Fino a poco tempo fa, il World Resources Institute, organizzazione no profit di ricerca mondiale fondata allo scopo di migliorare l’accesso alle risorse garantendo la prosperità della natura, aveva sviluppato una mappa con i Paesi che avrebbero sofferto di più per la carenza d’acqua entro il 2040. Sulla base delle proiezioni climatiche, del previsto aumento della popolazione, del livello di sviluppo, dell’urbanizzazione, nonché dell’innalzamento del livello del mare, l’Istituto aveva posto diciassette Stati a rischio “altissimo” di carenza idrica, tra cui Spagna, Marocco, Algeria, Tunisia, Arabia Saudita e Pakistan.
Il 22 marzo scorso però, gli esperti hanno ricordato che l’emergenza idrica in atto non è un rischio del futuro prossimo ma riguarda il presente, e hanno annunciato che entro il 2030 – ben dieci anni prima rispetto alle precedenti previsioni – la domanda di acqua dolce supererà del 40 per cento l’offerta. L’allarme è stato lanciato alla vigilia della Seconda Conferenza mondiale Onu sull’Acqua (UN 2023 Water Conference), tenutasi dal 22 al 24 marzo a New York.
Considerando che l’acqua è il bene più prezioso che possediamo, se ne parla ancora troppo poco: basti pensare che la prima convocazione della Conferenza si tenne nel 1977 a Mar del Plata, in Argentina. Da allora sono passati più di 45 anni. Nel mentre si sono verificati eventi anomali, cattive gestioni a livello globale che hanno incentivato un uso eccessivo della risorsa e non si sono occupate di prevenirne la contaminazione, di promuoverne il riciclaggio e di sviluppare e condividere le tecnologie necessarie per risparmiarla.
I numeri del disastro
Sulla base del rapporto, i governi devono urgentemente smettere di sovvenzionare l’estrazione e l’uso eccessivo dell’acqua attraverso sussidi agricoli mal indirizzati, così come le industrie dell’estrazione mineraria devono rivedere le loro pratiche dispendiose. Secondo gli autori della relazione, le nazioni devono iniziare a gestire l’acqua come bene comune globale, perché la maggior parte dei Paesi dipende fortemente dai vicini per l’approvvigionamento idrico.
Secondo Johan Rockstrom, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research, co-presidente della Global Commission on the Economics of Water e autore principale del rapporto, stiamo abusando dell’acqua, la stiamo inquinando e stiamo cambiando l’intero ciclo idrologico globale. I disastri a cui abbiamo assistito recentemente vanno considerati come un’anticipazione di ciò che in futuro accadrà sempre più frequentemente e solamente come una parte del problema.
Ad oggi più di 2 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile e ciò li espone a malattie come colera, dissenteria, tifo, poliomielite e diarrea; si stima che quest’ultima causi da sola 485 mila morti l’anno, mentre l’acqua non sicura è responsabile di circa 1,2 milioni di morti, la maggior parte situati nelle nazioni a basso reddito. Al contrario, nei Paesi occidentali si verifica un sovra-consumo di questa preziosa risorsa. Tale disuguaglianza è alla base di un numero sempre maggiore di guerre per assicurarsi l’accesso all’acqua. Tra il 2000 e il 2009 infatti sono stati censiti 94 conflitti di questo genere, mentre tra il 2010 e il 2018 il numero è salito a 263. E i migranti climatici sono spesso il risultato di queste lotte.
Un rapporto dell’Unicef informa inoltre che la crisi legata all’acqua mette in pericolo la vita di 190 milioni di bambini in dieci Paesi africani: Benin, Burkina Faso, Camerun, Ciad, Costa d’Avorio, Guinea, Mali, Niger e Somalia. Molti di questi sono anche alle prese con instabilità e conflitti armati, che ostacolano ulteriormente l’accesso dei minori all’acqua potabile e ai servizi igienici. Di conseguenza, il numero dei decessi tra i bambini a causa di malattie dovute a servizi idrici e igienici inadeguati è molto alto. Ad esempio, sei dei dieci Paesi citati hanno dovuto affrontare epidemie di colera nell’ultimo anno.
La Global Commission on the Economics of Water punta quindi il dito contro le azioni dell’uomo poiché la mancanza di acqua dolce è l’ennesima conseguenza della crisi climatica e deriva dall’aumento dell’umidità determinato dal riscaldamento globale, dai cambiamenti nello sfruttamento del suolo come la deforestazione, il degrado del territorio e lo sviluppo delle infrastrutture che impattano sui modelli di precipitazione e sulla distribuzione delle piogge.
Come invertire la rotta
Per impedire che a livello globale la quantità di acqua diminuisca sempre di più, il rapporto ha stabilito sette raccomandazioni chiave. In primis, gestire il ciclo globale dell’acqua come un bene comune, da proteggere collettivamente e nell’interesse di tutti. In secondo luogo, garantire un’acqua sicura e adeguata per ogni gruppo vulnerabile e lavorare con l’industria per aumentarne gli investimenti. Quindi, smettere di sottovalutare l’acqua: un prezzo giusto, accompagnato da un supporto per le fasce più povere della popolazione, è un disincentivo agli sprechi. Poi, ridurre circa 700 miliardi di dollari di sussidi erogati ogni anno all’agricoltura e all’acqua che generano un consumo eccessivo e danneggiano l’ambiente. E ancora: istituire partnership volte a consentire investimenti nell’accesso all’acqua, nella resilienza e nella sostenibilità nei Paesi a basso e medio reddito. Bisognerà anche trovare soluzioni urgenti come i sistemi di stoccaggio dell’acqua dolce, il riutilizzo delle acque reflue industriali e urbane e l’irrigazione di precisione. Infine, sarà necessario riformare la governance multilaterale dell’acqua, attualmente frammentata e non adatta allo scopo, considerando le necessità delle donne, degli agricoltori, degli indigeni.
Per concludere, gli autori del rapporto suggeriscono di eliminare gradualmente circa 700 miliardi di dollari in sussidi per l’agricoltura – il solo settore rappresenta il 70 per cento dei prelievi totali – che sono legati all’eccessivo consumo di acqua. Per quanto le azioni umane irresponsabili e dannose siano da biasimare per la sistematica crisi idrica, l’azione collettiva rimane l’unico modo che abbiamo per mitigarla. «Abbiamo bisogno di un approccio molto più pro-attivo, ambizioso e comune», ha affermato Mariana Mazzucato, co-presidente della Commissione globale sull’economia dell’acqua, economista e docente all’University College di Londra, nonché una delle principali autrici del rapporto. «Dobbiamo mettere la giustizia e l’equità al centro, non è solo un problema tecnologico o finanziario».
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