“There is no climate emergency” è il titolo, senza fraintendimenti, di un manifesto di scienziati che pare, piuttosto, una dichiarazione di guerra. Lo hanno firmato lo scorso 22 ottobre in 1499. Non passanti, ma tre premi Nobel e studiosi delle più prestigiose Università di 58 Paesi nel mondo. Dalla Nuova Zelanda al Canada, dalla Cina agli Usa, passando per Francia, Regno Unito e Giappone. La prima riga basta a intuire tutta la musica: «La climatologia dovrebbe essere meno politica, le politiche climatiche più scientifiche. (…) Il riscaldamento è causato da fattori naturali».
Il testo completo, per chi volesse approfondire, o sottoscrivere, è pubblicato sul sito Climate Intelligence. L’ambasciatore italiano della petizione, che è stata inviata ai capi di governo del pianeta, ai parlamentari europei e nazionali e all’universo mondo è un geologo, già ordinario di Rischi Geologici alla Sapienza di Roma. Si chiama Alberto Prestininzi. A sua cura esce in questi giorni in libreria “Dialoghi sul clima. Tra emergenza e conoscenza”, con i contributi sul dibattito di climatologi, economisti, geologi, fisici, geografi, ingegneri.
Professore, l’emergenza climatica c’è?
«No».
Un po’ poco professore, come risposta.
«Poco come domanda, forse. Io sono uno che ambisce alla conoscenza, attraverso il metodo scientifico. Come diceva il compianto professore Alfonso Sutera, cui abbiamo dedicato il libro: “è il metodo che conta”. Il metodo scientifico galileiano ha delle regole da rispettare. Una verità scientifica non si ottiene perché la ripete una maggioranza di scienziati, né perché lo sostiene un autorevole studioso. Si ha verità scientifica quando lo dicono i fatti, dimostrati con un metodo, che è quello sperimentale galileiano».
Chi parla di global warming, di pericolo imminente per il pianeta non ha ragione?
«Se la avessero, lo dovrebbero dimostrare, appunto, con metodo. Il tema del clima è stato sottratto al confronto scientifico ed è stato riportato nei talk show televisivi. È la suggestione dei modelli…».
Cioè?«Non si può continuare a fornire come prova dell’emergenza climatica il fatto che ci sia un innalzamento delle temperature medie di un grado centigrado, o poco più, rispetto a 200 anni fa. Intanto non c’è stata una crescita continua delle temperature. Nessuno ricorda che ci sono stati momenti in cui, penso agli anni ’70, la temperatura è addirittura diminuita? O che, dal 2000 al 2015, la temperatura è rimasta pressoché costante? Parliamo, invece, solo delle medie di temperatura, anche se fare le medie è molto difficile…».
Quando si è cominciato a rilevare le temperature scientificamente?
«Solo dal 1800, grossomodo. Le temperature antecedenti sono rilevate da analisi induttive, che non sono misure dirette. Le faccio un esempio: c’è una importante pubblicazione del Cnr che riporta i dati di una campagna oceanografica, che dimostrano che, nel periodo di Roma antica, la temperatura dell’acqua del Mediterraneo era di 2 gradi superiore a quella attuale. Altro che tropicalizzazione oggi!».
Come lo ha rilevato?
«Perché nel mare vivono, i foraminiferi, dei protozoi rizopodi che hanno un guscio nel quale ci sono gli elementi calcio e magnesio. Attraverso l’analisi chimico-fisica e del rapporto tra calcio e magnesio in questi gusci, che vengono abbandonati sui fondali, si è risaliti alla temperatura dell’acqua di duemila anni fa. Questo è un dato scientifico importante. Ma nel periodo romano le temperature erano più alte di adesso».
Prove?
«Pensi solamente alle Alpi! In quel periodo i ghiacciai si erano ampiamente ritirati. Annibale passò con gli elefanti al Moncenisio. Poi abbiamo tutte le opere realizzate dagli antichi romani, laddove oggi non si può passare per i ghiacciai. Poi lo dicono i carotaggi».
Cosa e quali sono?
«Sono prelievi di “carote” di ghiaccio, laddove è certo che il ghiaccio si sia formato da tempi geologici, come in Antartide o in Groenlandia. Studi, come il progetto Epica, hanno analizzato l’aria che resta sigillata all’interno dei ghiacci. Così ne hanno determinato la composizione: temperatura, CO2, etc. Ebbene, la CO2 varia in maniera ciclica. Un milione di anni fa il valore medio della CO2 era intorno a 300 parti per milione. Oggi questa parte è arrivata a circa 400-430. È aumentata, non c’è dubbio. È evidente che questa differenza di circa 130 parti per milione è il contributo dovuto all’attività antropica».
Allora c’è un cambiamento provocato dall’uomo!
«Sì, ma bisogna vedere cosa fanno queste 130 parti per milione. Producono cambiamenti nelle temperature? I modelli degli allarmisti portano a dire che le temperature sono aumentate e che se continuiamo a emettere CO2 succede un disastro. Ma sono meri assunti: non sono dimostrati perché i modelli degli allarmisti non riescono a simulare il clima del passato. Dunque non sono attendibili. Non lo dico io, ma scienziati del calibro di Richard Lindzen».
Chi è?
«Un grande fisico e meterologo, professore del Massachusetts Institute of Technology, che ha pubblicato oltre 200 saggi ed è tra i principali contributori del Terzo rapporto di valutazione dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite. Lindzen ha sbattuto la porta lasciando l’Ipcc, ha denunciato lo “allarmismo climatico” e ha constatato che i dati che venivano pubblicati erano truccati nei report finali».
Truccati?
«Sì, truccati per orientarli verso questo mainstream, questa idea di un disastro! L’obiettivo è diffondere paura nella gente, attraverso le minacce e l’allarme sull’emergenza».
Perché mai?
«Per ottenere altri risultati che nulla hanno a che vedere con la conoscenza».
Si spieghi meglio, professore.
«Nei “Dialoghi sul clima”, il professore Mario Giaccio, economista, spiega chiaramente quali sono le ragioni di questa tendenza. Oggi la borsa del carbonio è la più ricca e sostanziosa del mondo, per gli speculatori. Le ragioni economiche sono evidenti. Cosa vuole che le spieghi? Mi faccia tornare al profilo scientifico: tutti i modelli costruiti nel tentativo di dimostrare che questa CO2 produrrà in futuro disastri, non funzionano. Noi abbiamo i dati che attestano che il clima è sempre cambiato, anche in passato. Se qualcuno sostiene che oggi l’uomo è in condizioni di modificare il clima lo deve dimostrare. Punto».
Invece…?
«Invece, gli allarmisti si rifiutano di fare confronti, si rifiutano di andare in un’aula universitaria e di dimostrare alla lavagna che quello che affermano funziona scientificamente. Questo la dice lunga. I modelli che mandano in giro sono poco o nulla significativi. Basterebbe riflettere su un dato: secondo gli allarmisti noi dovremmo mantenere la temperatura del pianeta più bassa di 1,5-2 gradi. Ecco, quando una persona parla in questi termini, non ha contezza di che cosa sia il clima di un pianeta come la Terra. Come se il clima e la temperatura non fossero inseriti in un sistema planetario e astrofisico. Mi sembra di vedere un ritorno al passato, quando i terremoti venivano visti come un castigo divino. Non è scienza, è paganesimo. Nelle Università, però, non si può più parlare di questo. Io ho provato a farlo in alcuni seminari, ma hanno tentato di impedirmelo».
Non solo l’Università. Anche la politica è distratta?
«Non si vuole il dibattito. Ormai la questione del clima è diventata una questione internazionale immodificabile, con interessi infiniti. Le faccio un semplice esempio: in Europa si prevede di spendere entro il 2050 circa 3 trilioni (tremila miliardi, ndr) di euro. Invece scommetto che lei non ha mai visto somme neppure lontanamente simili per un piano sismico per la messa in sicurezza dei fabbricati. Eppure da noi ci sono terremoti che arrivano, anche violentissimi, tra i più forti in Europa, capaci di radere al suolo intere città. Noi non riusciamo a fare un piano per la sicurezza sismica, nonostante negli ultimi 100 anni abbiamo avuto 110mila morti, per non parlare dei feriti e dei disastri sociali. Invece dobbiamo fare un piano nazionale per coibentare i fabbricati… Oramai è tutto sotto controllo del conformismo climatico, non so da chi gestito».
Non le pare troppo parlare di una Spectre che controlla tutto?
«Di fatto c’è una organizzazione centrale che impedisce il dialogo. Impedisce il confronto. Questo pesa sulle possibilità di conoscenza della gente normale. Al bar oggi chiunque parla di clima, ma dovremmo pensare che, al mondo, non più di un paio di migliaia di studiosi ne potrebbero discettare con competenza, perché è un tema realmente complesso. Noi l’abbiamo reso una questione da bar dello sport. Come mai nessuno parla dell’inquinamento, invece?»
Come mai?
«Un’isola di plastica galleggiante, grande quanto la penisola iberica si aggira nell’oceano pacifico senza che nessuno la inquadri come emergenza. La propaganda mediatica altera la percezione delle persone e ribalta le priorità. È un dato di fatto che l’uomo tenda a credere a quello che gli viene raccontato, perché l’analisi critica dei fatti richiede studio e tempo e fatica».
Sì, ma non è verosimile che si sbaglino tutti, Onu compresa, e solo voi abbiate ragione! I ghiacciai si stanno sciogliendo o no?
«Nessuno nega che negli ultimi 150 anni ci sia stato un riscaldamento globale. Tuttavia, è in gran parte naturale, in quanto dovuto a cicli millenari ben noti nei dati. Il livello del mare è salito di circa 1-2 millimetri all’anno negli ultimi 100 anni. Nel prossimo secolo potrà salire di altri 30 centimetri. Questo non è allarmante. Poi ci sarà, come sempre accade, un fenomeno inverso. Sono cicli».
Quindi, ripeto, si sbagliano tutti…
«Se non si sbagliano, dicano perché. Il dato di un innalzamento delle temperature, da solo, è un dato neutro. Così come quello dell’aumento della CO2 in atmosfera. Sono fatti, in sé, insignificanti. C’è bisogno di studiare i dati in un modo critico. Chi crede nell’allarmismo climatico antropico lo deve solo dimostrare. Cosa che non viene fatta».
L’aumento della CO2 provoca l’effetto serra, però?
«Ma l’effetto serra è quello che ci consente di vivere. Se non ci fosse, la temperatura sulla Terra sarebbe in media di -18°C. La media: cioè ci sarebbero picchi di -50°C. E c’è stato un periodo in cui la Terra era una palla di ghiaccio. Ma di certo l’uomo non c’era».
Perché nel vostro libro dite che i Protocolli di Kyoto e di Parigi sono tanto articolati quanto inutili?
«Perché sono il risultato di tutta questa narrazione che arriva alla conclusione che noi possiamo tornare indietro, frenare il cambiamento climatico perché è attributo al comportamento umano. Come le ho detto si tratta di un aumento di CO2 in atmosfera di 130 parti per milione, che si è aggiunto a quello precedente di 300 parti. Cioè se hai un milione di metri cubi di atmosfera, 400/430 sono di anidride carbonica. L’aumento registrato è lo 0,00013 per cento. Cioè nulla. I Protocolli dicono che dobbiamo cambiare comportamenti per tornare indietro. Le emissioni deriverebbero dall’industria che nella produzione utilizza l’energia fossile. Quel petrolio che ci ha consentito di fare un enorme progresso, farci passare da 100 milioni a 8 miliardi di abitanti e ci dà il benessere. Oggi la Terra è più verde, la vita media è aumentata, così come migliori sono le attuali condizioni di salute. Quelle a cui nessuno rinuncerebbe. I protocolli impongono regole che non servono e non risolvono».
Che fare, allora?
«Dobbiamo pensare a una transizione energetica concreta. I combustibili fossili finiranno prima o poi. Noi, se vogliamo che l’umanità continui ad avere questo livello di vita (o migliore, e lo si può fare!), dobbiamo pensare di disporre di energia a basso costo e pulita. Per fare questo l’unico sistema è finanziare la ricerca. Invece i Protocolli di Kyoto e Parigi sostengono che sia sufficiente eliminare le industrie che producono queste famose 130 parti di CO2, aggiuntive rispetto a 200 anni fa. Quindi disegnano un crono-programma, per cui entro il 2030 bisogna ridurre le emissioni eccetera eccetera. Le industrie che non si adeguano, subiscono pregiudizi. Che effetti ha avuto questa normazione? Due: il primo è la delocalizzazione, per cui le fabbriche si trasferiscono a produrre con gli stessi sistemi laddove i Protocolli non sono applicati. Il secondo è pompare ossigeno nell’economia cinese. La Cina continua ad aprire centrali a carbone, alla faccia nostra. Ancora oggi il 30 per cento del fabbisogno energetico viene dal carbone. Il 28 per cento dal nucleare, un’altra parte importante dal gas, amenità dalle rinnovabili. Ma lorsignori hanno deciso di allineare il prezzo del chilowattora a quello del gas, non del carbone che non costa praticamente nulla. In questo modo aumentano la tassazione per cercare le risorse per risolvere il problema dei livelli di CO2. Che è un non-problema. Un sistema folle che non serve a nessuno, aumenta i costi, rende impossibile la vita e non risolve le questioni. Inutile quanto articolato, appunto».
Dunque?
«Dunque se noi dimostrassimo che il tema non è il riscaldamento globale, ma cercare una nuova energia pulita, potremmo concentrarci su quel che ci serve. Senza questo inganno del “Global Warming” noi risparmieremmo tutto quel surplus di denaro con cui paghiamo il chilowattora, rispetto al suo vero costo di produzione. Avremmo risorse per fare la ricerca che ci serve e magari disinquinare il pianeta, mettere in sicurezza le aree ad alta vulnerabilità sismica. Ma questo va contro i padroni del vapore. Mi pare chiaro. No?».
Lei è un negazionista, insomma.
«Io ho il dovere costituzionale, come professore di Università, di dire quello che penso. Si chiama parresia. Sono disposto a discutere con chiunque e se mi si dimostra che le mie perplessità sono infondate, io cambio idea. Mica devo difendere nessuno. Però, classificare gli scienziati come negazionisti o non negazionisti è la dimostrazione che il confronto è transitato dall’ambiente scientifico, che ha altri parametri di giudizio, all’ambiente “religioso”».
Perché religioso?
«Perché lì ci sono i credenti e i non credenti. Veda, io penso che i tanti che si preoccupano, lo facciano in perfetta buona fede. Non avendo, però, lo strumento scientifico per decidere, seguono il mainstream, ingenuamente».
C’è chi dice che voi siete terrapiattisti e antivaccinisti, come approccio alla vita.
«Balle. Io credo che la terra sia tonda e mi sono vaccinato perché me lo ha detto il mio medico, che è competente in medicina. Ecco a cosa credo: alla scienza e alla competenza».