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    Il danno causato dagli esseri umani all’ambiente pare ormai irreversibile

    Credit: AP Photo

    Le giornate sempre più lunghe, la progressiva migrazione dei Poli e le tracce di sostanze artificiali nei mari e nei suoli. Se il cambiamento climatico sta modificando la realtà a cui siamo abituati, l’attività umana ha già contribuito ad alterare le caratteristiche fondamentali del nostro pianeta

    Di Giulio Alibrandi
    Pubblicato il 4 Ott. 2024 alle 16:02

    Temperature estreme, uragani sempre più intensi, ghiacciai che scompaiono. Ma anche giornate più lunghe e la migrazione sempre più veloce del Polo nord. Per la prima volta nella storia gli scienziati hanno la possibilità di osservare in tempo reale come fenomeni attribuiti all’attività umana stiano cambiando lo stesso pianeta in cui viviamo. L’aumento delle temperature, lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento del livello del mare non stanno solo modificando, in maniera sempre meno impercettibile, la realtà in cui si sono sviluppate le nostre società. Ma stanno anche contribuendo ad alterare alcune caratteristiche che consideriamo fondamentali della Terra, dalla durata delle giornate alla posizione dell’asse terrestre.

    «La spiegazione fisica è estremamente semplice», ha affermato il geofisico Duncan Agnew al The Atlantic. In sintesi lo scioglimento dei ghiacciai ai poli sta causando lo spostamento di masse d’acqua verso l’equatore, cambiando la forma stessa del pianeta. Una dinamica che da sempre influisce sulla rotazione della Terra e sulla posizione del suo asse, sulla quale ora anche l’attività umana è in grado di incidere. Novità come questa hanno spinto molti scienziati a definire gli effetti dell’attività umana come un “evento geologico” che sta tuttora cambiando la Terra.

    «In appena 100 anni, gli esseri umani hanno alterato il sistema climatico a un livello tale che riusciamo a vederne l’impatto sul modo in cui il pianeta gira», ha sottolineato il geofisico del Jet Propulsion Laboratory della Nasa Surendra Adhikari, co-autore di uno studio che ha analizzato il ruolo «sempre più dominante» del cambiamento climatico sulla rotazione terrestre.

    Questione di millisecondi
    Dalla ricerca, pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas), è emerso che dal 2000 le giornate si sono allungate più rapidamente che in qualsiasi momento del secolo precedente. La causa è attribuita allo scioglimento accelerato dei ghiacciai e delle calotte dell’Antartide e della Groenlandia, dovuto alle emissioni di gas serra. Lo spostamento di masse d’acque dai poli verso le zone equatoriali finisce per cambiare la forma stessa del pianeta, che si sta gradualmente appiattendo. La Terra tende così a decelerare proprio come, nell’esempio fatto dal laboratorio della Nasa, un pattinatore che si abbassa e allarga le braccia per rallentare mentre fa le piroette.

    Questo processo avviene da millenni ma negli ultimi decenni ha subito un’accelerazione. Nel corso del 20esimo secolo il tasso a cui si allungavano le giornate era compreso tra 0,3 e 1 millisecondi ogni 100 anni. Dal 2000 ha raggiunto 1,33 millisecondi. «Stiamo giocando con il nostro sistema climatico», ha avvertito al The Atlantic Adhikari.

    Nello scenario peggiore il tasso di allungamento delle giornate potrebbe quasi raddoppiare entro il 2100. In questa ipotesi, il cambiamento climatico diventerebbe il fattore primario di rallentamento della rotazione terrestre, superando dopo miliardi di anni l’attrazione esercitata dalla Luna, alla base delle maree terrestri e oceaniche.

    Per il momento l’effetto è abbastanza pronunciato da contrastare una tendenza contraria dovuta a fattori naturali. È la tesi di uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature, secondo il quale il riscaldamento globale, e il rallentamento a cui si accompagna, starebbe mascherando un’accelerazione della rotazione terrestre, causata da cambiamenti nella rotazione dei liquidi nel nucleo esterno della Terra. 

    Questi cambiamenti non sono solo di interesse accademico. Il sistema usato nella maggior parte del mondo come riferimento per orologi e fusi orari, noto come tempo coordinato (UTC), viene corretto per tenere conto anche del rallentamento della rotazione terrestre.

    Per questo negli ultimi decenni, all’ora UTC veniva aggiunto un secondo, noto come “secondo intercalare”, per allinearla al giorno solare medio. In questi casi l’ultimo minuto del giorno raggiunge i 61 secondi (viene indicato con 23:59:60) per uniformare il tempo astronomico, basato appunto sulla rotazione della Terra relativa al Sole, a quello misurato dagli orologi “atomici” su cui si basa l’UTC. Tra il 1972 e il 2016, questi “secondi” sono stati aggiunti in 27 occasioni diverse.

    Tenere conto di queste correzioni imprevedibili è considerato un problema dalle organizzazioni che gestiscono le reti informatiche. Prime fra tutte società come Meta e Google, che ne hanno chiesto l’eliminazione. Nel 2012 un errore legato a questo sfasamento ha mandato in crash numerosi servizi web, creando più di qualche grattacapo a Reddit, Linux, Qantas Airlines. Anche per questo la Conferenza generale per i pesi e le misure ha votato per sospendere l’aggiunta (o la sottrazione se la rotazione dovesse iniziare invece ad accelerare) del “secondo intercalare” a partire dal 2035. A votare contro la proposta è stata la Russia, il cui sistema satellitare si basa sul tempo astronomico. Mosca intende posticipare la fine delle correzioni al 2040 o più tardi per affrontare le questioni tecniche relative al suo sistema di navigazione satellitare, Glonass. La proposta prevede di non aggiungere secondi per almeno un secolo, che porterebbe a circa 1 minuto la differenza tra tempo astronomico e atomico. La Conferenza, una delle tre organizzazioni costituite per gestire il Sistema internazionale di unità di misura, dovrà decidere entro il 2026 quale limite massimo imporre a questa differenza.

    L’asse si sposta
    Gli effetti del cambiamento climatico stanno influendo anche sulla posizione dell’asse terrestre. La linea immaginaria intorno a cui la Terra ruota non è fissa ma risente anch’essa di movimenti all’interno e sulla superficie della Terra. Secondo uno studio pubblicato su Nature Geoscience il 90 per cento delle oscillazioni dell’asse terrestre rilevate tra il 1900 e il 2018 possono essere spiegate da cambiamenti relativi a calotte glaciali, ghiacciai, livello del mare e acque sotterranee. Il resto è causato da dinamiche interne della Terra, come le oscillazioni dovuta all’inclinazione del nucleo interno.

    Per decenni gli scienziati hanno osservato l’asse muoversi lentamente, allontanandosi dal Polo nord geografico. Poi, all’inizio degli anni 2000, hanno registrato un cambiamento improvviso: stava iniziando a spostarsi verso est, dopo un secolo di oscillazioni nella stessa zona in Canada. Alcuni ricercatori hanno attribuito la maggior parte di quello spostamento allo scioglimento dei ghiacciai e al conseguente aumento del livello del mare. Anche in questo caso, dovuto allo spostamento di acqua dai poli all’equatore.

    Alcuni degli stessi scienziati che hanno realizzato quello studio hanno poi identificato un altro fattore alla base del fenomeno: le quantità enormi di acqua estratte dal sottosuolo per uso domestico e agricolo. Scoprirlo è stata una «grande sorpresa», ha detto al New York Times il geofisico Ki-Weon Seo dell’Università nazionale di Seul.

    Nella seconda metà del 20esimo secolo il consumo delle falde acquifere a livello mondiale è più che raddoppiato arrivando, secondo le stime degli scienziati, a circa 283 chilometri cubi all’anno. Secondo lo studio realizzato dal prof. Seo e dai suoi colleghi, tra il 1993 e il 2010 l’estrazione di acqua è stata la seconda causa di spostamento dell’asse terrestre. Al primo c’è il graduale sollevamento della crosta e del mantello terrestre, liberati dal peso dei ghiacci dopo la fine delle glaciazioni.

    Questi cambiamenti non sono sufficienti ad alterare il corso delle stagioni. Ma influiscono, ad esempio, sul funzionamento delle tecnologie satellitari utilizzate per guidare aerei, missili e navigatori. Anche questo spinge i ricercatori a cercare di capire i motivi dello spostamento dell’asse terrestre per prevedere come avverrà in futuro.

    Una nuova epoca?
    Alcuni scienziati hanno sostenuto che questi e altri cambiamenti rendono necessario parlare di una nuova epoca geologica. L’impatto dell’umanità sulla Terra è talmente significativo che saremmo quindi entrati nell’“Antropocene”. In base a questa tesi, dagli anni Cinquanta del secolo scorso, dopo le prime detonazioni nucleari, l’umanità si sarebbe lasciata alle spalle l’Olocene, iniziato dopo l’ultima glaciazione circa 12mila anni fa.

    L’accelerazione delle emissioni di anidride carbonica e l’innalzamento del livello del mare, con l’estinzione di specie animali e vegetali e la trasformazione del territorio a causa dell’agricoltura e della deforestazione sono alcuni degli elementi che caratterizzerebbero questa nuova epoca. Altri cambiamenti destinati a lasciare tracce per le future generazioni riguardano il drastico aumento della presenza di azoto e fosforo nel suolo a causa dell’uso di fertilizzanti e la diffusione di microplastiche negli oceani.

    Per definire una nuova epoca, è necessario trovare un “golden spike”, un segnale che certifica il passaggio a livello geologico. L’inizio dell’Antropocene si sarebbe dovuto collocare intorno al 1950, quando sono stati rilasciati nell’atmosfera gli elementi radioattivi dei primi test nucleari. Dopo un processo durato 15 anni, a luglio 2023 il Gruppo di lavoro sull’Antropocene, che ha portato avanti la proposta, ha identificato il lago Crawford in Ontario come il luogo che rappresenta al meglio l’impatto che l’attività umana ha avuto sul pianeta. I sedimenti prelevati dal lago contengono tracce dei test nucleari, in particolare plutonio. In natura questo elemento è presente in quantità minime.

    Ma all’inizio degli anni Cinquanta, secondo il professore di radiochimica ambientale dell’Università di Southampton Andrew Cundy, è possibile osservare un forte aumento nei livelli di plutonio in campioni prelevati in tutto il mondo. «La presenza di plutonio ci fornisce un chiaro indicatore di quando l’umanità è diventata una forza così dominante da poter lasciare un’impronta digitale unica e globale sul nostro pianeta», ha detto Cundy, membro a sua volta del Gruppo di lavoro sull’Antropocene. Da metà anni ’60 è possibile osservare un calo dei livelli di plutonio, successiva «all’entrata in vigore del Trattato sulla messa al bando degli esperimenti nucleari», siglato a Mosca da Unione Sovietica, Regno Unito e Stati Uniti nel 1963.

    Alcuni scienziati hanno sostenuto che sarebbe stato meglio anticipare l’inizio dell’Antropocene, arrivando ad esempio fino alla Rivoluzione industriale. Altri sono contrari all’uso del termine, coniato dal chimico premio Nobel Paul Crutzen, perché finirebbe per attribuire a tutta l’umanità la responsabilità per le attività che stanno alterando il pianeta, quando i cambiamenti sarebbero perlopiù opera di un’élite minoritaria. Un’altra obiezione è che, paradossalmente, gli esseri umani stanno alterando il pianeta da ben prima del 20esimo secolo. «Ha davvero senso stabilire l’inizio di un’era dominata dall’uomo millenni dopo che la maggior parte delle foreste nelle regioni coltivabili sono state tagliate per l’agricoltura?», chiede un articolo pubblicato nel 2015 su Science.

    Alla fine la proposta non ha superato il vaglio degli esperti ed è stata respinta da una sottocommissione della Commissione internazionale di stratigrafia dopo sei settimane di discussioni, terminate lo scorso agosto. Anche senza il riconoscimento formale di epoca geologica, diversi scienziati vogliono mantenere il concetto di Antropocene, indicando con esso un “evento geologico” tuttora in corso. In base a questa definizione stiamo attraversando un evento «complesso» e «trasformativo» analogo ad altri del passato come il “grande evento ossidativo”, che ha portato all’estinzione di alcune delle prime forme di vita della Terra circa 2,45 miliardi di anni fa.

    L’obiettivo è quello di continuare a stimolare discussioni e ricerche sui cambiamenti causati dall’attività dell’uomo. «È una distrazione concentrarsi su dibattiti stratigrafici formali», ha scritto su X il geofisico Jonathan Overpeck, «quando è chiarissimo che gli esseri umani da tempo stanno cambiando il sistema Terra come non era mai avvenuto prima e lo hanno fatto ancora di più negli ultimi 100 anni».

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