Durante il mese di giugno 2023 i Paesi Bassi hanno fatto ricorso al carbone per il proprio approvvigionamento elettrico soltanto per cinque giorni, facendo registrare il record di diciassette giorni consecutivi senza utilizzo del minerale. Allo stesso modo, a luglio, il sistema energetico della Grecia ha fatto a meno della lignite per 80 ore.
Durante la prima metà dell’anno ci sono stati undici Paesi che hanno visto un calo di almeno il 20% della produzione di combustibili fossili e cinque – Portogallo, Austria, Bulgaria, Estonia e Finlandia – sono riusciti a portare al 30% questa soglia: è la “crisi” di carbone, gas e petrolio nell’Ue, raccontata dall’ultimo report di Ember, think tank ambientale britannico che spinge per la transizione energetica nel Vecchio Continente.
Secondo i suoi analisti energetici, la quantità di elettricità fossile generata nei Paesi dell’Unione europea è scesa al livello più basso di sempre nei primi sei mesi di quest’anno, con quattordici nazioni, tra le quali l’Italia, che hanno stabilito il proprio record negativo in questo senso.
Il carbone, in particolare, è diminuito drasticamente, di quasi un quarto, arrivando a rappresentare soltanto il 10% della produzione di elettricità dell’Ue a maggio, la quota più bassa mai registrata. Il declino strutturale del minerale è ormai inarrestabile nonostante la volatilità del mercato energetico comunitario dopo l’invasione russa dell’Ucraina, che ha portato a suggerire un suo ritorno – solo come forma di capacità di emergenza – in Paesi come Germania, Italia, Grecia e Ungheria.
Questi avevano annunciato piani per la riapertura o il prolungamento dell’attività delle centrali “nere”, ma la riduzione dell’energia prodotta dal carbone in tutta l’Ue nei primi sei mesi dell’anno ha riportato il declino dell’uso dei combustibili fossili alla sua traiettoria pre-pandemica.
Accanto alla crisi del carbone, secondo Ember, anche la produzione a gas è diminuita del 13%, scendendo a 33 Twh: la Commissione europea sostiene che abbiamo già raggiunto l’obiettivo di riempire gli impianti di stoccaggio del gas al 90% della capacità circa due mesi e mezzo prima della scadenza del primo novembre, ma le importazioni dai gasdotti russi sono crollate a 13 miliardi di metri cubi rispetto ai 50 miliardi della prima metà del 2022.
Di contro, la produzione solare è aumentata del 13% e quella eolica del 5%, consentendo a diciasette Paesi europei di generare quote record di energia derivata da fonti rinnovabili: la Danimarca e il Portogallo si sono rivelati i più virtuosi, superando il 75% della quota nazionale mentre Grecia e Romania per la prima volta hanno superato il 50%.
Questo è avvenuto perché gran parte delle rinnovabili non hanno costi variabili: «Una volta che hai acquistato la macchina, che sia un pannello fotovoltaico o una turbina eolica, la utilizzi sempre, perché produce ogni volta che c’è sole o c’è vento, anche se il costo dell’elettricità è basso conviene sempre tenerla in funzione», dice a TPI Michele Governatori, responsabile del programma elettricità e gas di Ecco, think tank italiano sul clima.
«Le centrali a combustibili fossili invece – aggiunge – vengono spente quando questi, e i permessi ad emettere anidride carbonica, sono troppo costosi. Le entrate derivate dalla cessione di energia elettrica non sarebbero sufficienti a giustificare le spese».
Per questo motivo ogni volta che la domanda energetica scende non viene mai erosa la quota di produzione derivante da fonti rinnovabili, che anzi aumenta. Ed è stata proprio la riduzione della domanda europea a causare questa crisi del carbone.
L’elettricità consumata in Europa nella prima metà del 2023 è scesa del 5%, al minimo storico di 1.261 Twh, ancora meno della soglia di 1.271 TWh osservata nello stesso periodo del 2020 durante la prima ondata della pandemia. Si tratta del livello più basso almeno dal 2008 per gli attuali Stati membri.
Un rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) ha attribuito due terzi del calo della domanda nel 2022 alla riduzione della produzione delle industrie ad alta intensità energetica, un fenomeno che si è mostrato in modo particolarmente forte in Germania, dove l’attività delle aziende ad alta intensità energetica è diminuita del 15-20% rispetto alla media del 2021. Altri importanti centri industriali dell’Ue che hanno registrato cali si trovano in Italia, Francia, Spagna, Polonia e Paesi Bassi.
In cima alla lista delle alternative verdi c’è sempre il solare: dopo l’aggiunta record di capacità di 33 GW nel 2022, il ritmo è continuato nel 2023, con notevoli balzi in avanti fatti da Polonia, Belgio e Italia (il nostro Paese ha installato 2,5 GW da gennaio a giugno, rispetto a un totale di 3 GW in tutto il 2022).
Ember ha anche osservato che la crescita di questo tipo di energia è probabilmente sottostimata, visto che molti Paesi non riportano le installazioni “behind-the-meter”, ovvero quelle – come i tetti residenziali – che possono essere utilizzati in loco senza passare attraverso un contatore di monitoraggio più ampio.
In misura minore cresce anche l’eolico, con 2GW di capacità aggiunta in tutta l’Ue in metà anno. La doppia velocità rispetto al solare è in parte dovuta all’aumento dei costi per i progetti tecnologici che sfruttano il vento: secondo uno studio della società di consulenza strategica Oliver Wyman, il costo di una turbina è cresciuto del 38% negli ultimi due anni, un aumento guidato da maggiori pressioni inflazionistiche sui costi e da tassi di interesse più elevati, che sta avendo un effetto dannoso sugli investimenti.
Inoltre, le politiche di alcuni singoli Stati membri ne ostacolano la diffusione, come ad esempio il complesso processo di approvazione amministrativa in Francia che sta rallentando lo sviluppo dell’energia eolica onshore.
Nel complesso, l’energia eolica e solare hanno rappresentato per la prima volta oltre il 30% della produzione di elettricità nell’Ue sia a luglio che a maggio, quando hanno anche superato la produzione totale di combustibili fossili.
Per chiudere il cerchio, l’energia idroelettrica è aumentata dell’11% (+15 TWh) tra gennaio e giugno, trainata dalla maggiore produzione nell’Europa meridionale e negli Stati baltici, ma resta ancora poco affidabile. visti gli ampi periodi di siccità che aumentano di frequenza e intensità per colpa del cambiamento climatico, mentre il nucleare ha avuto una contrazione del 3,6% come conseguenza della graduale chiusura delle centrali in Germania.
Messa spalle al muro di fronte alla crisi energetica, quindi, l’Europa ha risposto concentrandosi sul verde. «Certo – aggiunge Governatori – alcuni investimenti sono stati un po’ accelerati dalle politiche europee come RePower Eu e dalla diversificazione delle fonti, ma il boom è stato soprattutto causato dalle aziende che ragionano utilitaristicamente e vedono che il gas costa troppo. Dopo quanto successo, mi chiedo cosa dobbiamo fare ancora per capire che bisogna abbandonare le fossili, così instabili, che ci espongono ciclicamente a queste crisi».
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