miscuglio di rifiuti plastici. La parte che può essere riciclata è davvero bassa, forse il 20-30 per cento. Tutto il resto deve essere gettato da qualche parte, e questo provoca enormi problemi e inquinamento”.
A confermarlo, le analisi di acqua, suolo e frammenti di plastica condotte dall’associazione ambientalista in Malesia in alcuni siti illegali di rifiuti plastici stranieri. I risultati sono allarmanti.
“Abbiamo trovato livelli elevati di contaminazione per numerose sostanze chimiche pericolose per l’ambiente e per l’uomo – dichiara Giuseppe Ungherese – Abbiamo trovato sostanze chimiche pericolose anche nei campioni di cenere, misti a materie plastiche, raccolti all’interno di uno dei siti illegali di stoccaggio dove sono stati rilevati idrocarburi, tra cui il benzo(a)pirene, noto cancerogeno per l’uomo”.
Nel dettaglio, nei campioni di frammenti di plastica presenti nel suolo sono state rilevate elevate concentrazioni di metalli pesanti (come cadmio e piombo) rispetto ai livelli riscontrati in natura e la presenza di composti organici persistenti come i ritardanti di fiamma bromurati e ftalati, noti interferenti endocrini utilizzati nella produzione di alcune materie plastiche.
Le colpe del consumismo
Ogni minuto, nel mondo, sono vendute un milione di bottigliette di plastica (per avere un’idea, se fossero impilate una sopra l’altra raggiungerebbero l’altezza del monte Everest). Una bottiglia viene usata una sola volta e poi gettata, per restare intatta per oltre 450 anni, compromettendo la salute del nostro pianeta.
Il nostro Paese è all’undicesimo posto della classifica globale per rifiuti esportati, con un quantitativo di poco inferiore alle 200mila tonnellate, pari a 445 Boeing 747 a pieno carico.
L’emergenza rifiuti sempre più presente e il traffico illecito che si sta sviluppando in Malesia come in altri paesi è il segno inequivocabile che produciamo troppa plastica. E esportiamo inquinamento.