All’Italia restano poco più di otto mesi per recepire la Direttiva europea SUP, sigla di “Single Use Plastic”, ovvero plastica monouso. Approvata nella sua stesura definitiva il 21 maggio 2019 dall’Unione Europea, essa va infatti recepita entro due anni dai Paesi membri, che devono a tal fine adeguare le singole legislazioni nazionali entro luglio 2021. Già dalla prossima estate, quindi, è atteso un netto giro di vite in merito al delicato tema dei rifiuti che impattano sull’ambiente e, come avevamo già spiegato su TPI, la dispersione dei mozziconi di sigaretta rappresenta un’insidia particolarmente rilevante sia nei centri urbani che in zone naturali quali le spiagge.
Il testo approvato in Europa lo dice in maniera inequivocabile: “I filtri di prodotti del tabacco contenenti plastica sono il secondo articolo di plastica monouso più frequentemente rinvenuto sulle spiagge dell’Unione. È necessario ridurre l’enorme impatto ambientale causato dai rifiuti postconsumo dei prodotti del tabacco con filtri contenenti plastica che sono gettati direttamente nell’ambiente. Dall’innovazione e dallo sviluppo dei prodotti ci si aspettano valide alternative ai filtri contenenti plastica e devono essere accelerati. I regimi di responsabilità estesa del produttore per i prodotti del tabacco con filtri contenenti plastica dovrebbero incoraggiare innovazioni che portino allo sviluppo di alternative sostenibili ai prodotti del tabacco con filtri contenenti plastica. Gli Stati membri dovrebbero promuovere un’ampia gamma di misure tese a ridurre la dispersione nell’ambiente dei rifiuti post-consumo dei prodotti del tabacco con filtri contenenti plastica”.
I filtri in acetato di cellulosa rappresentano la quasi totalità di quelli utilizzati per le sigarette: gli esperimenti fin qui tentati per sostituirli con materiali biodegradabili sono falliti sia per ragioni tecniche, sia per l’avversità dei fumatori, che avvertivano sensibili cambiamenti nel gusto delle sigarette. Siamo quindi di fronte a un bivio: se non ci attiviamo subito, entro i prossimi dieci anni finiremo per veder galleggiare nei nostri mari più “cicche” e rifiuti plastici che pesci. I numeri fotografano la questione in maniera impietosa: ogni anno, nelle acque marine che bagnano l’Italia vengono riversati 4 miliardi di piatti, 7 miliardi di bottigliette, oltre 5 miliardi di bicchieri, 2 miliardi di cannucce e 2,5 miliardi di posate in plastica.
A questa montagna di spazzatura dobbiamo aggiungere quei 10 miliardi di mozziconi di sigaretta che ogni giorno vengono dispersi nell’ambiente. Va detto che la plastica impiega centinaia di anni per degradarsi, mentre un filtro usato ne richiede al massimo 15: un periodo comunque lungo, ma non paragonabile. L’inquinamento marino è in massima parte composto da polimeri sintetici, tra cui polietilene, polipropilene, vernici sintetiche e poliammidi. L’acetato di cellulosa rappresenta meno dell’1% dei polimeri sintetici ritrovati nel Mediterraneo e oltretutto non è attualmente incluso nella definizione di “microplastiche”, ovvero le particelle di materiale plastico generalmente più piccole di un millimetro. Non esistono infatti evidenze scientifiche sul fatto che i mozziconi si degradino in microplastiche, ma è importante adottare un approccio precauzionale, anche perché le sostanze tossiche che derivano dalla combustione del tabacco e rimangono nel filtro usato si disperdono nell’ambiente, venendo potenzialmente ingerite dai pesci e quindi poi anche dall’uomo.
Risolvere questo problema non è facile, così come non è facile convincere un fumatore ad abbandonare le sigarette. Il fallimento di molte delle campagne di comunicazione lanciate su quest’ultimo tema si spiega anche con l’approccio eccessivamente accusatorio: il fumo è un vizio che non dipende dalla mancanza di consapevolezza sui danni che provoca, pertanto è inutile focalizzarsi unicamente su questo argomento. Anzi, al contrario si rischia di ottenere l’effetto paradossale di una chiusura difensiva da parte del fumatore, che diventa sordo a qualunque stimolo razionale.
Sulla scorta di questa esperienza, largamente condivisa dagli esperti di comunicazione e della lotta alle dipendenze, #cambiagesto ha deciso di utilizzare quello che in gergo si definisce un tone of voice gentile, puntando su un approccio positivo e un empowerment felicemente sintetizzato dallo slogan “Una parte di te sa già come fare”. Il visual si basa su un’ombra “magica”, che realizza il comportamento corretto, mentre il suo proprietario continua a sbagliare: lo scopo è proprio quello di incitare il cambiamento, invece di biasimare l’atteggiamento sbagliato.
A confermare la bontà di tale scelta sono, empiricamente, i risultati che si stanno ottenendo con la minor quantità di mozziconi gettati nell’ambiente e, sul piano scientifico, la ricerca “A better place – Behavioral Transformations” realizzata dall’Università di Parma. Tale indagine, basata sul metodo “Behavioral Economics” ha messo in luce come il fenomeno del littering sia legato a una serie di rinforzi sociali diretti o indiretti: la quasi totale mancanza di disapprovazione sociale, l’imitazione, lo scarso interesse per la cosa pubblica e una sorta di coazione a ripetere dettata da un’abitudine difficile da eradicare (soprattutto per quanto riguarda i mozziconi gettati dal finestrino delle auto).
Da qui si evince come un approccio eccessivamente razionale, ad esempio basato sulle conseguenze negative dei comportamenti sbagliati, rischi di ottenere un ennesimo fallimento. La ricerca si concludeva con l’esortazione a usare invece il “nudge”, ovvero una sorta di guida verso l’obiettivo che non metta in difficoltà il target del messaggio, ma che anzi lo aiuti a fare la cosa giusta. Calandoci in un esempio pratico, è fondamentale che città, parchi e spiagge abbiano appositi cestini per le “cicche”, ma bisogna prestare attenzione anche ad altri elementi per nulla secondari, come i cartelli, che devono essere chiari e non generare dubbi. Perché nel dubbio, la mente umana tende a scegliere la soluzione più comoda. Che raramente è anche la più ecologica.
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