Il G20 ha raggiunto ieri a Napoli un accordo (a metà) su clima ed energia nel corso della seconda e ultima giornata di lavori della riunione dei ministri dell’Ambiente dei Paesi membri.
A 100 giorni dall’inizio della 26/ma Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26), in programma a novembre a Glasgow, in Scozia, la lunga trattativa tra i singoli Stati appartenenti al G20 ha portato ad approvare un “Comunicato finale”, che dimostra ancora profonde divisioni non tanto sulla necessità della lotta ai cambiamenti climatici, quanto sulla via per raggiungere tale obiettivo.
È mancata infatti l’intesa sulla graduale eliminazione del carbone dalla produzione energetica entro il 2025, un tema su cui si sono registrate forti resistenze da parte di varie delegazioni. Inoltre, il Communiqué uscito dalla due giorni tenuta a Palazzo Reale delinea un accordo raggiunto in 58 punti ma non contiene alcun accenno all’obiettivo di mantenere sotto gli 1,5 gradi l’aumento delle temperature globali entro il 2030, confermando invece i limiti stabiliti a Parigi nel 2015.
“Su 60 articoli, due sono stati estratti perché non è stato possibile trovare l’accordo”, ha ammesso ieri in conferenza stampa il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, che ha presieduto il vertice di Napoli. “Quindi alcuni punti sono stati rinviati ai livelli di decisione politica più alta del G20 dei capi di Stato: oggettivamente è stato un ottimo risultato”.
Secondo Cingolani, “Stati Uniti, Europa, Giappone e Canada sono favorevoli” a un accordo sull’eliminazione del carbone dalle fonti energetiche entro il 2025 e sul contenimento dell’aumento delle temperature globali al di sotto degli 1,5 gradi entro il 2030, “ma quattro o cinque Paesi, fra cui Cina, India e Russia, hanno detto che non se la sentono di dare questa accelerazione, anche se vogliono restare nei limiti dell’Accordo di Parigi”.
Tuttavia, secondo il ministro, l’intesa raggiunta “è fondamentale per aprire la strada alla COP26”, ma il punto dolente del negoziato restano i tempi. “Alcuni Paesi economicamente rischiano di non farcela” in un arco di 5 o 10 anni. L’Accordo di Parigi entrato in vigore nel 2016 infatti prevede di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi rispetto al periodo preindustriale entro il 2030 e, a lungo termine, di limitarne l’ulteriore aumento di 1,5 gradi, senza fissare però scadenze specifiche per quest’ultimo obiettivo.
“Sarei stato più ambizioso”, ha riconosciuto Cingolani, ma “penso che possiamo essere assolutamente contenti e soddisfatti, non avevamo tutto questo ottimismo, sembravano esserci barriere più alte”. Secondo il ministro, l’accordo ottenuto è “assolutamente senza precedenti, perché per la prima volta il G20 accetta che clima e politica energetica siano strettamente connessi”. Insomma, una vittoria più che altro di principio e un rimando alle decisioni dei capi di Stato e di governo e alla COP26 di Glasgow.
Cosa prevede l’accordo
L’intesa si snoda su 58 articoli e attraversa diversi temi, ma può essere riassunta in tre punti:
Biodiversità – il G20 si impegna “alla protezione del capitale naturale e al ripristino degli ecosistemi con soluzioni basate sulla natura, sulla difesa e sul ripristino del suolo, sulla tutela delle risorse idriche, degli oceani e dei mari”, con particolare attenzione per i rifiuti gettati in mare.
Economia circolare – La visione del G20 sull’economia circolare è “incentrata sul tessile e sulla moda sostenibile, sulle città circolari, sull’educazione e sulla formazione”. I Paesi membri hanno riconosciuto per la prima volta i risultati del recente rapporto IPBES e IPCC sul nesso tra biodiversità e cambiamento climatico, lanciato il 10 giugno scorso.
Finanza sostenibile –L’accordo si concentra sulle esigenze di finanziamento per la protezione ed il ripristino degli ecosistemi, come contributo al dibattito in corso sul futuro del sistema finanziario globale
Cosa succede ora
In sintesi, l’intesa di Napoli permette di definire una serie di nuovi piani per il clima volti a ridurre significativamente le esalazioni inquinanti entro il 2030 e potenzialmente di raggiungere l’obiettivo di “emissioni nette zero” entro il 2050, presentando tali progetti alle Nazioni Unite prima dei colloqui previsti in Scozia.
Eppure, il mancato accordo sull’eliminazione graduale del carbone dalle fonti energetiche e sull’ulteriore contenimento dell’aumento delle temperature globali rende difficile considerare l’intesa raggiunta come un vero successo. A quanto emerso a margine del vertice, le nazioni del G7, insieme a Messico e Corea del Sud sostenevano un piano ben più ambizioso di quello prodotto dalla riunione di Napoli, ma non è stato possibile superare le resistenze di Russia, India, Arabia Saudita e Cina.
L’accordo sembra aver riconosciuto la portata del problema e la necessità di agire per salvare l’umanità dagli effetti dei cambiamenti climatici prodotti dalle attività industriali e inquinanti, ma sussistono ancora profonde divisioni sulla strada da percorrere.
Intanto, la situazione climatica continua a peggiorare dopo gli eventi catastrofici avvenuti in Germania e Cina. Il 9 agosto è attesa una nuova valutazione sullo stato dei cambiamenti climatici da parte dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) delle Nazioni Unite, dopo l’ultimo rapporto del 2013 e gli ammonimenti lanciati ai leader mondiali nel 2018, in cui si chiedeva di adottare misure drastiche e immediate per impedire gli effetti sempre disastrosi dei previsti eventi meteo estremi.
Il nuovo rapporto, in corso di elaborazione da oltre 230 autori provenienti da 65 Paesi, confermerà vieppiù che le attività umane sono responsabili dell’accelerazione del riscaldamento del pianeta. Secondo la rivista Scientific American, il documento conterrà “una dichiarazione sempre più forte sull’influenza umana sull’aumento delle temperature globali come conseguenza della crescita dei gas serra”.
Dalle ultime previsioni dell’IPCC del 2013 sono passati sette anni in cui le temperature globali e l’inquinamento hanno proseguito la propria corsa al rialzo. Se allora il rapporto ammoniva sui rischi connessi a un ulteriore incremento del riscaldamento del pianeta oggi, con le immagini provenienti dalla Germania occidentale e dalla Cina centrale, possiamo già assistere agli effetti degli eventi meteo estremi su porzioni della Terra fortemente antropizzate.
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