Siamo abbastanza preoccupati per il clima? Mentre scriviamo, la temperatura esterna supera di gran lunga i 20 gradi, siamo a Roma ed è il 31 ottobre. Nella giornata di Halloween questo caldo anomalo è l’unica cosa che dovrebbe spaventarci davvero. Perché per quanto ci possa sembrare piacevole mangiare all’aperto in maniche corte sotto il sole, o persino fare un bagno al mare i primi di novembre, le temperature estive registrate in Italia nel ponte dei morti sono un altro chiaro segnale del futuro climatico che ci aspetta.
La colonnina di mercurio segnala che siamo oltre gli 8-10 gradi al di sopra della media del periodo. Il fiume Po è di nuovo in secca, l’acqua si trova a -2,3 metri rispetto allo zero idrometrico, con la siccità che è tornata ai livelli della scorsa estate. Non ha mai fatto così caldo a ottobre in Europa come quest’anno.
E non si tratta di una piacevole anomalia: ma piuttosto del preoccupante e costante aumento della temperatura della Terra attribuito con alto grado di confidenza ai cambiamenti climatici indotti dall’uomo. E se quando leggerete questo articolo le temperature saranno tornate a una media stagionale più ragionevole, non fatevi ingannare. Il problema dell’emergenza climatica resta, e la situazione è più grave di quanto si possa percepire.
L’ultimo allarme lo lancia l’Onu. Il nuovo rapporto delle Nazioni Unite sul futuro climatico ci dice che è già troppo tardi per contenere il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi, il limite considerato sostenibile dalla scienza rispetto all’era preindustriale.
A oggi, infatti, la temperatura a livello globale è già aumentata di 1,2 gradi centigradi, e gli scienziati ritengono che il riscaldamento di questo secolo sarà molto probabilmente compreso tra i due e i tre gradi. Di preciso parliamo di un incremento di 2,8 gradi centigradi. Ben al di sopra dell’obiettivo fissato nel 2015 con l’Accordo di Parigi, che impone di limitare il più possibile il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi e nettamente al di sotto di 2 gradi rispetto al livello preindustriale del 1750.
In termini pratici, superare la soglia del grado e mezzo significherebbe incrementare in modo irreversibile il rischio di cambiamenti climatici. Per essere ancora più chiari questo equivale a sempre più frequenti ondate di calore che porteranno a siccità, inondazioni, ghiacciai che si fondono, incendi, aumento della fame e morti precoci.
L’Emissions Gap Report 2022, pubblicato dal Programma ambiente delle Nazioni Unite (Unep), boccia quindi le azioni messe in campo dagli Stati per contrastare il cambiamento climatico giudicate “gravemente inadeguate”. Nonostante gli impegni espressi da tutti i Paesi solo un anno fa alla Cop26, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite a Glasgow, in Scozia.
“I piani nazionali proposti dalla Cop26 ad oggi riducono solo 0,5 gigatonnellate di gas serra. È meno dell’1 per cento delle riduzioni che sarebbero necessarie entro il 2030”, si legge nella sintesi del documento. “Questa carenza di progresso spinge il Pianeta verso un incremento delle temperature molto più alto rispetto alle previsioni degli accordi di Parigi”, ovvero 1,5 gradi entro il 2100, afferma l’Unep nel rapporto. “Le politiche in campo a oggi, senza ulteriori rafforzamenti, indicano un’impennata di 2,8 gradi”, uno scenario molto pericoloso.
“L’Emissions Gap Report 2022 ci dice in termini scientifici ciò che la natura ci ha detto tutto l’anno attraverso inondazioni mortali, tempeste e incendi violenti: dobbiamo smettere di riempire la nostra atmosfera di gas serra e smettere velocemente”, ha spiegato la direttrice dell’Unep, Inger Andersen. Dalle analisi risulta che, mantenendo le politiche di contrasto al climate change attuali, l’aumento arriverà a 2,8 gradi centigradi per la fine del secolo, e anche se ci fosse stata la piena implementazione dei piani promessi un anno fa alla Cop26 di Glasgow le temperature saranno comunque intorno a 2,4/2,6 gradi di aumento. In ogni caso al di sopra della soglia di sicurezza.
Il rapporto è stato pubblicato come ogni anno a ridosso della nuova Cop che quest’anno è in programma a Sharm el-Sheikh, in Egitto, da domenica 6 fino a venerdì 18 novembre.
Finora gli Stati non solo non hanno messo in campo politiche sufficientemente efficaci per contrastare il climate change, ma alcuni di questi non hanno neppure mantenuto le principali promesse prese un anno fa alla Cop26. A dirlo è un altro report che mette al palo la comunità internazionale rispetto ai patti sull’ambiente. Dall’analisi di Unfccc, l’organismo Onu che si occupa della convenzione quadro sui cambiamenti climatici, emerge che solo 26 Paesi su 193 si sono impegnati a rinnovare nel giro di un anno gli sforzi per combattere il cambiamento climatico come promesso nel corso del vertice di Glasgow del 2021. Tra gli “inadempienti”, per citarne alcuni, ci sono i Paesi dell’Unione Europea, quindi anche l’Italia, e gli Stati Uniti. Tra i maggiori emettitori di CO2. Quelli che più di tutti avrebbero dovuto tenere fede alla promessa.
Al vertice globale sul clima dello scorso anno, i Paesi si sono infatti impegnati a raddoppiare i loro sforzi per ridurre le emissioni derivanti dalla combustione di petrolio, gas e carbone che stanno pericolosamente riscaldando il Pianeta. Gli Stati hanno anche deciso di aumentare i finanziamenti tecnologici per aiutare le economie in via di sviluppo a passare dai combustibili fossili all’eolico, al solare e ad altre fonti di energia rinnovabile.
Il rapporto delle Nazioni Unite ha analizzato gli impegni presi dai Paesi per ridurre le proprie emissioni, noti come “nationally determined contribution” o ndc. I paesi che hanno firmato l’accordo di Parigi del 2015 hanno promesso di aggiornare e rafforzare i propri ndc ogni cinque anni. Ma con l’intensificarsi dell’emergenza climatica, lo scorso anno alla Cop26 i Paesi hanno firmato un patto con il quale si sono impegnati ad aggiornare l’ndc più rapidamente. Le nazioni hanno quindi deciso di non aspettare più altri cinque anni e si erano invece promesse di prendere nuovi impegni prima dei nuovi colloqui sul clima di quest’anno in Egitto. Il risultato è che solo in 26 l’hanno fatto. Oltretutto aggiornare l’ndc è il minimo che uno Stato possa fare, perché poi bisogna mantenere le promesse e soprattutto applicarle.
Questo ritardo, con una nuova Cop alla porte, è la dimostrazione di quanto ancora si stia prendendo troppo poco sul serio la questione climatica. Senza drastiche riduzioni delle emissioni di gas serra, afferma il report di Unfccc, siamo nella direzione di riscaldare il Pianeta in una forchetta che sta tra 2,1 e 2,9 gradi centigradi. Sopra l’obiettivo del grado e mezzo fissato dallo storico accordo di Parigi e sopra la soglia massima dei 2 gradi centigradi che renderebbe la Terra inabitabile.
La pandemia prima e la guerra in Ucraina dopo, la crisi energetica internazionale e l’inflazione hanno “distratto” i leader e reso più complicati gli sforzi di cooperazione per affrontare il cambiamento climatico. Ci si augura che le due settimane di vertice sul clima a Sharm rimettano al centro la questione ambientale, anche detta “la battaglia del secolo” e quella che la giornalista Margaret Sullivan definisce “l’unica storia che conta”.
In primo piano sul tavolo della Cop27 ci sarà la proposta dei Paesi più vulnerabili, che affrontano i peggiori impatti della crisi climatica e che sono meno in grado di farvi fronte, su come i Paesi ricchi dovrebbero compensare le “perdite e i danni” causati dal climate change. I termini “perdite e danni” fanno riferimento agli impatti disastrosi che hanno avuto e stanno avendo nel mondo i cambiamenti climatici in atto, provocati principalmente dai Paesi ricchi e più inquinanti, come le pesanti inondazioni che hanno colpito il Pakistan nei mesi scorsi. L’Europa e gli Stati Uniti stanno già facendo opposizione sul punto, in parte perché temono di essere ritenuti legalmente responsabili per i costi vertiginosi dei disastri ambientali.
La sfida contro l’emergenza climatica è enorme e non basterà di certo un summit climatico a risolverla ma la presa di coscienza da parte di tutti gli Stati che il nostro mondo è vicino a un collasso climatico irreversibile è già un passo in avanti. Siamo sempre più vicini al punto di non ritorno. Ce lo siamo sentiti dire tante volte. Per la direttrice esecutiva dell’Unep, Inger Andersen “Abbiamo avuto la nostra possibilità di fare cambiamenti progressivi, ma quel tempo è finito. Solo una trasformazione radicale delle nostre economie e delle nostre società può salvarci dall’accelerazione del disastro climatico”. Ad oggi questa è l’unica soluzione possibile.
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