Prima, solo pochi anni fa, l’asfalto colorato di nuova generazione, era una sfida tecnologica e stravagante: una bizzarrìa costosa, non funzionale e anche un po’ chic. Un capriccio. Poi, con il progresso delle tecniche di lavorazione, e l’abbattimento dei costi produttivi, questo nuovo tipo di manto è diventato uno dei nuovi materiali prediletti per l’armonia del paesaggio. “L’asfalto a colori” oggi è una alternativa possibile ai bitumi classici, in particolare nelle aree verdi.
Costa (ancora) più di quello normale, ma è la moda del momento. Ormai si trova ovunque, in composti sempre più stravaganti, e realizzato dai produttori più diversi: verde, rosso, blu, persino arancione. Impiegato nella viabilità ma anche come elemento di arredo di aree pubbliche e giardini. Oggi, tuttavia, la nuova frontiera non sono più le varianti cromatiche, le più appariscenti.
Ma quelle “tecnologiche”, l’ultima idea evolutiva: asfalti integrati con scaglie di gomma granulari (ottenuti dal riciclo di pneumatici esausti) per guadagnare aderenza. Oppure con bucce di arancia, limone o altre fibre derivanti da scarti alimentari (per aumentarne tenuta ed elasticità). O ancora – addirittura – miscele bituminose che riciclano scarti tessili, fibre o componenti pulviscolari, con un doppio obiettivo: smaltire in modo utile un rifiuto industriale, e regolare la capacità “legante” di un manto. Si crede che l’asfalto sia una tecnologia recente, ma in realtà i primi a usarlo furono gli antichi romani (che scoprirono le proprietà dei bitumi naturali emersi, in Siria) e oggi sta solo vivendo una seconda, millenaria, giovinezza. Ma soprattutto: oggi gli asfalti sono un grandissimo affare. Prova ne è il successo di “Asphaltica”, la più importante fiera italiana sui bitumi, che si svolge ogni anno a Verona, con numeri impressionanti: è arrivata a 5mila metri quadri di esposizione, 40mila visitatori, 80 espositori, 207 giornalisti accreditati. Da evento di settore a piccola kermesse dove girano vorticosamente soldi, tecnologie e idee. Il motivo è semplice: il Recovery plan ha dato un enorme impulso al settore. Spiega Stefano Ravaioli, organizzatore della fiera: «dei 24 miliardi del Pnrr, 4 finiranno in asfalto». Ravaioli racconta: «Le strade moderne, come le conosciamo oggi, nacquero per effetto delle prime avventurose corse: una volta dimostrato che i cavalli del motore erano più veloci e affidabili di quelli delle carrozze, gli Stati capirono che bisognava sobbarcarsi gli enormi costi di queste infrastrutture. La prima grande gara Pechino-Parigi, nel 1907 – aggiunge Ravaioli – ebbe un’importanza enorme: fu vinta da un italiano, il Principe Scipione Borghese, erede della famiglia Borghese, ex deputato radicale (del Regno) che vinse viaggiando in auto tra Pechino e Parigi. L’auto – una Itala 35/45 – aveva ruote di gomma dura, grandi come un carro, e – conclude Ravaioli – riuscì a superare ogni ostacolo, anche trainata e sospinta dai portatori».
L’impulso del Pnrr
Oggi la parte degli obiettivi del Pnrr più facilmente realizzabile è proprio quella sulle infrastrutture di collegamento. Il che direttamente e indirettamente, aumenta i cantieri stradali. Ecco perché la domanda di innovazione cresce, e con essa gli stanziamenti per la ricerca. L’ultima frontiera su cui si lavora? Il riciclo dei “rifiuti” e dei materiali di scarto recuperati dalle strade dismesse: tonnellate e tonnellate di bitumi esausti. A fine vita – infatti – il vecchio asfalto diventa “fresato”. Ovvero una poltiglia frantumata meccanicamente che si accumula a montagne nei siti di stoccaggio individuati dagli operatori del settore. In quella forma, come “rifiuto speciale” deve sottostare a normative molto severe.
Non può essere immagazzinato senza rispettare proporzioni stabilite per legge in rapporto alle nuove superfici, non può essere smaltito nell’ambiente (per fortuna), né essere impiegato (senza controllo) come materiale inerte di riempimento. Ecco perché l’ultima sfida di sostenibilità diventerà anche l’affare del secolo.
Una nuova materia prima
Rimpastare bitumi fresati, in percentuale crescente, grazie agli additivi di nuova generazione, significa ottenere, in un colpo solo, due risultati utili: ridurre il consumo di una materia prima limitata (il bitume è un prodotto secondario nel ciclo del cracking degli idrocarburi). E trasformare montagne di rifiuti non smaltibili in una materia prima rigenerata. «Tecnicamente – spiega Homar Nava, amministratore unico di una delle aziende di settore più attiva nella ricerca, la Fhl di Bergamo – la possibilità di usare additivi per dare nuova vita ai fresati c’è già. Il tema è capire come rendere questo processo sempre più conveniente dal punto di vista dei costi di produzione. Anche se è ovvio che a quel che spendo in più per produrre il nuovo asfalto con grandi percentuali di fresati devo aggiungere anche tutto quello che risparmio riciclando il vecchio. Noi questi additivi li commercializziamo, e funzionano.
Quindi la domanda non è più se questo processo sarà conveniente per tutti, ma quando lo sarà». Ma cosa lo rallenta? Sorriso, sospiro: «Il tempo che le stazioni appaltanti si abituino all’idea. Poi una piccola giungla di paradossi normativi, qualche piccolo risparmio di scala, e i salti evolutivi della ricerca, che noi conduciamo da anni in collaborazione con l’università. Pensa che oggi, l’aumento enorme dei costi energetici rende più competitivi gli additivi!».Alle 16,15 del 10 agosto 1907 l’Itala di Scipione Borghese fece il suo ingresso a Parigi, dopo 16mila chilometri. Quando chiesero al Principe come aveva fatto, senza strade, lui sorrise: «Questo non è più un problema. Dopo questa vittoria le strade verranno». Aveva ragione. E forse oggi vale anche per i bitumi di nuova generazione. A proposito: la gloriosa Itala 35/45 esiste ancora. Si trova al museo dell’auto di Torino e, quest’anno, era esposta ad Asphaltica. Oscar alla carriera.
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