Fridays For Future è tornato in piazza in tutta Italia. “Lotta per un clima libero dalla repressione” è la scritta che ha aperto il corteo a Roma. Il riferimento è al pacchetto sicurezza recentemente approvato dalla maggioranza, ma anche alla nuova criminalizzazione del soccorso e al divieto per le manifestazioni pro-Palestina degli ultimi giorni.
Il disegno di legge 1660, che alterna l’introduzione di nuovi reati con aumento delle pene, ha una particolare attenzione per l’attivismo. Oltre ad alcune crudeltà come il carcere per le donne incinte e la necessità di avere un permesso di soggiorno per poter acquistare una scheda Sim, prevede misure detentive per i blocchi stradali composti da più di una persona e per le contestazioni alle grandi opere, come la Tav o il Ponte sullo Stretto.
Gli interventi durante i vari cortei di oggi hanno ricordato la contrarietà a quest’ultime del movimento, assieme al quale sono scesi in piazza Extinction Rebellion, Ultima Generazione, Non Una di Meno, l’Unione degli Universitari, la Cgil, l’Arci, i collettivi per la Palestina.
Lo striscione del corteo di Milano, a cui ha partecipato anche Greta Thunberg, recitava “Stop genocide – Stop ecocide”. Quello di Torino “Rompiamo il silenzio, siamo la natura che insorge”. L’utilizzo di quest’ultimo verbo non è casuale, ma fa parte della narrativa e della convergenza tra i movimenti per il clima e il collettivo di fabbrica Gkn, dove sono in corso le giornate di reindustrializzazione dal basso, a cui prenderanno parte anche Thunberg e tanti altri attivisti e attiviste di diverse realtà.
Gli interventi in piazza hanno ricordato la necessità di una transizione ecologica che sia giusta e inclusiva e di un rapido abbandono dei combustibili fossili.
Nell’ultimo anno Eni, unica italiana tra le 100 aziende responsabili del 71% delle emissioni climalteranti, ha avviato un nuovo giacimento di gas nel Canale di Sicilia e ha ottenuto da Israele le licenze di esplorazione per un altro in acque al largo di Gaza, che sarebbero di giurisdizione palestinese.
Lo sciopero di oggi si svolge a un mese esatto dall’inizio della Cop29 in Azerbaigian, che si terrà dall’11 al 22 di novembre. Dopo l’escalation della guerra in Ucraina nel 2022, i Paesi europei hanno deciso di diminuire la propria dipendenza dal gas russo, ma non la propria dipendenza dal gas punto.
Meloni e Draghi sono andati in gita, sempre accompagnati dall’amministratore delegato di Eni Descalzi, in Tunisia, Algeria, Angola, Mozambico e anche in Azerbaigian che – nonostante abbia anch’esso compiuto un’invasione, quella del Nagorno Karabakh – è diventato tramite Tap il nostro secondo fornitore di gas e il primo di petrolio.
In tutto ciò, per una questione di veti incrociati, durante la Cop28 di Dubai il governo azero ha ottenuto la possibilità di organizzare la Conferenza delle Nazioni Unite sul clima di quest’anno. L’Azerbaigian, dopo l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti, è quindi il terzo Paese ospite di fila che ha un’economia basata sui combustibili fossili e che non rispetta i diritti umani.
Contrariamente a quanto successo con l’Egitto, che aveva provato a ripulirsi la faccia in vista della Cop, dalla fine dell’anno scorso la repressione in Azerbaigian è significativamente aumentata: il numero dei prigionieri politici, tra cui avvocati, giornalisti e difensori dei diritti umani è passato da 90 a 290. Due testate indipendenti sono state chiuse. Per gli attivisti, a Baku, manifestare non sarà altrettanto semplice.
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