Alla vigilia di una nuova nuova stretta di provvedimenti per il contenimento del Covid-19, è necessaria una riflessione su come stiamo entrando in questa terza fase delle crisi pandemica, forse più violenta e terribile della precedente. Si continua imperterriti a ricalcare gli stessi modelli produttivi e le stesse pratiche, dimenticando la fase di cesura abissale che si disvela sotto i nostri piedi.
La riconversione ecologica, l’innovazione al servizio dell’ambiente e la capacità di introiettare nelle politiche economiche e sociali dei paesi il “Green new deal” è oramai non solo più un argomento ricorrente nella politica europea, ma anche un percorso tracciato concretamente che vede, nel rapporto fra economia e sostenibilità ambientale, il proprio punto cardine. Un tema che appunto è scritto nelle agende ma non nella prassi dei consumi, della vita quotidiana e delle pratiche economiche.
Entro il 2050 si prevede di trasformare la nostra cara e vecchia Europa nel primo blocco di Paesi ad impatto zero, un rovesciamento del paradigma che imporrà necessariamente una attenzione particolare sull’impatto che avrà per i sistemi produttivi dei singoli Paesi UE. Ma i singoli Stati sono in forte ritardo.
Il progetto normativo ha lo scopo di favorire una transizione equa e giusta verso un’economia sostenibile e con impatto ambientale zero in tutti i Paesi membri: in particolare, la legge intende de-carbonizzare il settore energetico, che rappresenta il 75% delle emissioni inquinanti. Questo porterà ad un ripensamento in termini di sostenibilità anche della nostra mobilità sia privata che dei mezzi di trasporto.
In questo senso, se pensiamo alle nostre città, ci accorgiamo quanto le lancette dell’orologio della riconversione siano in ritardo. Questa pandemia infatti ha fatto emergere quanto il tema del trasporto pubblico locale per qualità, quantità e sostenibilità sia la Cenerentola degli Enti locali, rendendo evidente che la cosiddetta cura del ferro e la Green revolution oggi sono per le amministrazioni comunali e regionali delle chimere.
In queste ore ad esempio, il sito del “Buono mobilità” del Ministero dell’Ambiente – che prevede un voucher di 500 euro per l’acquisto di un mezzo di trasporto non inquinante – è stato preso d’assalto da migliaia di utenti desiderosi di usufruire di una misura che, se non messa a regime in un quadro normativo più ampio, rischia di diventare l’ennesima regalia pubblica. Cosa ne facciamo ad esempio di monopattini, biciclette o scooter elettrici, se le strade delle nostre città e le relative viabilità non sono pronte ad accogliere la movimentazione green?
Anche per questo motivo dobbiamo progettare città ad impatto zero: la sharing mobility è il futuro del trasporto urbano. Sdoganato il dogma culturale della mezzo di trasporto di proprietà fortunatamente si sta registrando un incremento costante dell’utilizzo della mobilità sostenibile nei centri urbani.
La strada tracciata dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, non è più un obiettivo utopistico ma è una realtà concreta e reale che modificherà usi e costumi delle vite di noi cittadini europei. Sfruttiamo l’immane tragedia del Covid per azzerare e ricostruire, per salvare e accudire, per dare un futuro diverso al nostro quotidiano, iniziando dalle città e puntando ad una rivoluzione strutturale, pragmatica e segni il passo di un nuovo benessere.
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