Perché l’agricoltura italiana è tra le più danneggiate in Europa dal cambiamento climatico
Il responsabile nazionale ambiente di Coldiretti spiega a TPI come interpretare i danni all'agricoltura italiana causati dal riscaldamento globale
L’agricoltura italiana ha perso 14 milioni di euro in dieci anni a causa del cambiamento climatico, annuncia la Coldiretti: “Un numero legato a fenomeni complessi come piogge, temperature altamente variabili, diffusione di parassiti, frane ed erosioni del terreno”.
Stefano Masini, responsabile dell’area Ambiente e Territorio di Coldiretti, spiega a TPI come sia necessario interpretare questi dati giunti dal Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (Crea): “E’ un fenomeno descritto sul lungo periodo, dove è possibile studiare una tendenza in relazione alle diverse stagioni. L’agricoltura oggi sembra trovare maggiore difficoltà nell’adattarsi a mutamenti climatici così gravi. Gli agricoltori studiano strategie per controllare il deflusso idrico nel periodo invernale, così come soluzioni per ottenere la disponibilità d’acqua nei periodi di siccità. Molti sforzi sono dedicati alla prevenzione di questi eventi estremi”.
“Basta pensare”, continua Masini, “all’anticipazione della stagione primaverile, che comporta un notevole stress nella vegetazione: le piante più sensibili che fioriscono prima non riescono poi a sostenere i cali di temperatura; il tutto comporta notevoli perdite nella produzione”.
Attualmente i tentativi di investimento nelle attività di prevenzione riguardano soprattutto la gestione dei rischi e i piani assicurativi legati solo alla grandine, non comprendendo i nuovi agenti esterni.
“Sono stati esaminati tutti gli stati di calamità naturali che hanno riguardato l’agricoltura, osservando l’impatto economico derivato. La somma di questi dati ha fornito la stima dei 14 milioni di euro. L’agricoltura è un’attività a cielo aperto, con un’omogeneità delle colture in tutta Italia. Considerando le diversità orografiche, bisogna osservare che i fenomeni impattanti riguardano ormai tanto il nord quanto il sud, con alluvioni che stravolgono il paese, da Cuneo ad Agrigento”.
Come spiega Masini, quello che ha inciso è stato il modello di sviluppo sbagliato: ha tagliato circa il 15% delle campagne per la cementificazione e l’abbandono, e ha fatto perdere negli ultimi venti anni 2,15 milioni di ettari di terra coltivata, capace di assorbire l’acqua. “La pianificazione non ha tenuto conto della necessità di salvare la destinazione agricola del suolo; anzi, il territorio agricolo è sempre stata valutata un’area suscettibile di modifiche, che favorissero i piani urbanistici, i percorsi della viabilità, senza un approccio di più ampia portata”.
“Ragionando nell’ottica di area vasta, non deve essere banalmente considerato il corso del fiume, ma tutto il territorio idrogeologico che lo interessa”, continua il referente di Coldiretti. “Se viene cambiato l’assetto del fiume a favore di strade e ferrovie, interponendo così degli ostacoli come città e borghi lungo il percorso di un elemento naturale, non dobbiamo sorprenderci dei disagi che ne conseguono”.
Il quadro è impressionante: “Ogni giorno sparisce terra agricola per un equivalente di circa 400 campi da calcio, ossia 288 ettari, e quella disponibile non riesce più ad assorbire adeguatamente la pioggia. Il risultato è che in Italia oltre sette milioni di cittadini si trovano in zone esposte al pericolo di frane e alluvioni, interessando ben l’88 per cento dei comuni sull’intero territorio nazionale”.
Sempre secondo Masini: “Oggi sarebbe troppo costoso delocalizzare questi insediamenti. Se consideriamo anche l’edilizia illegale e i tre condoni edilizi che hanno sanato le costruzioni poi interessate da frane, i 14 milioni di euro calcolati troverebbero un nuovo coefficiente di moltiplicazione”.
Il problema non riguarda esclusivamente l’Italia, secondo i dati diffusi da Coldiretti – unitamente a Fondo Ambiente Italiano (FAI), Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), Legambiente, LIPU, Slow Food e WWF. Ogni anno in Europa sono distrutti 100mila ettari di suolo fertile, soffocando sotto il cemento un’area grande come l’intera città di Roma.
“L’Italia paga le conseguenza più alte per le caratteristiche orografiche del territorio e per l’alto numero di persone che insistono su determinante aree”, come ci spiega Masini. “Il nostro è un paese densamente abitato e le aree che presentano una pericolosità elevata sono molte, con un tempo di ritorno dei fenomeni che riguardano ancora migliaia di comuni”.
I rimedi sono complessi e costosi, ma secondo Masini si potrebbe intervenire almeno con un adeguamento strutturale e lavorando sulla manutenzione ordinaria: “Consentire i consorzi di bonifica attraverso convenzioni; ridurre gli intoppi burocratici per le aziende e gli imprenditori agricoli che intendono, anche privatamente, prestare il proprio contributo; stabilire prerogative per competenze. Tutte azioni che mitigherebbero i fattori di rischio”.