Perché le donne perdonano gli uomini violenti
Alcune donne negano. Giustificano. Altre perdonano. E pensano che in fondo, se l'erano andata a cercare. Ma cosa c'entra l'amore con la violenza?
Sempre più spesso le pagine di cronaca dei giornali italiani sono piene di notizie di donne sfregiate con l’acido da ex fidanzati, di donne malmenate dal partner o uccise brutalmente dai mariti. E la narrazione che i media danno della violenza sulle donne è spesso fuorviante. Perché gli uomini non picchiano “per troppo amore”. Perché un uomo violento “lo è sempre stato e non cambia”. Perché la persecuzione e la gelosia morbosa non arrivano dal “troppo amore”.
Le ultime notizie, in ordine di tempo, sono quelle della ragazza di Rimini che sta rischiando di perdere la vista dopo essere stata colpita con l’acido dall’ex compagno e della ragazza di Messina, la quale continua a negare che sia stato il suo fidanzato a cospargerla di benzina per darle fuoco, nonostante vi siano le prove. Negano. Giustificano. Alcune perdonano. E pensano che in fondo, se l’erano in qualche modo andata a cercare. Ma cosa c’entra l’amore con la violenza?
Troppo spesso le donne non si accorgono, o non vogliono accorgersi, di come la persona accanto alla quale si svegliano ogni mattina, la stessa che le accarezza e bacia tutti i giorni, sia in realtà un mostro e non l’uomo che dice di amarle.
In un’intervista dello scorso 11 gennaio 2017 a Ylenia Grazia Bonavera, la 22enne che lo scorso 8 gennaio è stata aggredita dal fidanzato che ha provato a darle fuoco, Barbara D’Urso, conduttrice del programma Mediaset Pomeriggio 5 le ha fatto la seguente domanda: “Ma lo sai che ci sono uomini che fanno queste cose per troppo amore?”. Ed è in quella frase che sta il nodo del tutto.
No. Non è vero che “queste cose” si fanno per “troppo amore”. Non è vero. Affermare una cosa del genere, davanti a un enorme pubblico come quello di Pomeriggio 5, significa probabilmente distruggere, con una sola domanda, anni e anni di lotte contro la violenza sulle donne.
Significa comunicare alle ragazze di oggi che sì, quell’uomo criminale che hanno davanti e di cui non sanno liberarsi, in realtà è solo troppo innamorato. Giustifichiamolo. Ha perso la testa, ma tornerà in sé e continuerà ad amarci.
Significa vanificare la testimonianza di donne coraggiose, come Lucia Annibali, che hanno trasformato il loro dolore personale in un modo per spingere le altre donne vittime di violenza a denunciare i loro carnefici, anche per gli episodi all’apparenza più insignificanti.
A volte si fa troppo presto a puntare il dito contro le donne che subiscono in silenzio senza avere il coraggio di denunciare. Troppo presto a giudicarle. Spesso, la violenza psicologica agisce in maniera più subdola, soggiogandone e annichilendone la volontà di reagire. Ma perché, dunque, alcune donne perdonano questi uomini?
Nel caso specifico di Messina, la ragazza ha addirittura negato che l’autore del gesto criminale fosse il suo fidanzato, dicendosi convinta e assolutamente certa che lui, il suo amato, non potrebbe essere capace di fare nulla di simile. E in molti altri casi accade che le donne vittime di violenza, pur essendo consapevoli di ciò che stanno subendo, negano e perdonano per non perdere il partner, per non dover affrontare una vita senza di lui.
Fanno finta che quel brutto livido sotto l’occhio se lo siano procurate cadendo dalle scale, che quei graffi e quelle costole rotte siano causati dalla sbadataggine. E per anni, per una vita intera, coprono i loro aguzzini.
“Le donne che difendono gli uomini lo fanno per una sorta di ‘difesa inconscia’, perché spesso hanno paura di rimanere sole e dunque difendono quella persona perché pensano possa cambiare. Lo vogliono salvare. Anche se bisogna capire che gli uomini violenti non cambiano”, spiega Antonio Vento, medico psichiatra e criminologo.
La violenza contro le donne è fenomeno ampio e diffuso. Sei milioni 788mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 31,5 per cento delle donne tra i 16 e i 70 anni. Il 20,2 per cento ha subìto violenza fisica, il 21 per cento violenza sessuale, il 5,4 per cento forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri.
“Le donne sono abituate da milioni di anni, oserei dire da sempre, a perdonare e a giustificare le persone a cui si sentono affezionate. In molti casi le donne che subiscono violenze provengono da famiglie in cui c’è stata una sofferenza di tipo psicologico, ad esempio da parte della figura paterna o fratelli maggiori che le hanno abituate a considerare la violenza domestica come qualcosa di normale, di abituale. Si tratta di quello che viene definito il ciclo della violenza: le donne apprendono che questo è la normalità, la donna subisce violenza come un aspetto della vita quotidiana”, spiega a TPI Diana De Ronchi, psichiatra e professoressa ordinaria del Dipartimento di scienze biomediche e neuromotorie dell’Università di Bologna.
“Le donne spesso sono assolutamente consapevoli del sopruso, della violenza ma hanno paura di interrompere la relazione perché pensano di nutrire affetto per queste persone, a volte ci sono anche dei timori relativi al fatto di dipendere economicamente da quest’uomo o di avere dei figli da quest’uomo, o la paura di andare incontro a un contenzioso sull’affidamento dei figli. Spesso intervengono pressioni di tipo sociale, legale ed economico. La donna spesso è abituata a subire violenza dalla stessa persona da anni e spesso non vive con la piena consapevolezza del dramma che sta affrontando”, continua De Ronchi.
“Le donne spesso quando subiscono lesioni importanti vanno in pronto soccorso ma negano che sia stato il compagno a colpirle. C’è una sorta di negazione con gli operatori sanitari. Bisognerebbe formare gli operatori su come fare il colloquio con le donne perché spesso è proprio l’aguzzino ad accompagnarle in pronto soccorso. Esistono però modalità che devono essere conosciute per fare colloqui tutelati e separati con la donna”.
Essere vittima di una violenza domestica o sessuale è un’urgenza di tipo psichiatrico, spiega ancora la professoressa. Deve esserci una tutela totale della donna h 24, con la raccolta delle prove medico-legali e segnalazioni alle autorità competenti. E poi c’è l’iter dal punto di vista legale: in alcuni casi la denuncia può essere volontaria, in altri d’ufficio. Ma in ogni caso il medico ha l’obbligo di segnalare all’autorità giudiziaria quando le lesioni sono gravi. Secondo Diana De Ronchi il personale sanitario gioca quindi un ruolo importante nel fenomeno della violenza sulle donne.
Donne che spesso si sentono sole, incomprese. Donne i cui problemi troppo spesso vengono minimizzati, vengono trattati in maniera frettolosa e semplicistica. E ciò non fa altro che aumentare l’isolamento in cui si chiudono, la negazione, il perdono a tutti i costi.
Secondo i dati raccolti dal Numero verde antiviolenza 1522, dal dicembre 2012 a agosto 2016 le chiamate ricevute sono state quasi 170mila.
“Le donne si trovano spesso incastrate in rapporti di assoggettamento, di subordinazione, anche e soprattutto emotiva. Hanno un’idea su quello che si debba sopportare del tutto peculiare. La donna a volte pensa di aver fatto qualcosa di sbagliato e che in fondo in fondo se lo merita o che comunque ha provocato la violenza. Una cosa che ho trovato spesso è quel concetto paternalistico – povero piccolo, da bambino ha sofferto e quindi adesso è autorizzato a picchiarmi -“, spiega a TPI Paolo Cianconi, medico psichiatra, psicoterapeuta e antropologo che lavora presso la Casa Circondariale Regina Coeli di Roma.
“Ci sono donne che quando si passano i confini dei diritti umani denunciano e interrompono la relazione. Alcune però non ci riescono e continuano a perpetuare il rapporto per motivi molto eterogenei. Se ne ritrovano alcuni ricorrenti: alcune pensano di poter redimere l’uomo, altre lo giustificano, altre non reputano grave l’atto che è stato fatto. Perdonando atti che sono sintomi di violenza, ci si ritrova davanti a danni irreparabili”, aggiunge.
“La donna a volte dice – lui è violento ma mi vuole bene -. È una associazione un po’ primitiva, che ha a che fare con un tipo di relazione che appartiene a tempi in cui le donne non avevano diritti, in cui le altre donne ti dicevano ‘sopporta’. Fa parte di un retaggio culturale in cui il maschio può arrabbiarsi e la donna deve sopportare. Oggi esistono strumenti del diritto e strumenti economici che permettono alle donne di avere una mentalità più libera e di costruire relazioni paritarie. Le mentalità però non evolvono altrettanto velocemente degli strumenti che la democrazia sviluppa”, conclude Cianconi.
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