Cambiamento climatico e surriscaldamento globale incombono sul destino delle foreste. Ormai è sotto gli occhi di tutti, ma i dati degli istituti internazionali rendono l’allarme non più rinviabile: solo in Texas e California 500 milioni di alberi sono morti dal 2010 ad oggi. In Europa, invece, la siccità si è intensificata a partire dal 2018, provocando un esteso deperimento dei faggeti tuttora in corso. Altri eventi di mortalità degli alberi a livello globale sono stati documentati durante gli episodi di siccità più estrema: nel 2005 nelle foreste umide tropicali del bacino dell’Amazzonia e nel 2011 con un deperimento senza precedenti nelle foreste di Jarrah dell’Australia sud-occidentale. Ma è ancora possibile evitare la scomparsa delle più grandi foreste del mondo? Un gruppo internazionale di scienziati, tra cui studiosi del Politecnico di Madrid e dell’Università della Florida, ha creato una banca dati globale che potrebbe avere la risposta. Il monumentale rapporto documenta gli eventi di mortalità indotti dal clima a partire da 154 studi realizzati in 675 zone diverse del pianeta dal 1970 al 2018, ipotizzando ciò che potrebbe accadere negli anni a venire.
La ricercatrice del Centro di ricerca per la conservazione della biodiversità e lo sviluppo sostenibile all’Università di Madrid, Rosa Ana López ha preso parte allo studio pubblicato il mese scorso sulla rivista scientifica Nature, e ha spiegato a TPI l’importanza di creare un database di questo tipo: «Il tema della mortalità forestale è stato di grande interesse per la comunità scientifica negli ultimi due decenni, poiché sono sempre più numerosi i casi di mortalità di grandi dimensioni segnalati in tutti i tipi di foreste del mondo. Ciò ha portato non solo alla segnalazione di questi episodi, della loro entità, delle specie colpite, ma anche allo studio delle condizioni ambientali, dei meccanismi fisiologici che predispongono e causano la morte, di come prevedere questi fenomeni e di come cercare di evitarli o almeno mitigarli». Infatti, prosegue López, «appare chiaro che iniziare a rallentare l’aumento delle temperature sia fondamentale. Nel frattempo, la gestione forestale adattativa è lo strumento che abbiamo per cercare di mitigare gli effetti del cambiamento globale: scelta delle specie adatte, spaziatura e trattamenti selvicolturali, valutazione dei prodotti forestali, sia legnosi che non».
Lo studio dimostra che tutti gli episodi di mortalità forestale si sono verificati in anni molto secchi e caldi, provocando il decesso degli alberi adulti, esemplari solitamente più resistenti rispetto a quelli più giovani. «Con l’aumento della temperatura, aumenta la siccità a livello atmosferico e del terreno nei periodi dell’anno più caldi, e la vegetazione soffre maggiormente lo stress termico. Le conseguenze si possono osservare a partire già da un mutamento fisiologico degli alberi stessi, come una minore crescita, il collasso del tessuto di conduzione dell’acqua, perdita delle foglie e, infine, la morte», spiega la ricercatrice.
Secondo quanto emerso dallo studio, l’aumento delle temperature rappresenta una triplice minaccia per la sopravvivenza degli alberi: amplificazione della siccità atmosferica, intensificazione della siccità del suolo ed effetti diretti dello stress da calore. Con l’aumento delle temperature, aumenta anche il deficit di pressione di vapore (VPD, una misura della siccità atmosferica), accelerando la perdita di acqua dal suolo e dagli alberi durante i periodi più caldi, anche quando gli stomi delle foglie sono chiusi. Il riscaldamento antropico sta anche aumentando la frequenza, la gravità e l’intensità delle siccità croniche del suolo; e diverse prove, dagli anelli degli alberi al telerilevamento, documentano sia i segnali di allarme antecedenti alla mortalità degli alberi, sia gli effetti ritardati della crescita e della mortalità degli alberi, con le siccità croniche. Gli effetti diretti della siccità del suolo sugli alberi possono essere osservati nelle loro risposte fisiologiche: le osservazioni globali mostrano che quando l’acqua scarseggia gli alberi limitano la perdita stessa d’acqua attraverso il controllo stomatico e mettono in atto diversi aggiustamenti per migliorare gli effetti immediati della siccità.
La siccità lieve si limita a ridurre la crescita e a compromettere il funzionamento fisiologico, ma quella grave può danneggiare in modo permanente il funzionamento fisiologico delle piante e persino diventare letale quando non vengono soddisfatte le esigenze idriche e/o metaboliche di base, provocando il collasso dei tessuti vegetali e infine la morte. Anche lo stress termico può compromettere direttamente la funzione e il metabolismo delle piante e, a intensità sufficienti, è addirittura letale. «È vero che le piante hanno una certa capacità di acclimatarsi al caldo e alla siccità, ma il ritmo dei cambiamenti climatici sta superando sempre più la loro soglia di resistenza, e questo limite continuerà a essere superato dal riscaldamento globale, che aggraverà la situazione e ci porterà a vedere più eventi di mortalità di massa nelle popolazioni forestali nei prossimi anni», precisa López.
Quindi, come spiegato dalla ricercatrice, il risultato atteso a breve termine sarà una semplificazione delle comunità arboree, ridotte sia in altezza che in chioma, dove sopravviveranno le specie più resistenti alla siccità e al caldo e moriranno quelle meno adattate alle alte temperature. «Si potrebbe pensare che le popolazioni arboree più colpite da questo aumento termico siano quelle dei climi desertici, a causa della loro già scarsa disponibilità d’acqua, ma ciò che abbiamo visto è che questo fenomeno si sta verificando in tutte le aree del pianeta, anche in quelle umide», prosegue López, che poi conclude: «La proiezione, secondo le simulazioni basate sui risultati dello studio, è che con un aumento della temperatura globale di 2ºC, la mortalità delle foreste aumenterà del 22 per cento, e fino al 140 per cento se l’aumento è di 4ºC. Può sembrare esagerato, ma si tratta di proiezioni modeste. Dopotutto, queste previsioni si basano su una simulazione basata su una serie di parametri specifici, ma ci sono fattori che non abbiamo preso in considerazione e che potrebbero giocare un ruolo fondamentale. Per esempio, abbiamo ipotizzato che il regime delle precipitazioni non cambi, ma stiamo assistendo a una diminuzione delle piogge, che potrebbe peggiorare i risultati. D’altra parte, non abbiamo incluso nemmeno la mortalità per incendio, ma se lo facessimo, lo scenario sarebbe molto più spaventoso».
I polmoni verdi della Terra sono in grado di tenere viva la biodiversità per secoli, a volte millenni, ma gli eventi estremi di stress climatico che si verificano ormai nell’arco di giorni, mesi o pochi anni, espongono i grandi alberi secolari a sfide senza precedenti nella storia del pianeta. Quando il ritmo del cambiamento climatico supera le capacità di adattamento, infatti, il destino più probabile è la morte di numerose foreste e l’innesco di una selezione naturale i cui effetti la comunità scientifica oggi è in grado solo in minima parte di immaginare.
Leggi l'articolo originale su TPI.it