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    I guardiani della Terra: reportage da Torino con gli attivisti del clima

    Credit Image: © Ana Fernandez/SOPA Images via ZUMA Wire

    Abbiamo passato cinque giorni a Torino insieme agli attivisti dei Fridays for Future nel loro secondo raduno europeo. Abbiamo montato la nostra tenda accanto alle loro. Abbiamo mangiato e bevuto, ballato e marciato insieme a loro. Per capire chi sono, cosa vogliono, in che modo e perché ritengono sia (ancora) possibile salvare il Pianeta. Il reportage sul settimanale The Post Internazionale - TPI

    Di Clarissa Valia
    Pubblicato il 6 Ago. 2022 alle 18:32 Aggiornato il 13 Ago. 2022 alle 18:38

    Inviata a Torino – “Non sopporto quando gli adulti ci dicono che è confortante sapere che siamo noi giovani a portare avanti la battaglia per il clima. Se ci siete voi c’è speranza, ci dicono. Non mi piace. Perché mi sento schiacciato da una responsabilità che non è la mia. Il problema del clima riguarda tutti. Non se ne devono occupare soltanto i giovani. Ma anche gli adulti, gli anziani. Tutti”. Ascoltiamo lo sfogo di Ruggero Marcantonio. Sono le 7:30 del mattino. Il temporale della scorsa notte ha concesso un po’ di tregua al caldo estremo di questa estate. Stiamo facendo colazione sotto il tendone adibito a mensa con un cornetto, rigorosamente vegano, quando iniziamo a scambiare qualche parola con lui. Ruggero ha 19 anni. È uno dei portavoce dei Fridays for Future Catania (ne esiste almeno uno in ogni principale città italiana). Come noi si trova a Torino per partecipare al Climate Social Camp, il campeggio per la giustizia climatica e sociale svoltosi nell’ambito del secondo raduno europeo dei Fridays for Future (il primo si era svolto a Losanna nel 2019) al Parco Colletta dal 25 al 29 luglio.

    Il campeggio è popolato da oltre un migliaio di attiviste e attivisti, moltissimi ancora minorenni, provenienti da più di 45 Paesi di tutto il mondo. Si ispirano tutti a Greta Thunberg, la paladina del clima ormai celebre a livello globale, che nel 2018 (quando aveva appena 16 anni) decise simbolicamente di saltare la scuola ogni venerdì per dare vita agli scioperi per l’ambiente. I cosiddetti Fridays for Future. Dall’attivismo di Greta è nato un movimento composto in larghissima parte da giovani, i quali hanno avuto il grande merito di dare voce alla più grande emergenza del nostro tempo: quella climatica. Verso la quale, come sottolinea Ruggero, è necessaria una presa di responsabilità fatta di scelte radicali, concrete, non più rinviabili. Soprattutto condivise da tutti, e non solo da un gruppo di giovani attivisti. Così abbiamo passato quattro notti e cinque giorni insieme agli attivisti del clima. Abbiamo montato la nostra tenda insieme a loro, abbiamo mangiato e bevuto insieme a loro, abbiamo ballato e marciato insieme a loro, abbiamo ascoltato le loro istanze. Per capire chi sono, cosa vogliono e in che modo ritengono sia possibile invertire la rotta della catastrofe climatica.

    La scelta della città di Torino per questo summit non è casuale: «I dati ci dicono che l’inquinamento atmosferico, qui, diminuisce l’aspettativa di vita dei torinesi di quasi due anni rispetto alla media nazionale. E la crisi climatica che ha provocato inondazioni, siccità e condizioni meteorologiche estreme in tutta l’area iniziano a essere segnali chiari e inequivocabili del fatto che gli effetti sono già qui e ora», spiega Giorgio Brizio, 20 anni, uno dei principali organizzatori del summit climatico. Le organizzazioni che hanno partecipato alla realizzazione del progetto sono, oltre ai Fridays for Future, l’associazione Giustizia Climatica Ora insieme ai movimenti di Extinction Rebellion, Ecologia Politica, Non Una Di Meno, Greenpeace, Acmos, Mediterranea, oltre poi a diversi collettivi studenteschi e a un centinaio di giovani volontari. L’obiettivo comune? Rendere la battaglia per salvare il clima trasversale e da tutti condivisa, non soltanto abbracciata dagli attivisti di Fridays for Future ma anche dagli altri movimenti, al fine di dare vita a uno spazio di confronto e di dibattito politico. Al meeting di Torino c’erano anche Max Casacci dei Subsonica, la Rappresentante di Lista, Eugenio in Via di Gioia, e altri ancora. Un contributo è arrivato pure da Michele Rech, in arte Zerocalcare, che per l’occasione ha disegnato il logo del Climate Social Camp, stampato su tutti i bicchieri riutilizzabili (in vendita a un euro) per bere acqua, caffè e birra nei cinque giorni di camping.

    L’arrivo
    Ad accoglierci alla stazione di Torino Porta Nuova, al nostro arrivo, c’era Tommaso, 18 anni, neo attivista di Fridays for Future. Sono le ragazze e i ragazzi come Tommaso, Giorgio e Ruggero che animano e tengono in piedi l’attività dei Fridays. Dovete capire che questi teenager, benché giovanissimi e alcuni dei quali ancora iscritti al liceo, hanno deciso di rinunciare volontariamente a cinque giorni di vacanza per stare invece sotto il caldo rovente di Torino, in piena estate, e battersi per un’idea che le generazioni prima della loro non riescono nemmeno a concepire: salvare il Pianeta. Non è stato difficile riconoscere Tommaso in stazione: sventolava la bandiera verde del movimento. Al suo fianco una bicicletta e diversi cartelli con le scritte “European FFF Meeting”. Il suo compito è stato quello di fornire le indicazioni alle ragazze e ai ragazzi in arrivo dall’Italia, dall’Europa e dal resto del mondo. La gran parte di chi è giunto a Torino per il Camp ha scelto di viaggiare nel modo più ecologico: il treno. A ciascun “delegato”, così come a loro piace chiamarsi in quella che di fatto è una gerarchia organizzativa molto fluida, viene consegnato un badge sul quale è riportato nome, Paese di provenienza e i pronomi personali She/Her, He/Him, They/Them. A riprova di un linguaggio il più possibile inclusivo e rispettoso anche per coloro che non si identificano con un’identità singola, che sia di genere maschile o femminile.

    La “De-Gretizzazione” dei Fridays
    La prima notizia che sorprende tutti già dai primi giorni del camp di Torino è quella dell’assenza di Greta. La sua presenza era molto attesa, ma all’ultimo gli organizzatori hanno annunciato che per “motivi logistici” l’ambientalista non avrebbe partecipato al raduno. Così tutti si sono dovuti accontentare di un suo rapido saluto via Zoom. La motivazione data per giustificare l’assenza non convince ma la sensazione è che sia in atto una sorta di “De-Gretizzazione” del movimento dei Fridays. L’attenzione mediatica è infatti spesso incentrata più sulla giovane leader che sulle istanze del movimento. «Ci chiedono tutti di lei ma nel movimento siamo in tanti», hanno rivendicato gli attivisti presenti. La ragione dell’assenza di Greta è da ricercare anche nella volontà, sua e del movimento, di porre l’attenzione sugli attivisti Mapa (“Most Affected People and Areas”), ovvero le persone provenienti da Paesi colonizzati e storicamente marginalizzati del Sud del mondo che più subiscono le conseguenze della crisi climatica. Come le venticinquenni Nansedalia Ramirez, messicana proveniente dalla zona di Guerrero, e Michelin Sallata, giovane leader indigena dell’arcipelago dell’Indonesia. Sono due coordinatrici del movimento di giovani dell’Alleanza globale delle Comunità Territoriali, una coalizione di comunità indigene dell’Amazzonia, del Mesoamerica, dell’Indonesia, dell’Africa e America centrale che persegue le istanze di 24 diversi Paesi e che protegge più di 950 milioni di ettari di boschi tropicali. «Siamo qui con il proposito di contribuire alla lotta delle gioventù contro il cambiamento climatico e la perdita della biodiversità», spiega a TPI Nansedalia Ramirez. «La nostra situazione è critica: ogni giorno veniamo uccisi perché proteggiamo la natura. Siamo i Guardiani della Terra. Le compagnie del Nord del mondo continuano a distruggere i nostri territori, le nostre case, la natura di tutto il Pianeta che rappresenta il Polmone verde del mondo. Lottiamo ogni giorno per noi e per le generazioni future. Con questo voglio dire che la responsabilità di queste crisi è di tutti e siamo qui con il proposito di sommare le forze, di solidarizzare tra noi, di organizzarci per assicurare una giustizia climatica che è giustizia sociale ed ecologica», spiega la giovane attivista messicana.

    Michelin Sallata fa parte dell’antico popolo Toraja indonesiano. A TPI racconta che ha impiegato 26 ore per raggiungere Torino. «È stato un lungo viaggio ma sono molto felice di essere qui con gli attivisti europei per parlare della crisi che stiamo affrontando. La mia comunità vive per proteggere le foreste e per questo motivo nel nostro Paese veniamo anche messi in carcere. È questa la storia che vogliamo raccontare al Nord del mondo. Dobbiamo supportarci a vicenda e dobbiamo combattere insieme la crisi climatica», dice Michelin. Con loro c’è anche Patience Nabukalu, viene dall’Uganda e ha 24 anni. «Sono diventata attivista perché ho subito le conseguenze dei cambiamenti climatici sulla mia pelle», racconta. Patience si batte anche contro il mega progetto della società francese TotalEnergie che vuole costruire l’East african crude oil pipeline (Eacop) «un gasdotto riscaldato lungo più di 1.400 chilometri che parte dal nord dell’Uganda per raggiungere il porto di Tanga, in Tanzania, sull’Oceano Indiano» (il nostro giornale ne aveva già parlato in un articolo a firma di Marta Vigneri che trovate nel n.39 di TPI). «L’Uganda è tra i Paesi più vulnerabili alla crisi climatica nel continente africano. E ora la situazione rischia di peggiorare ancora di più a causa di questo progetto», spiega ancora Patience.

    Patience, Michelin e Nansedalia sono giovani, sofferenti e arrabbiate. Le loro testimonianze rivelano uno spaccato di realtà lontane che servono a comprendere la vera natura della crisi climatica. E quello che ci aspetta se non agiamo per tempo. Come ha osservato il giornalista ambientale Ferdinando Cotugno, «l’idea di Mapa deve entrare nel dibattito pubblico, e non solo su scala globale, ma anche locale. L’Italia ha le sue zone di sacrificio ecologico, i suoi Most Affected People and Areas, la terra dei fuochi, o le aree coinvolte in progetti passati e futuri legati ai combustibili fossili. Piombino, Civitavecchia, Gela. È una chiave di lettura estremamente utile per gli anni che verranno».

    L’altra notizia di apertura dei lavori del meeting, finita più sottotraccia, è stata quella che ha visto come protagonisti gli attivisti ambientali di Extinction Rebellion. La Questura di Torino ha emesso fogli di via per le attiviste Delfina e Vic salite con una scala sul balcone del palazzo della Regione Piemonte, dove hanno srotolato uno striscione con la scritta “Benvenuti nella crisi climatica, è solo l’inizio”. È stato allontanato da Torino anche chi stava semplicemente volantinando sotto il palazzo regionale. «Quello che ci ha sconvolte», racconta una delle due protagoniste dell’azione, «è il fatto che persone che non hanno attivamente commesso un reato siano state denunciate tanto quanto noi e non per il concorso, ma per invasione di edificio pubblico che non hanno fatto». Per loro e gli altri attivisti denunciati in piazza Castello è arrivata la solidarietà del Climate Social Camp. «Sono persone che vivono, studiano e lavorano a Torino da anni e che con i fogli di via sono costrette a lasciare la città per uno o due anni», dice l’attivista di Extinction Rebellion.

    Dentro il Camp
    All’ingresso del campeggio, esposto in evidenza, si nota subito uno striscione con la scritta “Welcome to Climate Social Camp”. Presso il vicino help desk vengono distribuiti gratuitamente anche assorbenti, preservativi, spray antizanzare. Per i pasti sono state coinvolte realtà locali che hanno fornito frutta e verdura fresca a chilometro zero. Mentre una cooperativa si è occupata della preparazione dei piatti. Il menù completo viene 7 euro. Tutti piatti rigorosamente vegani: pasta fredda con pomodorini e mozzarella di riso, chili di seitan, frittata vegana, burritos ai fagioli, hummus. «C’è la crew dei volontari, la crew che supporta nella distribuzione dei pasti. Abbiamo un gruppo attività che gestisce tutta la parte logistica: dallo spostamento delle sedie alla pulizia dei bagni. Abbiamo anche un super team di traduttori. C’è un team di sicurezza. E ancora un altro gruppo che si occupa dell’accoglienza. Abbiamo un nucleo di coordinatori più interni che cerca di passare tutte le competenze che abbiamo di modo che sia effettivamente più autorganizzato possibile», spiega a TPI Lorenzo Scottà, attivista di Ecologia Politica tra i principali organizzatori dell’evento, in un rarissimo momento di pausa.

    L’organizzazione del camp prevede anche alcune imprescindibili regole di convivenza civile, espresse in lingua inglese così che venissero da tutti comprese. La prima di queste, esposta in bella vista su un cartello, recitava: “No means No” (“No significa No”), per sottolineare come la battaglia per l’ambiente si intrecci anche con quella del rispetto delle donne. E ancora: lattine di bibite riutilizzate per gettare i mozziconi accompagnate dal cartello “butta qui le tue sigarette”, prolunghe per ricaricare cellulari e naturalmente cassonetti per la raccolta differenziata in ogni angolo del campeggio. Oltre ai tre grandi tendoni montati per ospitare la mensa e i dibattiti, nel camp sono stati predisposti anche piccoli gazebo dedicati al supporto psicologico dei partecipanti. Sì, perché in questa cinque giorni si è parlato molto anche di Eco-Ansia (tema approfondito dal nostro giornale già nel n.42) con lo psichiatra Matteo Innocenti, fondatore della prima associazione italiana che si occupa di ansia da cambiamento climatico. Per il benessere psicofisico ogni mattina all’alba si poteva partecipare anche a sessioni di yoga o semplicemente rilassarsi all’ombra degli alberi del parco sulle amache in qualsiasi ora della giornata.

    Le proteste
    Gli attivisti hanno trovato il tempo anche per azioni di protesta. Prima dello sciopero conclusivo in occasione della consueta marcia per il clima del venerdì, prevista al termine dei lavori, un corteo non autorizzato composto da circa 500 persone ha lasciato il campeggio per raggiungere la sede torinese della Snam, Società Nazionale Metanodotti. Qui alcuni attivisti, con indosso una tuta bianca da lavoro e una maschera nera, hanno scavalcato il recinto murato che circonda l’azienda esponendo lo striscione “Gas? Not our eco-transition”. La Snam è «una delle aziende italiane che costruisce infrastrutture per il gas metano, uno dei combustibili fossili più inquinanti. Non è una soluzione alla transizione ecologica», ha spiegato un’attivista. Poi il gruppo ha raggiunto la grande Sfinge che domina la rotonda dell’autostrada che da Torino conduce a Milano. Qui il corteo ha bloccato il traffico per circa 45 minuti. E alcuni degli attivisti si sono arrampicati sull’altissima torre residenziale in corso Giulio Cesare per coprire l’insegna di Banca Intesa Sanpaolo con la scritta “Stop Fossil Fuel” perché «è la prima banca in investimenti in combustibili fossili», hanno spiegato i manifestanti.

    Le soluzioni
    Nella cinque giorni si è parlato anche di soluzioni. E a chi dice che in questo tipo di iniziative climatiche si sollevano soltanto problemi, Lorenzo Scottà ribatte che «agli eventi e incontri del Camp si è parlato di soluzioni come le comunità energetiche come creazione di modelli alternativi di gestione di quello che è uno dei temi ora più caldi per via dei rincari delle bollette, per esempio. Si è parlato anche di modelli agro ecologici che funzionano, ci sono delle alternative al sistema e sono già presenti. Si è parlato anche di decostruire il proprio privilegio sia nell’attivismo che nell’approcciarsi alla crisi climatica. Tante soluzioni che sono ancora da costruire, ma in questo spazio abbiamo individuato le possibilità. C’è la possibilità di provare a costruirne. E il Camp è stato un buon inizio per farlo». «Il passo successivo – continua Lorenzo – sarà proprio quello di dare sostegno a questa idea, costruendo quindi anche nel futuro iniziative di questo genere e mantenere il dialogo internazionale attraverso una piattaforma che include tutte le realtà. Dopo questo evento raccoglieremo le adesioni di persone che vogliono aiutare a costruire questa rete», conclude il giovane attivista. Il prossimo appuntamento sarà quello dello sciopero globale previsto per venerdì 23 settembre, a ridosso delle elezioni politiche italiane. Il Climate Social Camp si è svolto infatti in un momento politico delicato per il nostro Paese: i giovani ambientalisti si sono ritrovati nel bel mezzo di una campagna elettorale all’indomani della crisi che ha posto fine al governo Draghi. Ma il grande rumore prodotto dallo scambio di idee, dalle proposte, dal fermento e della vivacità del meeting è stato ignorato da quasi tutti i partiti. Fatta eccezione per Europa Verde e Sinistra Italiana, i cui leader si sono mischiati tra la folla dei giovani a Torino. Una politica che tuttavia appare ancora terribilmente sorda di fronte agli appelli di questi ambientalisti.

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