Cos’è la sharing economy e perché sta cambiando il futuro dell’economia in Europa
BlaBlaCar, Uber, Airbnb sono solo alcune delle piattaforme di condivisione del nuovo modello economico. Ecco come funzionano e perché sono importanti
Da circa due anni, nel nostro gergo sono entrate espressioni come “home sharing”, “car pooling”, “bike e car sharing”, “taxi peer to peer” e “social eating”.
Attraverso questi anglicismi si identificano quelle attività che vanno a formare il cuore della sharing economy, il modello economico che sembra dover condizionare il futuro delle imprese in Italia e in Europa.
Ma cos’è la “sharing economy” e cosa sono le “piattaforme collaborative”?
Sharing Economy può tradursi, letteralmente, con “economia della condivisione” ed è un’espressione che vuole privilegiare un nuovo modello economico che parte dai reali bisogni dei consumatori.
Riuso, riutilizzo, condivisione: sono queste le priorità delle tante realtà imprenditoriali nate negli ultimi anni e che utilizzano le tecnologie per un modello di economia circolare, all’interno della quale professionisti, consumatori e semplici cittadini mettono a disposizione competenze, tempo, beni e conoscenze per la creazione di legami virtuosi che si basano sull’utilizzo della tecnologia in modo relazionale.
Così facendo si promuovono nuovi stili di vita che prediligono il risparmio o la ridistribuzione del denaro, favoriscono la socializzazione e la salvaguardia dell’ambiente.
Per essere più chiari, basta citare alcuni esempi di piattaforme collaborative di successo come “Bla Bla Car” o “Airbnb”: il primo è il social network dei passaggi in auto, un sito italiano per la condivisione delle vetture con oltre 30 milioni di utenti iscritti e più di 10 milioni di viaggiatori ogni trimestre.
Il secondo è una community che permette a chi ha una o più camere disponibili nella propria abitazione di affittarle ai viaggiatori che vogliono conoscere una determinata città ed è un modo di viaggiare molto più economico e “social” della classica sistemazione in hotel.
Secondo un recente studio condotto da PriceWaterhouse Coopers il giro d’affari della sharing economy in Europa potrebbe valere, in termini di volumi di transito, 570 miliardi di euro entro il 2025.
Un valore 20 volte superiore a quello attuale e cresciuto del 77 per cento fra 2015 e 2014, e in grado di assicurare alle piattaforme che operano in questo ambito nel vecchio continente ricavi per 83 miliardi di euro (oggi siamo a 3,6 miliardi, un valore raddoppiato negli ultimi dodici mesi).
Cinque i settori, secondo gli analisti, che guideranno l’esplosione dell’economia di condivisione: i trasporti, gli alloggi, la finanza collaborativa, servizi domestici e professionali on-demand.
A livello geografico, invece, lo studio evidenzia come i paesi maggiormente attivi nella sharing economy sono quelli del nord Europa. Germania e Gran Bretagna, nello specifico, registrano più di 50 imprese già operative sul mercato, Olanda e Spagna tra 15 e 30, Italia e Polonia meno di 25.
I ricavi totali lordi nell’Ue di piattaforme e prestatori di servizi di collaborazione sono stati stimati per un totale di 28 miliardi di euro nel 2015. Rispetto all’anno precedente i ricavi nell’Ue sono quasi raddoppiati e si prevede che continueranno stabilmente a crescere.
Questa è la potenza della sharing economy in Europa
Dati i rapidi e costanti trend di crescita, la Commissione europea ha deciso di intervenire nella materia con delle linee guida pubblicate nella comunicazione dal titolo Un’agenda europea per l’economia collaborativa, una pubblicazione che offre un primo vademecum per orientarsi in una materia del tutto nuova che però sembra rappresentare il futuro.
Proprio la Commissione europea ha incaricato la PWC Consulting di realizzare un’analisi dalla quale è emerso che nel 2015 le piattaforme di collaborazione attive nei cinque settori chiave dell’economia collaborativa nell’Ue – alloggio (locazione a breve termine); trasporto di persone; servizi alle famiglie; servizi tecnici e professionali e finanza collaborativa – abbiano generato ricavi pari a 3,6 miliardi di euro.
Venendo all’Italia, un’altra ricerca condotta di recente dalla facoltà di economia dell’Università degli studi Niccolò Cusano rivela che il nostro è tra i primi tre paesi per numero di fruitori e conoscitori della sharing economy, dietro Turchia e Spagna. Nella ricerca viene anche tracciato l’utente “tipo”: maschio (nel 56 per cento dei casi) sotto i 44 anni (74 per cento), istruito e residente nell’Italia settentrionale (53 per cento). Vive invece al sud e nelle isole nel 25 per cento dei casi, e solo nel 22 per cento risiede nel centro Italia.
Secondo uno studio condotto dall’Università di Pavia le piattaforme che offrono questi e altri servizi di condivisione sono cresciute tra il 2014 e il 2015 del 34,7 per cento. Oggi, in Italia, se ne contano circa 97 cui bisogna aggiungere 41 attive per il crowdfunding.
E il futuro?
Osservando i dati dell’infografica presentata dall’Università Niccolò Cusano, la sharing economy appare come un trend sempre più in crescita, pari al 34 per cento solo nel 2015: la stima di fatturato del 2016 si attesta sui 13 miliardi di euro, ma secondo le previsioni nel 2025 si toccheranno i 300 miliardi di euro.
Tanti i servizi e le piattaforme più popolari che incidono sul successo quotidiano del concetto “condividere guadagnando”: si va da “ScambioCasa” e la già citata “Airbnb”, i portali che permettono di scambiare la propria casa con quella di un altro utente o di affittare camere e appartamenti ai turisti, fino a “BlaBlaCar” per condividere viaggi e passaggi in auto oppure ai servizi di “BikeMI” e “Car2Go” per prendere in prestito bici o auto e pagarne l’effettivo utilizzo.
Meno conosciuta ma in crescita è “Gnammo”, la piattaforma che con il social eating offre la possibilità di organizzare pranzi e cene in casa o in altre location.