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    Gas, guerra, diritti umani: le tante ombre sulla Cop29 di Baku

    Credit: AP

    Il potere del gas azero. Le tensioni militari in Nagorno-Karabakh. La repressione dei diritti umani. Ecco le tante ombre che pesano sulla 29esima Conferenza Onu sul Clima. Dall’11 al 22 a novembre a Baku

    Di Giorgio Brizio
    Pubblicato il 18 Ott. 2024 alle 16:05

    Il primo problema della Cop29 in Azerbaijan è l’Azerbaijan, la cui economia dipende dal gas tanto quanto quella degli Emirati Arabi Uniti, che hanno ospitato la Cop28, dipende dal petrolio. 

    Il secondo problema è il numero 29: dopo ventotto Conferenze delle Parti sul clima, non si è ancora riusciti a invertire la rotta. Le Cop servono a qualcosa allora? 

    Quando venne siglato l’Accordo di Parigi alla Cop21, si prevedeva che le emissioni di gas climalteranti sarebbero aumentate del 16% entro il 2030. Ora, grazie agli sforzi della comunità internazionale, si prevede che aumentino “solo” del 3%. Secondo l’Ipcc, però, i gas serra andrebbero tagliati del 43% entro il 2030. 

    Equilibrismi
    Come ci è arrivata la Cop in Azerbaijan? Nell’ambito dell’Unfccc, la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul clima, queste ultime hanno diviso il mondo in cinque macroaree: Asia, Africa, Europa dell’Est e Caucaso, Europa dell’Ovest e Sud America, Nord America. A turno, ciascuna regione ospita l’evento. Un Paese di quell’area si può candidare come per i Mondiali o le Olimpiadi, e a mettere un veto alla proposta possono essere solo altri Paesi della stessa area. 

    Quest’anno toccava a Europa dell’Est e Caucaso, in cui ci sono diversi conflitti in corso, come quello tra Russia e Ucraina e quello tra Azerbaijan e Armenia. 

    Il primo Paese ad essersi fatto avanti è stata la Bulgaria, ma la Russia ha posto il veto, motivato dal fatto che Sofia sostiene militarmente l’Ucraina. Per diverso tempo la speranza è stata che si proponesse la Polonia, Paese tra due sfere d’influenza che ha già ospitato due Cop in passato, ma il neoeletto governo Tusk è riuscito a insediarsi solo dopo molti mesi. A quel punto si è candidato l’Azerbaijan, e l’Armenia ha messo il veto. Con grande ritardo – di solito il Paese ospitante di una Cop si conosce con almeno un anno e mezzo di anticipo – e all’ultimo momento possibile durante la Cop di Dubai, l’Azerbaijan e l’Armenia hanno trovato un accordo, fortemente voluto dal degretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. 

    Nel comunicato congiunto, i due Paesi «condividono l’opportunità di raggiungere una pace a lungo attesa nella regione. Riconfermiamo l’intenzione di normalizzare le relazioni e raggiungere un trattato di pace sulla base dei principi della sovranità e dell’integrità territoriale». 

    L’Azerbaijan ha rilasciato 32 membri dell’esercito armeno, l’Armenia ha liberato 2 militari azeri e ha rimosso il veto affinché l’Azerbaijan possa ospitare Cop29. La Russia, che considera l’Azerbaijan uno Stato sotto la sua influenza, ha solo da guadagnarci, e così la 29esima Conferenza sul clima si svolgerà a Baku dall’11 al 22 novembre 2024. 

    Guerra silenziata
    Dopo l’escalation della guerra in Ucraina nel 2022, i Paesi europei hanno deciso di diminuire la propria dipendenza dal gas russo, ma non la propria dipendenza dal gas. 

    Meloni e Draghi sono andati in gita, sempre accompagnati dall’amministratore delegato di Eni Descalzi, in Tunisia, Algeria, Angola, Mozambico e anche in Azerbaijan, che è diventato tramite il Tap il nostro secondo fornitore di gas e il primo di petrolio. 

    «Avrete bisogno del nostro gas ancora per parecchi decenni», ha detto il ministro degli Esteri azero in un’intervista a Repubblica a luglio. 

    Nessuno dei Paesi appena citati è particolarmente più democratico o rispettoso dei diritti umani della Russia e l’anno scorso l’Azerbaijan, come la Russia, ha lanciato un’estesa aggressione di terra.

    Dopo aver subito un lungo embargo su cibo e medicine, la Repubblica dell’Artsakh, nella regione del Nagorno-Karabakh storicamente abitata dal popolo armeno, è stata occupata dall’esercito azero. Circa 100mila persone hanno lasciato la regione e sono entrate in Armenia, che non era preparata a gestire un tale numero di profughi. 

    Quella del Nagorno-Karabakh può essere considerata la terza guerra alle porte dell’Unione europea, ma i media occidentali ne hanno parlato pochissimo, così come hanno fatto i nostri governi. «Quella in Karabakh è un’occupazione illegale, l’Europa vende il nostro popolo per il gas», ha detto Vartan Oskanian, già primo ministro armeno e negoziatore per la pace. 

    Forse quello raggiunto l’anno scorso a Dubai non è un buon accordo, ma almeno un accordo è stato trovato. Se in questo caso la mediazione delle Nazioni Unite per interporsi ed evitare un’escalation tra Armenia e Azerbaijan è riuscita, lo stesso non si può dire per la situazione tra Libano e Israele, con quest’ultimo che non si è limitato a inserire Guterres nella lista delle persone non gradite e a invitarlo a «ritirare immediatamente» il contingente Unifil, ma ha direttamente sparato contro i caschi blu. Sotto l’attacco israeliano non ci sono solo i soldati italiani, ma il mondo intero, le Nazioni Unite, e con loro una concezione del mondo, un’idea di relazioni internazionali multipolari. 

    Strada in salita
    Quest’anno la Cop, che è ormai forse l’unico evento a cui sono presenti delegazioni di tutti i vari attori avversi, si aprirà cinque giorni dopo le elezioni negli Stati Uniti, e in un clima più che mai incendiario. 

    A differenza dei Mondiali o delle Olimpiadi, il Paese ospitante non è solo giocatore, ma anche arbitro. A guidare il negoziato sarà Mukhtar Babayev, ministro dell’Ambiente e delle Risorse Naturali azero, nonché vice presidente per le questioni ambientali della compagnia petrolifera nazionale Socar. La composizione della Commissione di Presidenza, nella forma iniziale da lui scelta, era formata da soli uomini – tra cui il presidente di Socar e il capo del servizio di sicurezza informatica del Paese – ma è stata modificata a seguito della protesta della diplomazia mondiale.

    Babayev ha partecipato solo ad alcuni incontri durante i negoziati intermedi a Bonn, gli altri sono stati affidati al capo delegazione dell’Azerbaijan, Yalchin Rafiyev. Il delegato ha confermato le aspettative per un 2024 come anno della finanza climatica, promettendo che per la fine dei negoziati ci sarà un accordo «giusto e ambizioso» sul prossimo obiettivo globale di finanza climatica.

    In attesa della presentazione degli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni alla Cop30 in Brasile, questa Cop ha infatti l’arduo compito di dotare il mondo di un nuovo obiettivo collettivo in termini di flussi di denaro da mobilitare per l’emergenza climatica dal 2025 in poi. Lo scopo di questo negoziato, ha sottolineato il segretario esecutivo dell’Unfccc Simon Stiell, «è fare qualche passo avanti sul nuovo obiettivo globale di finanza per il clima». 

    Stiell, come prima della Cop di Sharm el-Sheikh e quella di Dubai, si è detto molto preoccupato per il rispetto dei diritti umani. Dalla fine dell’anno scorso la repressione in Azerbaijan è significativamente aumentata: due testate giornalistiche indipendenti sono state chiuse, il numero dei prigionieri politici, tra cui avvocati, giornalisti e difensori dei diritti umani, è passato da 90 a 290. Durante l’Eurovision, i Giochi Europei e il G20 ospitati negli ultimi anni a Baku gli attivisti sono riusciti ad attirare l’attenzione della stampa internazionale, e sembra che questa volta il Governo voglia metterli a tacere. «Sarà davvero un momento decisivo», ha detto Rafiyev. Ma non solo per la finanza, anche per la giustizia climatica, per i diritti umani, per la pace.

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