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    Meloni in retromarcia anche sull’idrogeno

    AGF

    Si può produrre con il sole, il vento e l’acqua. Può ridurre la dipendenza energetica dell’Italia. Ma il governo sta tagliando il budget

    Di Angelo Consoli
    Pubblicato il 31 Gen. 2023 alle 15:50 Aggiornato il 31 Gen. 2023 alle 15:51

    “Too little too late” è l’espressione inglese che indica una situazione in cui si affronta un problema troppo tardi e con mezzi scarsissimi. Non è possibile immaginare una espressione migliore per descrivere la strategia italiana per l’idrogeno.

    Infatti per raggiungere gli obiettivi previsti dalla strategia europea per l’idrogeno sulla produzione di idrogeno verde, prodotta cioè da fonti rinnovabili, il governo tedesco ha previsto un piano da 9 miliardi di euro già nel 2020, e questo dopo aver investito 40 miliardi di euro per lo sviluppo e l’applicazione delle tecnologie dell’idrogeno in Germania con il programma N.o.w.

    L’Italia invece ha destinato alle tecnologie dell’idrogeno 2 miliardi di euro col Pnrr del governo Draghi, di cui 300 milioni per la costruzione di distributori di idrogeno (in Germania ce ne sono già 95 operativi e un altro centinaio in costruzione, mentre in Italia c’è solo l’ormai famoso distributore di Bolzano). 

    “Too little too late” appunto. E anche quel poco adesso viene rimesso in discussione. Per questo ha destato un certo scalpore l’annuncio da parte del governo italiano di voler utilizzare i finanziamenti destinati ai distributori di idrogeno dal governo Draghi per la riparazione delle reti idrauliche, considerata una spesa ben più urgente che quella per costruire i distributori di idrogeno, “al momento non richiesti dal mercato”.

    Si tratta di una decisione che tradisce l’ignoranza, da parte dell’esecutivo, delle strategie europee per l’idrogeno. Infatti se è vero che il mercato dell’idrogeno ancora non esiste, è altrettanto vero che esso va creato il più rapidamente possibile e con uno sforzo congiunto pubblico/privato, come previsto dalla Commissione europea che considera strategico sviluppare un mercato dell’idrogeno che copra il 24 per cento della domanda al 2050, con un fatturato annuo di 630 miliardi di dollari e la creazione di un milione di posti di lavoro, come condizione indispensabile per raggiungere l’obiettivo di meno 55 per cento delle emissioni al 2030 e, obiettivo ancor più importante, un’Europa a zero emissioni per il 2050. 

    A questo scopo l’Europa ha previsto l’obiettivo di installare 6mila Mw di elettrolizzatori entro il 2024 e ben 40mila entro il 2030, obiettivi ulteriormente innalzati con il piano RePowerEu in risposta all’invasione russa dell’Ucraina e la conseguente crisi di approvvigionamento del gas, e ultimamente confermati in una vera e propria strategia industriale denominata Net Zero Industry Act (legge per un’industria a zero emissioni nette) presentata dalla Presidente von der Leyen a Davos il 19 gennaio scorso.

    É davvero incomprensibile come, a fronte di questa accelerazione europea, l’Italia possa invece frenare così bruscamente. L’idrogeno nel sistema dei trasporti è considerato cruciale nelle strategie europee non solo perché si tratta di un carburante pulito (e cioè che non genera nessun tipo di emissioni climalteranti, perché, come è noto, l’unico prodotto che viene emesso dal mezzi a idrogeno è solo e unicamente acqua) ma anche perché esso permette la più totale indipendenza e sovranità energetica.

    Infatti, a differenza dei carburanti fossili, l’idrogeno si può produrre con il sole, il vento e l’acqua, e quindi può contribuire all’affrancamento dell’Italia dai Paesi arabi, russi e dagli altri potentati energetici oscuri e distanti, consentendo all’Europa di emanciparsi da ricatti geopolitici e dalla precarietà energetica dovuta alla volatilità dei prezzi delle materie prime fossili (innanzitutto il gas).

    L’idrogeno permette la democratizzazione dell’accesso all’energia attraverso un modello energetico non più verticistico e centralizzato come quello fossile, ma distribuito e laterale, in cui i cittadini e le piccole e medie imprese locali non dipendono più dalle grandi multinazionali dell’energia perché possono produrla da soli con le rinnovabili e conservarla sotto forma di idrogeno. 

    Questo vale non solo per le utenze della mobilità – dove l’idrogeno prenderà il posto della benzina, del diesel e del metano – ma anche per le utenze elettriche, industriali e domestiche, dove permetterà di alimentare quei particolari gruppi elettrogeni che sono le fuel cells.

    Purtroppo, però, tutti questi benefici che l’economia dell’idrogeno comporta, e sui quali autori come Jeremy Rifkin attirano l’attenzione dell’opinione pubblica da oltre vent’anni, rischiano di non arrivare mai ai consumatori e agli utenti italiani, visto che i poteri pubblici che dovrebbero accelerare la transizione verso lo scenario idrogeno/rinnovabili in tutti i settori dell’economia, dalle produzioni industriali all’illuminazione pubblica (tanto per menzionare solo i principali), la stanno invece rallentando in tutti i modi.

    Prendiamo l’obiettivo di installazione di elettrolizzatori: in Italia, secondo uno studio condotto dal Rina, l’installazione di elettrolizzatori pianificata è di venti volte inferiore rispetto agli obiettivi proposti dall’Europa per il 2025. In pratica ci siamo già rassegnati a non farcela.

    Inoltre, in quei settori dell’economia dell’idrogeno in cui si stava muovendo qualcosa (come i distributori) si vorrebbe tornare indietro sottraendo le scarse risorse ad essi destinate dal Pnrr a installare 40 distributori. 

    Senza distributori non partirà la filiera della mobilità a idrogeno né nel trasporto pubblico (autobus, treni etc.) né in quello privato, nonostante la disponibilità sul mercato di ottimi autoveicoli come la Toyota Mirai o la Hyundai Nexo, che a Parigi circolano già in oltre 600 esemplari per la cooperativa di radiotaxi Hype fin dal 2015, quando i taxi a idrogeno condussero alla conferenza climatica Cop21 i grandi della terra che avrebbero approvato il famoso protocollo di Parigi.

    Infine il governo italiano dovrebbe ricordare che l’Europa ha posto il 2035 come data limite oltre la quale non sarà più possibile immatricolare auto a carburanti tradizionali, ma solo auto a zero emissioni e dunque elettriche o a idrogeno.

    Invece di sottrarre le poche risorse disponibili del Pnrr, il governo italiano farebbe bene a aumentarle e a elaborare un piano per sviluppare tutta la filiera, quello che la strategia europea chiama l’ecosistema dinamico dell’idrogeno: utenze (taxi, flotte di autobus, flotte aziendali private etc), infrastrutture (distributori, impianti di produzione di idrogeno verde), tecnologie (aziende di produzione di elettrolizzatori, compressori, erogatori, sistemi di accumulo etc).

    Come ricorda il progetto RePowerEu, la sostituzione dei combustibili fossili con l’idrogeno non solo ridurrà le emissioni di carbonio contribuendo agli obiettivi climatici, ma rafforzerà anche la competitività industriale europea proteggendola dalla volatilità dei mercati dei combustibili fossili. Altrimenti non resterà che rassegnarsi a comprare le tecnologie dell’idrogeno da quei paesi che saranno stati più lungimiranti del nostro.

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