Vuole la riconversione della città di Taranto, Angelo Di Ponzio, e lotterà finché i cancelli dello stabilimento siderurgico dell’ex Ilva non chiuderanno.
Angelo è il papà di Giorgio, che il 25 gennaio scorso è morto a causa di un sarcoma ai tessuti molli. Non aveva ancora 16 anni. La voce di Angelo è ferma, non cede mai, nemmeno quando parla del figlio. È la rabbia che, come un motore sempre acceso da quel maledetto 25 gennaio, lo spinge ad andare avanti in una battaglia che vede unite diverse associazioni in città.
Lo scorso 8 novembre quelle associazioni hanno avuto modo di incontrare il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che, a sorpresa, è arrivato davanti allo stabilimento dell’ex Ilva per ascoltare operai e associazioni.
Ha incontrato le due anime della città, il premier, arrendendosi alla cruda realtà: “Non ho soluzioni”. La questione qui, a Taranto, è delicata e complessa. Da una parte il lavoro, dall’altra la salute. La città sotto scacco si spacca in due.
A proporre una soluzione che tenga conto dei lavoratori e che, soprattutto, guardi prima alla vita dei cittadini di Taranto sono proprio le associazioni che Conte ha incontrato nella tarda serata dell’8 novembre.
“Avevamo già chiesto al presidente di incontrarci per parlare del Piano Taranto a Roma, poi il capo di gabinetto ci ha chiamati per dirci che Conte aveva intenzione di incontrarci qui, a Taranto”, afferma Angelo a TPI.
“Ci siamo seduti a parlare, gli abbiamo dato un faldone e gli abbiamo spiegato come impiegare finanziamenti europei e di Stato”, continua Angelo, spiegando che questo piano era già stato presentato tre anni fa al Mise, “ma Di Maio se ne è fregato”.
Dopo la morte del figlio, Angelo, insieme alla moglie Carla, ha fondato l’associazione Giorgio Forever, con cui si impegna quotidianamente e attivamente per fare giustizia. Non solo per Giorgio, strappato alla vita con una ferocia straziante, ma anche per tutti gli altri – tarantini e non – vittime dell’inquinamento.
Il pianto proposto a Conte da Angelo e dalle altre associazioni prevede innanzitutto la riconversione economica dello stabilimento siderurgico. “Il documento che gli abbiamo dato è un cronoprogramma che si può realizzare a Taranto chiudendo la fabbrica, iniziando a bonificare a riconvertire quei territori. Con l’impiego del personale che lì lavora”.
Angelo Di Ponzio lo sottolinea in più occasioni: la guerra non è ai lavoratori dell’ex Ilva, ma all’inquinamento che quel mostro produce e che, negli anni, ha mietuto troppe vittime. “Nessuno vuole la chiusura fregandosene dei lavoratori. No. Ma quello che non vogliamo è ambientalizzare o statalizzare quella fabbrica. Quella fabbrica va chiusa. E su quelle macerie si può andare a produrre il lavoro e il futuro”, spiega bene Angelo.
A Conte hanno chiesto proprio questo, le associazione: chiudere i cancelli dell’ex Ilva e avviare una bonifica dell’area, riconvertendo quei suoli, “che sono il doppio della città”.
“Per noi Taranto è la più bella città del mondo e crediamo fermamente che possa vivere senza quella fabbrica. Pensiamo a rilanciare il turismo, a valorizzare le ricchezze e le bellezze che abbiamo. Riprendiamo i lavori agricoli, cerchiamo di usare nuovi impianti green per quelle aziende che vogliono mettersi al passo con i tempi. Cosa che non può fare l’Ilva”.
Da quando le lacrime hanno lasciato spazio alla rabbia, Angelo si è dato da fare per cambiare pelle alla città. E lo sa bene che solo insieme Taranto può salvarsi. “Ho un caratteraccio”, dice, ma il sorriso sotto la barba folta e lunga parla da sé: Giorgio rimane il motore della battaglia, in nome suo, in nome di quel sorriso bisogna lottare per tutti.