Emilia Romagna, prima tappa italiana del Webdoc Adaptation
L’adattamento è un’avventura, una sfida per la convivenza con il cambiamento climatico che riguarda tutti. In questo senso l’Emilia Romagna è un ‘laboratorio a cielo aperto’ dove tante buone pratiche per resistere agli sconvolgimenti della natura sono state già messe in campo. Parte da qui il racconto, diviso in capitoli, fatto dal team di giornalisti di ADAPTATION (questo il nome del webdoc online all’indirizzo www.adaptation.it ) che ha visitato la regione lo scorso settembre e realizzato interviste a esperti di gestione del territorio, accademici, forestali, ingegneri e climatologi.
A parlarne, nella tavola rotonda trasmessa via ZOOM lunedì 14 dicembre, sono stati quattro ‘addetti ai lavori’ di alto livello, la dott.ssa Marta Ellena, ricercatrice del CMCC, il dott. Luca Salice, partner di ADAPTATION, il prof. Stefano Pareglio, docente di Economia ambientale presso l’Università Cattolica di Milano e Coordinatore scientifico di FACTS/FEEM e il dott. Stefano Venier, Amministratore Delegato del Gruppo Hera. Ognuno degli speaker ha portato un contributo molto interessante alla discussione. Adattamento in ambito urbano e oggetto di negoziati internazionali, adattamento del business e racconto giornalistico di un fenomeno così complesso all’interno della narrazione sul cambiamento climatico, questi i temi intorno ai quali si è sviluppato il dibattito. Moderatore dell’incontro il giornalista Emanuele Bompan, direttore della rivista Materia Rinnovabile.
Dopo la prima puntata dedicata all’Olanda, il team di ADAPTATION ha dunque iniziato a viaggiare nelle regioni italiane per raccontare come si stiano adattando al cambiamento climatico. La prima puntata di questo “italian grand tour”, non a caso, è dedicata all’Emilia Romagna, una regione che nel 2018 ha varato il suo piano di adattamento.
Tema centrale del ‘viaggio’, è stato l’acqua. Il suo ciclo di vita, i suoi usi, la salvaguardia, la rigenerazione e la valorizzazione della risorsa, gli investimenti per difendersi dalle esondazioni, l’impatto sulla popolazione.
Le collaborazioni nate sul campo sono state decisive per la riuscita del lavoro. Dal CNR al Consorzio di Bonifica Renana, dall’Autorità di Bacino di Distretto del Fiume Po all’Ecovillaggio Montale, dal Consorzio di Bonifica della Romagna al Gruppo Hera, che ha aperto le porte dei suoi impianti e mostrato tecnologie di frontiera.
Se in Emilia Romagna si sta facendo tanto, in altre parti del Paese la situazione appare meno rosea. L’Italia versa in uno stato di crisi idrica strutturale, causata da numerosi e concomitanti fattori: eccessivo water footprint, perdite nelle reti, condizioni climatiche sempre più estreme, spreco della risorsa e mancato o insufficiente riuso. Secondo recenti studi (confortati da azioni di monitoraggio portate avanti nel tempo in tutta la penisola) mancherebbero all’appello 23,4 miliardi di metri cubi d’acqua. Vale a dire una quantità pari a quella contenuta nel lago di Como.
Per essere ancora più chiari, nel 2020 stiamo sperimentando la peggiore crisi di siccità mai verificatasi negli ultimi 60 anni. Significa meno acqua da bere, ma anche meno acqua per la nostra agricoltura, che da sola consuma ben il 70% di tutta l’acqua dolce disponibile. Negli ultimi 20 anni, poi, la siccità ha provocato danni all’agricoltura italiana per oltre 15 miliardi di euro.
Dinanzi ad uno scenario del genere appare evidente che il risparmio d’acqua, la manutenzione e il monitoraggio technology-driven delle reti, la cultura del riuso, la depurazione, il controllo qualità, le buone pratiche di uso (da parte dell’utilizzatore finale) rappresentino le condizioni necessarie per la costruzione di un modello di vita sostenibile e rispettoso della ‘risorsa acqua’.
Allo stesso tempo, per la crescita di una comunità realmente resiliente e ‘adattata’ occorrono pianificazione, investimenti e infrastrutture importanti, come le enormi ‘vasche’ scavate sotto piazzale Kennedy, nel pieno centro di Rimini, per farvi convergere acque piovane e reflue in eccesso ed evitare che vengano sversate in mare (si tratta di uno dei principali interventi del cosiddetto PSBO, Piano di Salvaguardia della Balneazione Ottimizzato).