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Home » Esteri

Cosa cambia in pratica in Grecia dopo l’accordo tra Ue e Turchia sui migranti

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Giulia Clericetti racconta cosa sta succedendo a Lesbo, l’isola che si sta svuotando, da dove i nuovi migranti arrivati verranno rimandati in Turchia

Lesbo, 19 marzo 2016, ore 17:13. Un gruppo di volontari nel turno di riposo si sta organizzando per la cena quando, da quelli in servizio, arriva il messaggio su Whatsapp, il principale canale di comunicazione sull’isola: “Stiamo letteralmente cacciando tutti fuori dal campo di registrazione, nessun traghetto va più ad Atene, tutti sono reindirizzati a Kavala”. Poi altre notizie: “Stanno svuotando l’isola. I nuovi arrivati verranno rimandati in Turchia”. “Servono urgentemente traduttori al porto per spiegare cosa sta succedendo. Chiunque sia disponibile venga qui”. Sì, ma cosa dobbiamo dire?

È la trasposizione pratica dell’accordo tra Ue e Turchia, di cui un po’ tutti sull’isola erano al corrente. Eppure ha colto di sorpresa. Una delle prime cose che si imparano stando a Lesbo, isola greca a due passi dalla Turchia, è che nulla è vero fino a quando effettivamente non succede. I cambiamenti sono all’ordine del giorno: il soccorso e l’accoglienza dei migranti sono iniziati in maniera informale e disorganizzata e il governo greco con riluttanza sta cercando di portare ordine nel marasma di organizzazioni grandi e piccole, internazionali e non governative che lavorano sull’isola.

Nuove regole vengono introdotte ma i mutamenti sono lenti e graduali, come la registrazione dei volontari di cui si parlava da gennaio e che è stata ufficialmente resa obbligatoria solo un paio di giorni fa.

Oppure non si realizzano affatto, come quando la Nato è stata inviata in fretta e furia lungo il confine marittimo tra Grecia e Turchia. Ci si aspettava un calo degli arrivi, se non altro per la deterrenza delle navi da guerra dispiegate a fronteggiare i gommoni degli scafisti, e invece niente. Anzi, il flusso di migranti ha ricominciato a crescere dopo un periodo di brutto tempo e di relativo stallo. Stavolta invece il collegamento tra Bruxelles e Mitilene (capoluogo di Lesbo) è stato immediato. Anzi, anticipato. Soprattutto, mentre ogni altra decisione è sempre stata preceduta da voci e informazioni più o meno attendibili, dello sgombero dell’isola le Ong, almeno quelle più piccole, non sapevano nulla.

I volontari sono la spina dorsale del sistema di assistenza messo in piedi sulle isole greche. Ci sono, certo, l’Unhcr, la Guardia Costiera, Frontex (con un gruppetto di elicotteristi italiani) e le grandi Ong a tenere in piedi qualche infrastruttura, ma la forza lavoro è per la maggior parte volontaria. I migranti arrivano a volte con i gommoni, a volte sulle navi della Guardia Costiera, quando vengono intercettati al largo. Diverse organizzazioni pattugliano le spiagge giorno e notte per accogliere i migranti e facilitare gli sbarchi.

Dalle coste i rifugiati vengono per lo più caricati su pullman dell’Unhcr e portati al centro di registrazione, uno dei famigerati hotspot richiesti dall’Europa. Qui vengono prese le impronte digitali, controllati i documenti, verificata l’identità. Poi viene dato loro un foglio che li autorizza a spostarsi in Grecia ma li “invita” a lasciare il paese entro 30 giorni.

Tutto questo solo per coloro che vengono da zone riconosciute di guerra. Per pakistani, marocchini, algerini e altri, non c’è modo di proseguire. Non legalmente. Gli afghani prima potevano passare, ora sembra invece che l’Afghanistan sia diventato, tutto a un tratto, sicuro. Da rallegrarsene. La procedura di registrazione può richiedere ore, spesso giorni. Il campo – ex base militare, strade sterrate, reti e filo spinato – può alloggiare circa un migliaio di persone per notte.

Ne sbarcano ogni giorno a centinaia, spesso a migliaia. Gli altri dormono in tende di fortuna, all’aria aperta, oppure vengono ospitati in uno degli altri campi sull’isola e tutto questo poggia sul lavoro di innumerevoli Ong. Sarebbe quindi lecito pensare che esse vengano informate dello svolgimento di operazioni di larga portata. Ma così non è. Il 19 marzo il governo greco ha cominciato a svuotare l’isola.

Nel giro di poche ore al campo di registrazione non era rimasto che un centinaio di persone. Ai migranti non sono state date informazioni chiare: i pullman li hanno portati al porto dove alcuni traghetti aspettavano di essere riempiti. Destinazione Kavala, cittadina sconosciuta, poco lontano dal confine turco. Ad un gruppo di pakistani che, giusto pochi giorni fa, aveva manifestato pacificamente per chiedere il diritto di entrare in Europa, è stata data la scelta tra la registrazione volontaria e l’arresto. In entrambi i casi il passo successivo sarà l’espulsione. In seguito è cominciato lo sgombero delle Ong dal campo di registrazione, che d’ora in avanti sarà gestito esclusivamente dal governo, cioè dalle forze di polizia o dai militari.

Al porto la situazione è caotica. Tutti gli “interpreti” – chiunque parli arabo, farsi o urdu – vengono mobilitati per spiegare alla gente disorientata cosa stia succedendo. Ma le notizie sono incerte. Verranno trasportati sulla terraferma e da lì ai campi di accoglienza, approntati in quattro e quattr’otto, dove si suppone resteranno a lungo. Il confine con la Macedonia, in ogni caso, resta chiuso.

Alcuni non vogliono partire. Ahmed, siriano, aveva appuntamento con l’Unhcr per una consultazione sulle sue possibilità legali, voleva chiedere asilo, ora teme che lo riportino indietro. La situazione sulle isole, dalla chiusura definitiva del confine macedone, si stava facendo sempre più pesante: i centri di accoglienza erano pieni e le tensioni cominciavano ad accumularsi.

Dei nuovi campi, però, non si sa molto, le voci dicono che siano peggio di quelli sull’isola, già non ben attrezzati. Il piano europeo prevede che venga velocizzato il sistema del ricollocamento, che resta però basato sull’azione volontaria dei singoli stati. E cosa succederà domani a tutti gli altri, a quelli che ancora non sono passati ma sono abbastanza disperati o speranzosi da volerlo fare? La domanda resta nell’aria, accompagnata da una vaga tensione. Varrà ancora una volta il vecchio adagio secondo cui, pur cambiando tutto, nulla alla fine cambia?

La cittadina di Kavala e l’isola di Lesbo. 

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